Un piano draconiano per ridurre l’immigrazione legale ed evitare che la Gran Bretagna diventi “un’isola di stranieri”. Lo ha lanciato il premier laburista moderato Keir Starmer presentando una serie di misure fortemente restrittive nei confronti dei tanti che scelgono il Regno Unito per studiare o lavorare, con l’obiettivo dichiarato di “riprendere finalmente il controllo dei confini”, segnando una virata del suo governo verso toni e posizioni tipici della destra in un dossier cruciale per il futuro politico del Labour.
“Tutti gli aspetti del sistema di immigrazione, compresi quelli relativi al lavoro, al ricongiungimento familiare e ai visti di studio, saranno rafforzati in modo da poterli controllare meglio”, ha affermato il primo ministro in una conferenza stampa che ha marcato un cambiamento significativo nell’approccio del partito laburista al tema dell’immigrazione, tema storicamente associato alle politiche della destra conservatrice britannica e che ora viene adottato anche dalla sinistra moderata di governo, in quella che appare come una mossa strategica per arginare l’ascesa del partito populista Reform UK.
Da tempo Sir Keir si sta muovendo in questa direzione: la corsa è stata accelerata dai timori per la costante crescita nei sondaggi del partito trumpiano Reform UK, guidato da Nigel Farage, e dalla sua vittoria nelle recenti elezioni amministrative in Inghilterra e nella suppletiva con cui ha conquistato un nuovo seggio alla Camera dei Comuni, arrivando addirittura a sfiorare il 33% dei consensi nei più recenti rilevamenti demoscopici, superando nettamente il Labour di Starmer e i Conservatori ora guidati da Kemi Badenoch in quello che rappresenta un vero e proprio terremoto politico per il tradizionale bipartitismo britannico.
L’esecutivo d’ora in poi, con le “severe restrizioni” previste dal Libro Bianco presentato in Parlamento, vuole iniziare – spiega Starmer – a “scegliere chi viene qui, in modo che l’immigrazione sia al servizio del nostro interesse nazionale”, con tanto di avviso a quanti dentro il Labour si oppongono a un rigido controllo degli ingressi, segnalando che la nuova linea non sarà oggetto di discussione interna e che il governo procederà senza esitazioni nella direzione intrapresa nonostante le critiche che già si levano dall’ala più progressista del partito.
“Rischiamo di diventare un’isola di stranieri, non una nazione che cammina unita”, è l’allarme lanciato dal primo ministro mentre il suo governo presentava le politiche volte a ridurre l’immigrazione e a respingere il crescente sostegno all’estrema destra nel Paese, contenute nel Libro bianco di 82 pagine che delinea la nuova strategia in materia di immigrazione, un documento che segna un punto di svolta nella gestione dei flussi migratori verso il Regno Unito dopo anni di politiche considerate troppo permissive sia dalla destra che da ampi settori dell’opinione pubblica.
Le restrizioni riguardano tutte le tipologie di visto per il Regno, che si tratti di lavoratori, ai quali verrà richiesto come minimo la laurea, o studenti, per i quali aumenteranno i prerequisiti necessari alle università per l’iscrizione e che non potranno rimanere oltre i diciotto mesi dal conseguimento del titolo di studio. Per tutti poi aumentano i livelli di conoscenza della lingua inglese rispetto a quelli previsti attualmente, in un chiaro segnale della volontà di selezionare con maggior rigore chi potrà entrare e stabilirsi nel paese.
Inoltre fra le misure c’è l’estensione da cinque a dieci anni del periodo necessario per ottenere il permesso di residenza permanente, con eccezioni previste per personale molto richiesto, come infermieri, medici, ingegneri e manager nel campo dell’intelligenza artificiale, figure professionali che potranno ottenere la residenza in tempi più brevi data la loro rilevanza strategica per l’economia e i servizi pubblici britannici, in particolare per un sistema sanitario nazionale che tradizionalmente fa ampio ricorso a personale straniero qualificato.
Presi di mira in particolare i lavori non qualificati: saranno fortemente limitati per gli immigrati, con penalizzazioni previste per le imprese che non scelgono cittadini britannici, un approccio che mira a incentivare l’occupazione locale anche nei settori tradizionalmente meno appetibili per i lavoratori autoctoni ma che pone interrogativi sulla sostenibilità di alcuni comparti economici, come quello dell’assistenza agli anziani, che potrebbero trovarsi a fronteggiare una grave carenza di personale a seguito di queste restrizioni.
“Questo piano significa che l’immigrazione diminuirà. È una promessa”, ha dichiarato Starmer sottolineando come il nuovo sistema miri a creare un meccanismo migratorio “controllato, selettivo ed equo” dove stabilirsi nel Regno Unito deve diventare “un privilegio guadagnato, non un diritto”, riprendendo slogan che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo della destra conservatrice e populista e che ora vengono fatti propri dal governo laburista in quella che appare come una decisa sterzata verso posizioni più restrittive sul tema.
Le parole di Starmer hanno prevedibilmente scatenato una bufera nel Regno Unito e non solo. L’organizzazione in difesa dei migranti Care4Calais lo ha accusato di “alimentare il fuoco dell’estrema destra” e di usare un linguaggio pericoloso che potrebbe legittimare posizioni xenofobe, chiedendo pubblicamente le sue scuse per il riferimento all'”isola di stranieri” considerato particolarmente problematico e divisivo in un contesto sociale già segnato da tensioni sul tema dell’immigrazione.
Critiche sono arrivate anche da destra: il leader del partito Reform UK, Nigel Farage, ha bollato il piano come “pieno di promesse che non potrà mantenere”, accusando Starmer di inseguire il consenso populista per contrastare l’ascesa del suo movimento ma senza la reale volontà di implementare misure davvero efficaci per ridurre drasticamente l’immigrazione, dimostrando come per il premier laburista si prospetti il rischio di scontentare sia la propria base tradizionale sia gli elettori più conservatori che considera queste misure ancora insufficienti.
Anche l’Italia ha fatto sentire la sua voce. Da Londra, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha commentato la nuova stretta britannica affermando che “gli studenti europei non sono un rischio migratorio” e sottolineando come la decisione del governo britannico rischi di danneggiare anche il Regno Unito stesso, che potrebbe perdere l’apporto di giovani qualificati, un patrimonio di competenze e talenti che ha tradizionalmente contribuito alla crescita economica e culturale del paese.
La virata di Starmer verso una politica migratoria più restrittiva rappresenta un cambiamento significativo per il Partito Laburista, tradizionalmente più aperto sul tema dell’immigrazione, e segnala la crescente influenza delle posizioni populiste e nazionaliste nel panorama politico britannico, in un contesto in cui l’ascesa di Reform UK di Farage sta ridisegnando gli equilibri elettorali costringendo anche le forze moderate ad adottare posizioni precedentemente considerate appannaggio dell’estrema destra per non perdere consenso presso un elettorato sempre più sensibile alle tematiche dell’identità nazionale e del controllo dei confini.
Questa svolta segna un ulteriore passo nel percorso post-Brexit della Gran Bretagna, che continua a cercare una nuova definizione del proprio rapporto con il resto del mondo e in particolare con l’immigrazione, tema che era stato centrale nella campagna referendaria del 2016 e che continua a dominare il dibattito politico nazionale, influenzando le scelte strategiche di tutti i partiti politici britannici in una competizione per intercettare un sentimento diffuso di insicurezza e di resistenza ai cambiamenti demografici e culturali che attraversano la società britannica contemporanea.