La Germania si appresta a compiere una svolta epocale nella propria politica di difesa, tornando a considerare seriamente la reintroduzione della leva militare obbligatoria dopo averla sospesa nel 2011. Una decisione che non rappresenta soltanto un cambiamento tecnico nell’organizzazione delle forze armate, ma il riflesso di una Germania che, di fronte alla guerra in Ucraina e alle crescenti tensioni geopolitiche, riconosce la necessità di rafforzare drasticamente le proprie capacità militari.
Il vice cancelliere tedesco Lars Klingbeil ha espresso con chiarezza la filosofia che guida questa trasformazione: “Il nostro compito è garantire un futuro in cui potremo continuare a vivere in sicurezza in Germania, e per farlo dobbiamo colmare le carenze degli ultimi decenni“. Questa dichiarazione racchiude il senso di urgenza che permea l’attuale dibattito politico tedesco, dove la sicurezza nazionale è tornata a essere una priorità assoluta dopo anni di relativa tranquillità strategica.
Il progetto del governo tedesco prevede inizialmente la creazione di un “nuovo servizio militare attraente” basato sulla partecipazione volontaria. Tuttavia, il ministro della Difesa Boris Pistorius intende includere nella nuova legge anche l’opzione della coscrizione obbligatoria, che entrerebbe in vigore qualora il numero di volontari risultasse insufficiente per soddisfare le esigenze delle forze armate. Questa doppia strategia riflette un approccio pragmatico che riconosce sia le preferenze di una società moderna sia le necessità concrete della difesa nazionale.
Le cifre che emergono dall’analisi della situazione attuale delle forze armate tedesche dipingono un quadro preoccupante. Alla fine del 2024, alla Bundeswehr mancavano circa 22.000 soldati su un obiettivo di 203.000 unità. Attualmente, le forze armate tedesche contano circa 181.000 soldati, con un’età media che ha raggiunto i 34 anni. Il 28% delle posizioni nei ranghi più bassi non sono coperte, mentre manca circa il 20% degli ufficiali richiesti. Particolarmente allarmante è il tasso di abbandono tra i nuovi reclutamenti, con il 25% dei soldati che lascia l’esercito entro sei mesi.
L’obiettivo dichiarato dal ministro Pistorius è ambizioso: aumentare di almeno 60.000 unità il numero di soldati attivi e costituire una riserva di 200.000 riservisti. Questi numeri non sono casuali, ma riflettono valutazioni strategiche precise sulle capacità necessarie per fronteggiare le sfide di sicurezza contemporanee. La creazione di una riserva consistente rappresenta un elemento chiave della nuova dottrina militare tedesca, ispirata ai modelli nordici che hanno dimostrato efficacia nell’attuale contesto geopolitico.
Il riferimento al modello svedese non è accidentale. La Svezia, che aveva sospeso il servizio militare obbligatorio nel 2010, lo ha reintrodotto nel 2017 di fronte al deterioramento della situazione di sicurezza europea. Nel 2023, 4.000 giovani svedesi hanno completato il servizio militare obbligatorio, e le autorità prevedono di aumentare il numero a 6.000 nel 2025 e a 10.000 entro il 2030. Questo precedente offre alla Germania un modello testato per la transizione verso un sistema misto volontario-obbligatorio.
La campagna di reclutamento volontario ha prodotto risultati parziali, evidenziando sia i progressi che i limiti dell’approccio attuale. Nel 2024, le Bundeswehr hanno raccolto circa il 19% di domande in più rispetto all’anno precedente, passando da 43.200 a 51.200 candidati. Le adesioni femminili sono aumentate del 14%, raggiungendo quota 8.200, mentre le domande per i settori civili hanno registrato un incremento del 41%, arrivando a 88.300 unità. Tuttavia, questi numeri non si traducono automaticamente in un aumento degli effettivi, poiché non tutti i candidati risultano idonei e circa 20.000 reclute hanno contemporaneamente abbandonato il percorso militare.
