Suore di Clausura in fuga dal convento, l’incredibile storia delle Suore di Vittorio Veneto

La crisi nel monastero cistercense di San Giacomo di Veglia si aggrava: undici suore hanno abbandonato la clausura in segno di protesta contro la destituzione della badessa brasiliana Aline Pereira, accusata di atteggiamenti manipolatori ma difesa da molte consorelle.

La fuga silenziosa è diventata un esodo. Sono salite a 11 le religiose che hanno abbandonato il Monastero cistercense di Clausura dei Santi Gervasio e Protasio di San Giacomo di Veglia, frazione di Vittorio Veneto, nel Trevigiano. Un vero e proprio scisma monastico che sta scuotendo la comunità locale e gettando luce su una profonda divisione interna all’ordine religioso. Alle prime cinque monache che martedì scorso avevano lasciato il convento, se ne sono aggiunte altre sei venerdì, tutte in aperta opposizione alla destituzione della badessa Aline Pereira Ghammachi e al conseguente commissariamento della struttura.

La vicenda, che assume contorni sempre più complessi, affonda le sue radici in un conflitto iniziato due anni fa, quando quattro consorelle inviarono una lettera a Papa Francesco accusando la giovane badessa brasiliana di comportamenti autoritari. Da quel momento, il monastero è stato sottoposto a ben otto visite ispettive, culminate con la decisione del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata di rimuovere Suor Aline, 41 anni, dalla guida della comunità religiosa, nominando al suo posto l’ottantunenne Martha Driscoll, già badessa emerita di un monastero in Indonesia.

La destituzione, avvenuta il lunedì dell’Angelo, 21 aprile 2025, è stata vissuta dalle religiose più vicine a Suor Aline come un provvedimento ingiustificato, tanto da spingerle a un gesto clamoroso: l’abbandono della clausura. “La situazione era diventata insostenibile”, avrebbero dichiarato alcune delle fuggitive, presentatesi addirittura in caserma dai carabinieri per precisare che il loro allontanamento era volontario e non doveva far scattare ricerche.

La tensione all’interno del monastero è esplosa dopo anni di innovazioni introdotte dalla giovane badessa che, laureata in economia, aveva avviato numerose attività produttive per sostenere economicamente la comunità: dalla produzione di miele e creme all’aloe, fino al lancio di un Prosecco realizzato in collaborazione con l’agriturismo “La Vigna di Sarah”. Un’iniziativa, quest’ultima, che aveva ricevuto anche l’attenzione delle istituzioni, con la partecipazione del presidente della Regione Veneto Luca Zaia alla presentazione ufficiale.

Oltre alle attività commerciali, il convento sotto la guida di Suor Aline si era distinto per il suo impegno sociale, gestendo orti con persone con disabilità e offrendo supporto a donne vittime di violenza. Un approccio che, secondo molti, aveva rivitalizzato la struttura ma che, evidentemente, aveva suscitato resistenze nell’ala più tradizionalista dell’ordine.

Suor Aline, che al momento si trova fuori dal monastero per motivi personali, ha respinto con fermezza le accuse, definendole “calunnie prive di fondamento” e minacciando azioni legali: “Non posso accettare di vedere la mia vocazione distrutta per accuse infondate. Se esistono prove contro di me, che vengano mostrate. In caso contrario, agirò per vie legali”, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano Il Gazzettino.

La difesa dell’ex badessa trova eco anche tra le consorelle che l’hanno seguita. Tra queste figura Suor Maria Paola Dal Zotto, in monastero da ben 25 anni, che ha dichiarato di aver “respirato aria fresca” dopo essere uscita, stanca delle tensioni e del disagio che caratterizzavano ultimamente la vita monastica. “Suor Aline non ha fatto niente di male. La sua sola colpa è di essere giovane, di essere donna e di essere brasiliana”, ha affermato una religiosa ancora presente nel convento.

Di tutt’altro avviso l’Ordine Cistercense, che in una nota ufficiale ha precisato: “A causa di alcune misure prese dall’ex-abbadessa a danno di quattro monache senza rispettare il Diritto della Chiesa e dell’Ordine, il Dicastero ha ritenuto necessario rinnovare il Decreto di Commissariamento Pontificio della comunità”. L’Ordine ha inoltre sottolineato che, nonostante la fuga delle undici religiose, altre venti “sono rimaste fedeli alla loro vocazione e hanno accolto favorevolmente il Decreto di commissariamento”.

Il caso evidenzia una profonda spaccatura all’interno della comunità religiosa, che sembra riflettere tensioni più ampie tra innovazione e tradizione nella Chiesa contemporanea. Da un lato, l’approccio imprenditoriale e sociale di Suor Aline, che aveva aperto il monastero a nuove forme di sostentamento e di dialogo con il mondo esterno; dall’altro, una visione più rigorosa della clausura, impersonata dalla nuova badessa commissaria.

Il sindaco di Vittorio Veneto, Marina Balliana, ha espresso sorpresa per quanto accaduto, auspicando una rapida risoluzione della crisi: “Con il convento abbiamo sempre avuto rapporti istituzionali cordiali”. Mentre in paese, dove il monastero rappresenta un punto di riferimento storico e spirituale, si raccolgono numerose testimonianze a sostegno dell’ex badessa: “È un’ingiustizia, Aline ha fatto solo del bene al monastero e a tutta la comunità di San Giacomo di Veglia”, ha dichiarato una donna vicina al convento.

Secondo indiscrezioni, le undici religiose fuggite si troverebbero tutte insieme in un luogo non precisato. La nuova badessa Martha Driscoll ha confermato che le suore “scissioniste” intenderebbero intraprendere azioni legali contro il provvedimento di commissariamento. Una battaglia che potrebbe avere ripercussioni ben oltre le mura del convento trevigiano, sollevando interrogativi più ampi sul futuro della vita monastica e sull’equilibrio tra clausura e apertura al mondo contemporaneo.

La fuga delle undici monache solleva anche questioni pratiche sul proseguimento delle attività produttive e sociali del monastero, ora private delle religiose più giovani ed esperte. Un patrimonio di iniziative che aveva reso il convento di San Giacomo di Veglia un esempio di monastero capace di coniugare spiritualità e impegno concreto, tradizione e innovazione, in un equilibrio che ora sembra irrimediabilmente compromesso.