I Campi Flegrei, un Supervulcano dormiente che potrebbe risvegliarsi

I Campi Flegrei, situati a ovest di Napoli, sono una vasta area vulcanica attiva caratterizzata da una caldera. Questo supervulcano è noto per il fenomeno del bradisismo, che causa frequenti terremoti. La storia geologica e sismica della zona è ricca di eventi significativi e curiosità.

Una vasta caldera di 12 chilometri di diametro, quaranta centri eruttivi e un potenziale distruttivo che ha segnato ripetutamente la storia geologica della Campania. Sono i Campi Flegrei, il supervulcano che si estende a ovest di Napoli, attualmente in uno stato di inquietante risveglio che preoccupa scienziati e autorità. Un gigante dormiente che, nonostante l’ultima eruzione risalga al lontano 1538, continua a manifestare segni di attività attraverso un fenomeno noto come bradisismo, caratterizzato da un progressivo sollevamento del suolo e sciami sismici di intensità crescente.

I Campi Flegrei occupano un’area di circa 450 chilometri quadrati che si estende dall’isola di Procida fino a buona parte della città di Napoli, includendo i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e Giugliano in Campania. A differenza del Vesuvio, con il suo iconico cono singolo, questo sistema vulcanico si presenta come un complesso di colline e crateri che nascondono la loro vera natura sotto un paesaggio apparentemente tranquillo. Il nome stesso, dal greco “campi ardenti”, rivela come già nell’antichità fosse evidente la natura vulcanica di quest’area caratterizzata da fumarole e acque termali.

La storia geologica dei Campi Flegrei è dominata da due eruzioni catastrofiche che hanno plasmato l’attuale conformazione della caldera. La più antica e devastante, l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, avvenuta circa 39.000 anni fa, è considerata la più violenta eruzione verificatasi nell’area mediterranea negli ultimi 200.000 anni. Con un indice di esplosività vulcanica (VEI) pari a 7, classificato come “ultra-pliniano”, questo evento catastrofico emise tra i 100 e i 150 chilometri cubi di magma, seppellendo due terzi della Campania sotto una spessa coltre di depositi di tufo. Alcuni studiosi ipotizzano che questa eruzione possa aver contribuito all’estinzione della popolazione di Neanderthal in Europa.

La seconda grande eruzione, quella del Tufo Giallo Napoletano, avvenne circa 15.000 anni fa con un volume di magma emesso pari a 20-30 chilometri cubi. Questo evento causò la formazione di una caldera più piccola all’interno della precedente, completando la struttura della depressione che oggi caratterizza i Campi Flegrei. Il materiale eruttato in questa occasione si ritrova nell’area napoletana-flegrea, nella Piana Campana fino ai rilievi dell’Appennino, e persino sommerso nel Golfo di Napoli.

Nel periodo successivo all’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, l’attività vulcanica è stata particolarmente intensa, con oltre 60 eruzioni. L’ultima, avvenuta nel 1538 dopo un periodo di quiescenza di circa 3.000 anni, ha generato in pochi giorni il cono di tufo del Monte Nuovo, alto circa 130 metri, sulla sponda orientale del lago di Averno. Da allora il vulcano è entrato in una fase di quiescenza che perdura fino ai giorni nostri, pur manifestando evidenti segni di vitalità.

Il fenomeno più caratteristico dei Campi Flegrei è il bradisismo, una deformazione del suolo che comporta fasi di lento abbassamento alternate ad altre di sollevamento più rapido, accompagnate da sciami sismici. Nella storia recente, due importanti crisi bradisismiche hanno interessato l’area nei periodi 1970-72 e 1982-84, con un sollevamento totale massimo di circa 3,5 metri nell’abitato di Pozzuoli. La prima crisi causò l’abbandono forzato dell’area fatiscente del Rione Terra, mentre la seconda fu caratterizzata da intensa sismicità con gravi danni agli edifici.

Dal 2005 è in corso una nuova fase di sollevamento che ha già superato il metro e che sta generando crescente preoccupazione. Gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) hanno recentemente rilevato cambiamenti significativi nei parametri geofisici e geochimici monitorati: aumento della sismicità, variazioni nella composizione delle fumarole e dei gas dal suolo, oltre al continuo innalzamento del terreno. Attualmente il livello di allerta per i Campi Flegrei è giallo e la fase operativa adottata è di “attenzione”.

Recenti studi condotti da un team di ricercatori dell’INGV, in collaborazione con l’Università di Oxford, il Trinity College di Dublino e l’Università di Monaco di Baviera, hanno fornito nuove immagini dettagliate del sistema magmatico sottostante la caldera fino a 20 chilometri di profondità, una soglia mai investigata prima. Secondo questi studi, le variazioni della composizione dei gas fumarolici misurate negli ultimi decenni sono originate dalla depressurizzazione e cristallizzazione di due principali sorgenti magmatiche: una più profonda, tra 16 e 12 chilometri sotto il livello del suolo, e una seconda localizzata a circa 8 chilometri di profondità.

In caso di una futura eruzione, gli scenari possibili variano notevolmente. Gli esperti ritengono più probabile uno scenario di intensità medio-bassa, simile all’eruzione del Monte Nuovo del 1538. Tuttavia, lo scenario peggiore, benché considerato altamente improbabile, prevederebbe una colonna eruttiva alta 20-30 chilometri e flussi piroclastici a temperature oltre 500°C che si muoverebbero a velocità di centinaia di km/h, investendo tutta l’area di Pozzuoli, Agnano, Quarto, Bagnoli e Fuorigrotta, fino al rilievo di Posillipo.

Data la densità abitativa dell’area, le autorità hanno sviluppato piani di emergenza per fronteggiare i diversi scenari di rischio. Il piano di evacuazione per rischio vulcanico identifica una zona rossa, da evacuare preventivamente in caso di allarme, che riguarda circa 500.000 abitanti. Si tratterebbe della più complessa operazione di protezione civile mai tentata su scala mondiale: organizzare l’esodo di mezzo milione di persone nel giro di 72 ore. L’attuazione di tale piano, però, presenta numerose criticità, a partire dalla scelta delle 72 ore per la sua applicazione, un tempo che secondo alcuni vulcanologi potrebbe non bastare per concludere l’evacuazione prima dell’inizio dell’eruzione.

Nonostante le preoccupazioni, gli scienziati dell’INGV sottolineano che al momento non esistono evidenze dell’imminenza di un’eruzione vulcanica, tantomeno di grandi proporzioni. La probabilità che la prossima eruzione sia del tipo Ignimbrite Campana o Tufo Giallo Napoletano è ritenuta bassissima. L’obiettivo principale resta quello di monitorare costantemente l’evoluzione dei parametri vulcanici e migliorare la comprensione dei meccanismi che governano questo complesso sistema, per garantire una gestione efficace del rischio in una delle aree più densamente popolate al mondo.

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