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Delitto di Garlasco, la consulenza della difesa Stasi: “Impronta 33 è di Sempio ed è intrisa di sangue”

Secondo la consulenza depositata dai periti di Alberto Stasi, l’impronta 33 sul muro della casa di Chiara Poggi apparterrebbe ad Andrea Sempio ed evidenzierebbe la presenza di sangue.

La nuova relazione tecnica consegnata dai consulenti di parte della difesa di Alberto Stasi riaccende con vigore il confronto scientifico intorno alla celebre impronta 33, la traccia palmare rinvenuta nel 2007 sul muro delle scale della villetta di via Pascoli a Garlasco, a pochi passi dal corpo senza vita di Chiara Poggi. Secondo il pool coordinato dagli esperti Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, l’impronta apparterrebbe ad Andrea Sempio, amico del fratello della vittima oggi indagato nell’inchiesta riaperta dalla Procura di Pavia, e risulterebbe «intrisa di sudore e materiale ematico», un dettaglio che, se confermato da ulteriori accertamenti, rafforzerebbe l’ipotesi di una partecipazione diretta dell’indagato alla violenta aggressione consumatasi la mattina del 13 agosto 2007.

Il documento – oltre sessanta pagine corredate da fotografie ad alta risoluzione, analisi sperimentali su intonaci trattati con ninidrina e modelli biometrici – descrive una deposizione «intensa» del palmo destro, incompatibile con un semplice appoggio durante la discesa delle scale, ma compatibile con un’azione in cui l’autore avrebbe esercitato pressione sul muro, verosimilmente per mantenere l’equilibrio mentre trascinava o affrontava fisicamente la vittima. Gli esperti evidenziano che le zone più scure, esaltate dal reagente chimico utilizzato dai Ris, sono indice di una commistione fra secrezioni sudoripare e residui ematici, circostanza che, a loro giudizio, spiegherebbe la mancata individuazione di sangue nei test eseguiti all’epoca, poiché la ninidrina può inibire i tradizionali esami ematologici.

La consulenza depositata dai legali Giada Bocellari e Antonio De Rensis giunge in un momento decisivo dell’indagine, giacché la gip Daniela Garlaschelli ha da poco esteso l’incidente probatorio alle impronte rilevate su para-adesivi e rifiuti domestici repertati nella villetta, escludendo tuttavia la stessa impronta 33 perché priva di reperto fisico su cui effettuare analisi ripetibili. La scelta ha generato un serrato confronto fra le parti: la famiglia Poggi, parte offesa, ha chiesto invano l’inclusione della fotografia della traccia; la difesa di Sempio si è opposta, sostenendo l’assenza di elementi utili; la Procura ha confermato la propria linea, reputando l’immagine non idonea a un incidente probatorio su basi genetiche.

La posizione di Andrea Sempio, già archiviata nel 2017, è tornata centrale nel 2025 dopo l’emersione del profilo genetico maschile definito «Ignoto 3», rilevato su una garza utilizzata durante l’autopsia di Chiara Poggi. Gli accertamenti disposti sul tampone oro-faringeo mirano a chiarire se tale profilo possa indicare un soggetto ancora sconosciuto o rimandare a contaminazioni pregresse, tema sul quale la difesa Stasi insiste nella prospettiva di una revisione della sentenza definitiva che lo ha condannato a 16 anni.

Le conclusioni degli esperti di Stasi si pongono in netto contrasto con la consulenza presentata a inizio luglio dai periti di Andrea Sempio – l’ex comandante del Ris Luciano Garofano e il dattiloscopista Luigi Bisogno – secondo i quali l’impronta sarebbe priva di sangue e non conterrebbe minuzie sufficienti a un’attribuzione certa, giacché molte delle corrispondenze individuate dalla Procura sarebbero riconducibili a semplici irregolarità dell’intonaco. Analoga impostazione è stata adottata dai consulenti incaricati dalla famiglia Poggi, Calogero Biondi e Dario Redaelli, i quali definiscono la traccia «inutilizzabile» a fini dattiloscopici e descrivono un appoggio rapido, plausibilmente sudato ma non insanguinato.

