Un antico manoscritto risalente a nove secoli fa è tornato prepotentemente alla ribalta in queste settimane, alimentando dibattiti e speculazioni negli ambienti religiosi e non solo. La cosiddetta Profezia di Malachia, attribuita all’arcivescovo irlandese San Malachia O’Morgair, contiene previsioni enigmatiche che sembrerebbero collegare il pontificato di Papa Francesco alla fine della Chiesa Cattolica e addirittura alla distruzione di Roma, preludio al Giudizio Universale.
Il documento, apparso per la prima volta nel 1595 all’interno dell’opera Lignum vitae del benedettino Arnold de Wyon, contiene 112 brevi motti in latino che descriverebbero tutti i papi a partire da Celestino II, eletto nel 1143, fino alla fine dei tempi. Secondo questa controversa profezia, dopo il pontificato di Bergoglio ci sarebbe un ultimo papa, denominato Pietro Romano, che guiderebbe la Chiesa attraverso immense tribolazioni prima della catastrofe finale.
La crescente attenzione verso questa antica predizione si è intensificata negli ultimi tempi in seguito alle condizioni di salute di Papa Francesco, il cui recente ricovero ospedaliero per problemi respiratori ha suscitato apprensione in tutto il mondo cattolico. Il pontefice argentino, secondo l’interpretazione del testo profetico, sarebbe infatti descritto con il motto: In persecutione extrema S.R.E. sedebit, traducibile come “Regnerà durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa” o “La Santa Romana Chiesa sarà in una persecuzione finale”.
Le origini misteriose della profezia
La storia di questo enigmatico documento affonda le radici nel XII secolo. Secondo la tradizione, San Malachia, durante un viaggio a Roma nel 1139 per incontrare Papa Innocenzo II, avrebbe avuto una visione profetica nella quale gli sarebbe stata rivelata la successione completa dei pontefici fino alla fine del mondo. Il manoscritto sarebbe poi rimasto dimenticato negli archivi vaticani per oltre quattro secoli, fino alla sua riscoperta e pubblicazione nel 1595.
Fin dalla sua prima apparizione, il testo ha suscitato accese discussioni tra sostenitori e detrattori. Gli studiosi rimangono divisi sulla sua autenticità, con la maggioranza che propende per considerarlo un falso storico, realizzato probabilmente durante il conclave dell’autunno 1590 con l’intento di influenzare l’elezione papale. Numerosi elementi contribuiscono a rafforzare questa tesi: Arnold de Wyon non dichiarò mai la fonte da cui aveva tratto le profezie, per quattro secoli nessun autore aveva mai menzionato questi scritti, e appare particolarmente singolare il silenzio di San Bernardo di Chiaravalle, intimo amico di Malachia e autore di una sua biografia.
Papa Francesco e il penultimo pontificato
Secondo l’interpretazione più diffusa della profezia, Papa Francesco rappresenterebbe il penultimo pontefice della storia della Chiesa. Il suo predecessore, Benedetto XVI, sarebbe stato indicato con il motto Gloria olivae (“Gloria dell’ulivo”), mentre Giovanni Paolo II era identificato come De labore solis (“Della fatica del sole”). Molti interpreti hanno trovato corrispondenze significative tra questi motti e caratteristiche o eventi dei rispettivi pontificati, alimentando la convinzione che la profezia possa contenere elementi di verità.
L’associazione di Papa Francesco alla “persecuzione finale” della Chiesa ha assunto una dimensione particolarmente inquietante alla luce delle numerose difficoltà che la Chiesa Cattolica ha affrontato durante il suo pontificato: dagli scandali legati agli abusi sui minori alle tensioni interne al Vaticano, dalle critiche conservative alla sua linea riformatrice fino alla pandemia globale che ha costretto alla chiusura delle chiese in tutto il mondo, un evento senza precedenti nella storia moderna.
Pietro Romano e la fine di Roma
L’ultima parte della profezia di Malachia, quella che ha alimentato maggiormente timori e speculazioni, riguarda il successore di Papa Francesco: “Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”. Un’interpretazione letterale di questo testo preannuncerebbe quindi la distruzione di Roma, seguita dal Giudizio Universale.
Il riferimento a “Pietro Romano” ha dato origine a molteplici interpretazioni. Alcuni hanno cercato di identificare questa figura con potenziali candidati al soglio pontificio, come il cardinale Pietro Parolin, attuale Segretario di Stato vaticano, o il cardinale Pietro Bertone, nato a Romano Canavese. Altri ritengono che si tratti di un nome simbolico, un richiamo all’apostolo Pietro, primo papa della storia, per indicare un ritorno alle origini della Chiesa in un momento di grave crisi.
Alcune ricostruzioni associano la profezia a una precisa data: il 2027. Secondo questa interpretazione, basata su calcoli relativi al periodo di stesura del documento, il Giudizio Universale avverrebbe 442 anni dopo la scoperta della profezia, coincidendo con il ritorno di Cristo sulla Terra per il giudizio finale dell’umanità, come descritto nella tradizione cristiana.
Autenticità e dibattito storico
Nonostante il fascino esercitato dalle sue previsioni apocalittiche, la comunità scientifica e storica mantiene forti riserve sull’autenticità della profezia di Malachia. Diverse incongruenze e anomalie storiche hanno alimentato lo scetticismo degli studiosi. Le descrizioni dei papi risultano straordinariamente accurate fino al 1590, anno della presunta “scoperta” del manoscritto, per poi diventare vaghe e facilmente adattabili a qualsiasi pontefice successivo. Questa caratteristica suggerisce una redazione contemporanea a quella data, piuttosto che una vera previsione risalente a quattro secoli prima.
La Chiesa Cattolica ufficiale non ha mai riconosciuto validità a questo documento, considerandolo alla stregua di altre profezie apocalittiche che periodicamente emergono nella storia del cristianesimo. Lo stesso Papa Francesco, in diverse occasioni, ha parlato del Giudizio Universale in termini teologici tradizionali, descrivendolo come “un bell’incontro” con Gesù, piuttosto che come un evento catastrofico legato alla distruzione di Roma.
Il rinnovato interesse per la profezia di Malachia si inserisce in un contesto storico segnato da profonde inquietudini globali: la guerra in Ucraina, le crescenti tensioni tra potenze mondiali, l’instabilità in Medio Oriente e i cambiamenti climatici hanno creato un terreno fertile per il ritorno di narrazioni apocalittiche. Un fenomeno che si è ripetuto ciclicamente nella storia umana durante i periodi di particolare incertezza e trasformazione sociale.
In definitiva, al di là delle suggestioni e delle interpretazioni sensazionalistiche, la profezia di Malachia rimane un affascinante enigma storico, capace di alimentare dibattiti teologici e riflessioni sul futuro della Chiesa Cattolica e sulla sua capacità di adattarsi alle sfide contemporanee. Che si tratti di una autentica visione profetica o di un elaborato falso storico, essa continua a esercitare un potente richiamo sull’immaginario collettivo, testimoniando il persistente bisogno umano di trovare significato e ordine anche nelle prospettive più inquietanti sul futuro dell’umanità.