Un caso che fa discutere quello emerso nelle aule del tribunale di Sassari, dove un uomo di 68 anni è sotto processo con l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’INPS per aver percepito indebitamente la pensione di invalidità per cecità totale dal 2007 al 2020, incassando circa 189.000 euro dalle casse pubbliche attraverso una messinscena durata ben tredici anni, durante la quale avrebbe simulato una condizione di cecità che gli inquirenti ritengono inesistente, come dimostrato da una serie di comportamenti incompatibili con tale stato e da un dettaglio particolarmente imbarazzante emerso durante le perquisizioni nella sua abitazione.
L’elemento più curioso dell’intera vicenda giudiziaria, che ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media, è stato rivelato durante l’udienza dello scorso 24 aprile davanti al giudice Claudia Sechi, quando un agente della polizia giudiziaria ha riferito del ritrovamento di numerosi DVD a luci rosse nell’abitazione dell’imputato, un particolare che per l’accusa rappresenta un’ulteriore prova della falsità della sua condizione, poiché, secondo la tesi del pubblico ministero Giovanni Porcheddu, quale utilità avrebbe potuto avere per un non vedente conservare materiale videoludico di natura erotica se non quella di fruirne visivamente, contraddicendo così la dichiarata cecità totale che gli garantiva mensilmente circa 1300 euro di pensione.
Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza hanno ricostruito minuziosamente le abitudini quotidiane dell’uomo, documentando come si muovesse con disinvoltura negli spazi pubblici senza alcun ausilio tipicamente utilizzato dai non vedenti, come il bastone bianco o il cane guida, e come fosse perfettamente in grado di orientarsi autonomamente per le strade del proprio paese, osservando il traffico e guardando sia a destra che a sinistra prima di attraversare le strade, comportamenti difficilmente conciliabili con una condizione di cecità totale come quella certificata nei documenti presentati all’INPS per ottenere il riconoscimento dell’invalidità.
Particolarmente significativo nel quadro probatorio costruito dall’accusa è il fatto che l’imputato si recasse personalmente presso l’ufficio postale per ritirare mensilmente il proprio assegno di invalidità, senza necessitare di alcuna assistenza, per poi svolgere autonomamente le proprie commissioni quotidiane e passeggiare per il centro abitato, dimostrando una padronanza degli spazi e una capacità di orientamento che hanno insospettito gli investigatori e portato all’avvio di un’indagine approfondita sulla sua reale condizione fisica, culminata nelle perquisizioni domiciliari che hanno portato alla luce il controverso ritrovamento della collezione di film per adulti.
La difesa dell’imputato, affidata all’avvocato Dario Masala, ha tentato di ridimensionare la portata probatoria del ritrovamento dei DVD, sostenendo che il mero possesso di tale materiale non costituisce prova certa che l’uomo fosse effettivamente in grado di visionarlo, ma questa argomentazione non sembra aver convinto i magistrati, che hanno disposto una perizia medico-legale per accertare l’effettiva condizione visiva dell’imputato, la quale ha confermato che l’uomo soffre effettivamente di una ipovisione, ma non della cecità totale dichiarata nei documenti con cui aveva ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile al 100% e il conseguente diritto alla pensione.
Secondo la normativa italiana in materia di cecità civile, vengono considerati ciechi assoluti coloro che sono completamente privi della vista o che hanno una mera percezione dell’ombra e della luce, mentre sono definiti ciechi parziali le persone con un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi, distinzioni importanti che comportano differenti trattamenti economici e assistenziali, con la pensione di invalidità per cecità totale che risulta essere notevolmente più elevata rispetto a quella riconosciuta per condizioni di ipovisione di minore entità, elemento che potrebbe aver spinto l’imputato a dichiarare una condizione più grave di quella effettivamente sofferta.
Il procedimento penale a carico del sessantottenne sassarese si inscrive nel più ampio fenomeno dei cosiddetti “falsi invalidi”, persone che simulano o aggravano artificiosamente condizioni di disabilità per ottenere benefici economici e fiscali riservati a chi effettivamente soffre di gravi menomazioni, un fenomeno che, secondo le statistiche dell’INPS, ha portato all’apertura di numerose indagini negli ultimi anni, sebbene il numero di casi effettivamente accertati rappresenti una percentuale molto bassa rispetto al totale delle pensioni di invalidità erogate, a dimostrazione che, nonostante la risonanza mediatica di casi come quello in esame, il sistema dei controlli risulta generalmente efficace.
Il reato contestato all’imputato è quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, previsto dall’articolo 640-bis del codice penale, che prevede pene severe per chi, mediante artifizi o raggiri, induce in errore lo Stato o altri enti pubblici per ottenere indebitamente contributi, finanziamenti o altre erogazioni dello stesso tipo, con una pena che va da due a sette anni di reclusione, oltre all’obbligo di risarcire il danno economico causato all’erario, che in questo caso ammonta a circa 189.000 euro, pari agli importi indebitamente percepiti durante i tredici anni di presunta simulazione.
Il processo, che ha già visto sfilare diversi testimoni tra cui il medico legale incaricato dalla Procura e un maresciallo della Guardia di Finanza che ha riferito degli appostamenti e dei pedinamenti effettuati per documentare i comportamenti sospetti dell’imputato, proseguirà con la prossima udienza fissata per il 22 ottobre, quando saranno ascoltati altri testimoni e valutate ulteriori prove per stabilire definitivamente se l’uomo abbia effettivamente truffato lo Stato fingendo una condizione di cecità totale per oltre un decennio, o se vi siano elementi a sostegno della tesi difensiva secondo cui, nonostante alcune incongruenze comportamentali, la sua condizione di invalidità fosse comunque meritevole di tutela economica.
La vicenda solleva interrogativi importanti sull’efficacia dei controlli preventivi nell’ambito delle invalidità civili e sulla necessità di rafforzare i sistemi di verifica periodica delle condizioni che danno diritto alle prestazioni assistenziali, al fine di garantire che le risorse pubbliche destinate al sostegno delle persone effettivamente bisognose non vengano dirottate impropriamente verso chi, pur non avendone diritto, cerca di approfittare delle maglie talvolta larghe del sistema di welfare, danneggiando non solo le casse dello Stato ma anche l’immagine e la credibilità di tutti coloro che realmente soffrono di disabilità e necessitano del supporto della collettività.