Un tenue ma prezioso segnale radio proveniente dagli albori dell’universo potrebbe svelare, per la prima volta, come si formarono le primissime stelle, gettando nuova luce su uno dei capitoli più oscuri della storia cosmica. Un team di ricercatori dell’Università di Cambridge, utilizzando il radiotelescopio SARAS 3, ha individuato un’eco radio che risale a circa 200 milioni di anni dopo il Big Bang, un’epoca conosciuta come “alba cosmica”, quando l’universo cominciava a passare da un mare di idrogeno neutro e buio a un cosmo popolato da fonti luminose.
Le prime stelle sono state fondamentali per trasformare la materia primordiale: la loro intensa radiazione ultravioletta ha iniziato a ionizzare l’idrogeno, rendendo l’universo trasparente e permettendo alla luce di viaggiare liberamente. Ma fino a oggi, ricostruire questo momento cruciale è stato quasi impossibile perché il segnale radio che lo accompagna, prodotto dalle transizioni dell’idrogeno a 21 centimetri, è incredibilmente debole: miliardi di volte più fioco delle interferenze causate dalla nostra stessa galassia o dalle emissioni radio artificiali sulla Terra.
Il segnale individuato dal team, grazie a sofisticati algoritmi di riduzione del rumore e a un’attenta calibrazione del radiotelescopio posizionato in una zona remota per ridurre al minimo le interferenze umane, ha permesso di porre vincoli stringenti su diversi modelli teorici di formazione stellare. In particolare, le caratteristiche del segnale indicano che il gas di idrogeno primordiale non si è raffreddato in modo estremo come previsto da alcune ipotesi alternative che coinvolgevano, ad esempio, interazioni con la materia oscura. Ciò suggerisce che le prime stelle potrebbero essere state più massicce e calde di quanto stimato, capaci di emettere una quantità di radiazione sufficiente a riscaldare e ionizzare rapidamente l’idrogeno circostante.
Questi risultati non rappresentano ancora una rilevazione definitiva delle prime stelle, ma aprono una finestra osservativa senza precedenti: la possibilità di studiare direttamente l’idrogeno neutro dell’universo primordiale permette di restringere i parametri della nascita stellare e di comprendere come la radiazione delle prime fonti luminose abbia inciso sulla materia oscura e sull’evoluzione delle grandi strutture cosmiche.
Proseguire in questa direzione, spiegano i ricercatori, significherà mappare l’alba cosmica con una precisione mai raggiunta, un passo fondamentale per ricostruire la cronologia completa della trasformazione dell’universo da un luogo opaco e inospitale a uno trasparente e pullulante di galassie.