La dimensione economica del riarmo tedesco è altrettanto significativa. Il cancelliere Friedrich Merz ha già fatto elaborare un piano da 900 miliardi di euro per armi e infrastrutture, una cifra che equivale al doppio del bilancio federale annuale. La spesa per la difesa crescerà progressivamente da 95 miliardi di euro nel 2025 fino a 162 miliardi nel 2029, raggiungendo il 3,5% del PIL per spese militari dirette con un ulteriore 1,5% per spese legate alla tutela delle infrastrutture. Questi investimenti colossali riflettono la percezione tedesca di una minaccia esistenziale che richiede una risposta proporzionata.
La questione della leva militare obbligatoria non è unanimemente accolta all’interno del panorama politico tedesco. Mentre il presidente della Baviera Markus Söder (CSU) ha espresso il proprio consenso, sottolineando la minaccia rappresentata dalla Russia e citando l’esempio di Svezia e Finlandia che hanno aderito alla NATO per proteggere le proprie acque e spazio aereo, alcuni membri dell’SPD mostrano maggiore cautela. Il capogruppo parlamentare Matthias Miersch ha affermato che il servizio militare obbligatorio potrebbe essere discusso al più presto nella prossima legislatura.
Particolarmente interessante è l’evoluzione del dibattito interno alla SPD, dove una parte cospicua di socialisti ha proposto, in un manifesto ottenuto dalla rivista Stern, un’inversione di rotta in politica estera e di sicurezza. Oltre 100 firmatari, tra cui figure di spicco come l’ex capogruppo parlamentare Rolf Mützenich e l’ex ministro delle finanze Hans Eichel, sostengono che “la retorica dell’allarme militare e i massicci programmi di riarmo non creano maggiore sicurezza per la Germania e l’Europa, ma portano piuttosto alla destabilizzazione”.
Il contesto internazionale che ha portato a questa svolta è caratterizzato da una percezione crescente della minaccia russa. Documenti riservati dell’esercito tedesco hanno delineato scenari di possibili attacchi ibridi da parte della Russia contro l’Europa, con particolare attenzione ai Paesi baltici. Questi piani prevedrebbero il coinvolgimento di circa 200.000 nuove reclute dell’esercito russo impiegate inizialmente contro l’Ucraina, per poi lasciare spazio a operazioni di guerra cibernetica e ibrida contro l’Europa.
La pressione internazionale gioca un ruolo determinante nelle scelte tedesche. Il presidente americano Donald Trump ha chiarito che gli alleati europei dovranno contribuire in maniera significativa alla sicurezza collettiva, ben più di quanto non facessero in passato. L’obiettivo NATO di portare la spesa per la difesa al 5% del PIL entro il 2035 – 3,5% per la difesa militare e 1,5% per la sicurezza nazionale allargata – rappresenta un target che la Germania sembra disposta ad accettare.
Le sfide logistiche per la reintroduzione della leva obbligatoria sono considerevoli. Il ministro Pistorius ha sottolineato che attualmente “il numero di caserme e campi di addestramento non sarebbe sufficiente, sebbene si stiano costruendo più infrastrutture rispetto agli anni precedenti”. Questa carenza infrastrutturale riflette decenni di disinvestimento militare e richiederà tempo e risorse significative per essere colmata.
Il dibattito sulla leva militare obbligatoria si inserisce in un contesto più ampio di trasformazione della società tedesca. Dopo decenni di pacifismo e reticenze sul proprio passato militare, la Germania sta abbracciando un nuovo paradigma: prepararsi alla guerra. Questo cambiamento culturale è visibile anche nel dibattito pubblico, dove intellettuali e politici discutono apertamente dell’eventualità di uno scontro con la Russia, rendendo la guerra non più un tabù ma un argomento di discussione quotidiano.
La Germania del 2025 si trova di fronte a una scelta che definirà il proprio futuro strategico. La possibile reintroduzione della leva militare obbligatoria rappresenta molto più di una decisione tecnica: è il simbolo di una nazione che, di fronte alle minacce del XXI secolo, riscopre la necessità di una difesa robusta e credibile. Il percorso verso questa trasformazione sarà complesso e richiederà il superamento di resistenze politiche, sfide logistiche e trasformazioni culturali profonde. Tuttavia, la determinazione mostrata dal governo tedesco e l’ampiezza degli investimenti previsti suggeriscono che questa svolta non sarà più reversibile, segnando l’inizio di una nuova era per la sicurezza europea.