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Delitto Garlasco, i consulenti confermano: “il sangue sul tappetino e sulle scale è di Chiara Poggi”

Una nuova perizia genetica attesta che le tracce ematiche su tappetino e scale nella villetta di Garlasco appartengono esclusivamente a Chiara Poggi, confermando l’assenza di Dna estraneo e ridimensionando le ipotesi di concorso nell’omicidio.

Una conferma scientifica giunge dal laboratorio di genetica forense incaricato dalla Procura di Pavia nell’ambito dell’incidente probatorio riaperto sul delitto di Garlasco: le tracce ematiche repertate sul frammento del tappetino del bagno e su due gradini interni della villetta di via Pascoli appartengono esclusivamente a Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007. Nessun profilo genetico estraneo, in particolare maschile, è stato rilevato durante le analisi disposte dalla giudice Daniela Garlaschelli, confermando quanto già emerso nelle indagini iniziali e nei processi che hanno portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi.

L’esito è stato illustrato dai consulenti nominati dalle parti nel corso della terza udienza tecnica tenuta nei laboratori della Polizia scientifica di Roma. Il campione prelevato dal tappetino, oggetto di nuovi tamponamenti mirati, ha restituito un unico profilo genetico compatibile con quello della vittima, replicando il risultato registrato diciotto anni fa. Identica conclusione per le due minuscole macchie individuate sui gradini che conducono al piano interrato, dove il corpo di Chiara venne ritrovato già privo di vita dal fidanzato. L’assenza di qualsiasi allele riconducibile a soggetti diversi esclude, almeno su questi reperti, la presenza di un secondo aggressore o di contaminazioni successive.

Il nuovo collegio peritale, composto dalla biologa forense Denise Albani e dal genetista Domenico Marchigiani per l’ufficio del giudice, dall’esperto Luciano Garofano per la difesa di Andrea Sempio, da Carlo Previderè per la Procura e da Marzio Capra per la famiglia Poggi, ha adottato protocolli di estrazione e amplificazione del Dna aggiornati agli standard attuali. La densitometria delle tracce, tuttavia, si è rivelata del tutto sovrapponibile a quella documentata nel 2007 dal Ris di Parma, a conferma di una conservazione ottimale dei reperti. L’impiego di marcatori autosomici ad alta discriminazione non ha evidenziato micro-mischie né drop-in significativi.

Resta invece senza riscontri il frammento pilifero di circa tre centimetri recuperato tra i rifiuti domestici: gli analisti hanno osservato una degradazione del bulbo che ha impedito di ricavare un profilo nucleare interpretabile. Il ciglio investigativo, come spiegato dagli inquirenti, si concentrerà ora su eventuali marcatori Y residuali, nella speranza di attribuire l’origine del reperto, ma gli stessi periti definiscono «modestissima» la probabilità di risultato utile.

L’attenzione dei legali di Andrea Sempio, unico indagato insieme a ignoti nel fascicolo riaperto nel 2023, si sposta dunque sui margini ungueali di Chiara. Già oggetto di un’accesa disputa processuale, quei campioni contengono, secondo una consulenza difensiva del 2016, un profilo parziale compatibile con l’informatico di Voghera. La nuova équipe dovrà stabilire se, con le attuali tecniche di sequenziamento, quei residui siano effettivamente comparabili oppure degradati oltre la soglia di affidabilità. La decisione influirà sull’eventuale richiesta di proroga delle indagini presentata dal sostituto procuratore Stefano Civardi.

Per la famiglia Poggi, assistita dall’avvocato Gian Luigi Tizzoni, l’esito odierno conferma «l’assenza di elementi che possano sovvertire la ricostruzione accertata nei tre gradi di giudizio». Il padre della vittima, Giuseppe, ha ribadito fiducia nei magistrati ma auspica «un’accelerazione delle procedure per evitare nuove strumentalizzazioni mediatiche che riaprono ferite mai rimarginate». Diversa la lettura delle difese di Stasi e Sempio: la prima parla di «fumo negli occhi» utile solo a congelare il dibattito su possibili contaminazioni originarie; la seconda insiste sulla necessità di verificare ogni reperto ancora disponibile, incluse le impronte latenti sulle confezioni alimentari e sui muri della scala.

Il tappetino da bagno, grande circa quarantacinque centimetri per settanta e di tessuto assorbente beige, costituì sin dall’inizio un punto nevralgico dell’inchiesta. Sul lato rivolto verso la porta era ben visibile un’orma insanguinata con suola a micro-pallini, calzatura ricondotta ai modelli usati da Alberto Stasi. Quell’impronta risultò decisiva nella sentenza della Cassazione del 2015, che ritenne il fidanzato responsabile dell’omicidio con dolo d’impeto. Ora, la conferma dell’esclusività del Dna di Chiara riduce ulteriormente l’ipotesi di un intruso sopraggiunto nella fase immediatamente successiva al delitto.

Le scale, teatro della disperata fuga della vittima verso l’uscita, presentavano all’epoca oltre cento schizzi ematici di varia consistenza. Solo due di essi, minime strisciate a metà rampa, avevano restituito allora un quantitativo utile per la tipizzazione. La recente ripresa a elevata risoluzione 3D dell’intero vano, effettuata dal Ris di Cagliari con laser scanner e droni, ha consentito di rimappare punto per punto la proiezione delle gocce, delineando una traiettoria coerente con un violentissimo colpo ricevuto al piano superiore e lo scivolamento lungo i gradini. Anche in questo caso, la genetica scioglie i dubbi rimasti.

Sul fronte processuale, il calendario stabilito dalla gip prevede entro settembre la consegna della relazione definitiva sulle unghie, seguita da una camera di consiglio che dovrà decidere se archiviare la nuova iscrizione o disporre ulteriori atti. L’eventuale integrazione dei profili con le banche dati nazionali, oggi più estese rispetto al 2007, potrebbe offrire un ultimo metro di verifica. Tuttavia, la prospettiva di un diverso scenario investigativo si affievolisce man mano che i test ripropongono il medesimo esito: la scena del crimine non mostra impronte biologiche differenti da quelle di Chiara.

Per la comunità di Garlasco, ancora segnata da un femminicidio che scosse l’opinione pubblica, l’ennesima tornata peritale rappresenta tanto un’occasione di verità quanto un prolongamento di dolore. Diciotto anni dopo, la cronaca giudiziaria continua a sovrapporsi al ricordo di una ragazza descritta da amici e colleghi come riservata e brillante. Nel silenzio del quartiere residenziale dove i Poggi abitavano, la villetta resta sotto sequestro, avvolta da nastri bianchi e rossi: simbolo di un caso che, nonostante le sentenze, non cessa di interpellare la giustizia.

Se, come oggi appare, il Dna non schiuderà nuovi interrogativi, l’ultimo margine risiederà nella capacità della tecnologia di valorizzare impronte e microtracce finora considerate residuali. Laddove anche questi tentativi si rivelassero inconcludenti, la riapertura del fascicolo rischia di chiudersi senza modificare l’impianto probatorio che ha retto a tre gradi di giudizio, lasciando intatto il nodo dell’irrevocabilità della condanna e della necessità, per la giustizia, di esaurire ogni ragionevole dubbio. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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