Questo conflitto interpretativo, tutt’altro che secondario, solleva interrogativi cruciali sulla solidità del quadro indiziario che, nelle intenzioni della Procura, dovrebbe chiarire il ruolo di eventuali concorrenti nell’omicidio e l’eventuale corresponsabilità dello stesso Stasi. Da un lato, la difesa del condannato insiste perché ogni indizio venga sottoposto a verifica, sostenendo che la possibilità di contaminazioni o di errori di attribuzione potrebbe ridisegnare la mappa probatoria e giustificare l’avvio di un percorso di revisione processuale; dall’altro, il collegio difensivo di Sempio ribadisce la non univocità delle evidenze palmari e contesta la metodologia seguita dagli esperti dell’accusa, parlando di «pregiudizio interpretativo» e assenza di un numero sufficiente di corrispondenze papillari.

Al di là della disputa tecnica, il valore forense della traccia 33 resta inevitabilmente condizionato dalla scelta di trattare il reperto, ormai diciotto anni fa, con la ninidrina, procedura che, pur rendendo visibile l’impronta, ha impedito qualunque successiva analisi genetica diretta. Ciò che rimane è una fotografia ad alta definizione, dalla quale ciascun consulente tenta di estrarre elementi convergenti con la propria linea difensiva, affidandosi a raffronti ottici, algoritmi di sovrapposizione e sperimentazioni in laboratorio su materiali similari. Tale contesto, privo di un supporto fisico originale, complica non poco la possibilità di raggiungere una conclusione condivisa e lascia spazio a interpretazioni divergenti.

Intanto il calendario dell’incidente probatorio procede: dopo l’estate sarà la volta delle perizie genetiche sui reperti contenuti nei fogli di acetato e nei sacchetti della spazzatura, ai quali si affiancherà l’esame delle impronte latenti da parte del dattiloscopista Domenico Marchigiani. L’esito di tali accertamenti potrebbe corroborare oppure indebolire l’impianto accusatorio nei confronti di Sempio, influenzando di riflesso la strategia della difesa Stasi, sempre più orientata a dimostrare l’inaffidabilità delle prove che ne determinarono la condanna.

Tra le parti in causa lo scontro si gioca anche sul piano comunicativo: gli avvocati della famiglia Poggi lamentano un’attenzione eccessiva verso l’indagato e verso il condannato, a loro dire a scapito dell’accertamento dei fatti e della memoria della vittima; la Procura rivendica invece la necessità di completare gli approfondimenti, definendo prematuri i giudizi di merito. Nel frattempo, il dibattito pubblico si alimenta attraverso programmi televisivi di cronaca e speciali d’approfondimento che rilanciano, spesso in tempo reale, le tesi delle varie fazioni, contribuendo a mantenere alta l’attenzione mediatica.

In attesa dei prossimi passaggi procedurali, resta dunque sospesa la questione centrale: se davvero l’impronta 33 contenga residui ematici e sia riconducibile a Sempio, la sua collocazione accanto al luogo in cui Chiara Poggi subì l’aggressione potrebbe far ipotizzare una scena del crimine differente rispetto a quella ricostruita nei tre gradi di giudizio terminati nel 2015. Se, al contrario, la traccia dovesse confermarsi priva di sangue o non sufficientemente nitida per un’attribuzione univoca, la nuova inchiesta rischierebbe di concludersi con un nulla di fatto, lasciando immutato il verdetto pronunciato dalla Cassazione.

Al momento, il fascicolo aperto dalla Procura pavese rimane tecnicamente «pendente», con l’indagato che si proclama estraneo all’omicidio e la difesa Stasi determinata a utilizzare ogni elemento in chiave revisione. Saranno dunque i risultati dei test genetici sui reperti e l’eventuale decisione di sottoporre a vaglio processuale la fotografia dell’impronta 33 a determinare il destino di un caso che, a quasi due decenni dai fatti, continua a dividere periti, magistrati e opinione pubblica.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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