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Fausto Bertinotti mette all’asta le sue opere d’arte: “Ho bisogno di soldi”

Il 2 luglio Finarte batterà a Milano due serigrafie di Andy Warhol appartenute a Fausto Bertinotti, stimate 20-30mila euro ciascuna, insieme ad altri lavori di Dorazio, Fioroni e Maselli.
Credit © la7

L’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti, ottantacinque anni compiuti a marzo, affida alla casa d’aste Finarte di Milano due celebri serigrafie di Andy Warhol raffiguranti Mao Tse-tung, cedute insieme ad altri pezzi della propria raccolta il prossimo 2 luglio, con valutazioni comprese fra venti e trentamila euro l’una; la decisione è accompagnata dalla confessione, laconica quanto disarmante, di avere «bisogno di soldi».

L’incanto rientra nell’asta di Arte moderna e contemporanea con la quale Finarte proporrà circa centocinquanta lotti, fra cui il Texas di Alberto Burri, tre opere provenienti dalla collezione di Monica Vitti e la selezione di quadri e sculture appartenuti ai coniugi Bertinotti, annunciando una sessione che gli esperti ritengono fra le più attese dell’estate milanese.

Le due tele serigrafate, realizzate da Warhol nel 1972 in tiratura di duecentocinquanta esemplari, portano in dote la forza iconografica di un leader comunista trasformato in feticcio pop: un cortocircuito ideologico che negli anni ha alimentato polemiche sul presunto valore milionario delle opere, ora ridimensionato dalla stima ufficiale diffusa dalla casa d’aste.

Le serigrafie arrivarono a Bertinotti per lascito testamentario del banchiere Mario D’Urso, figura mondana della finanza internazionale, già nel consiglio di Lehman Brothers e amico personale del politico; sull’eredità si aprì un contenzioso con la figlia americana Nikki Kay Carlson, poi risolto in appello, circostanza che spiega la decisione di monetizzare il bene oggi che la vicenda giudiziaria è chiusa.

In catalogo compaiono inoltre due Composizioni di Piero Dorazio, stimate fra mille e quattromila euro, una scultura in ceramica policroma di Giosetta Fioroni valutata tremila euro e un Camion del 1976 firmato da Titina Maselli, stimato fino a seimila: nuclei che testimoniano l’attenzione collezionistica dei Bertinotti verso l’astrattismo italiano e la pop art nazionale.

«Si è troppo favoleggiato sul valore di queste serigrafie, si parlava di milioni», ha dichiarato l’ex segretario di Rifondazione comunista, spiegando di voler chiudere ogni illazione sulle presunte ricchezze dei cosiddetti «comunisti in cachemire» e rivendicando, nel medesimo gesto, una sorta di piccola vendetta nei confronti di quanti avevano ingigantito il prestigio economico della collezione.

Il paradosso politico-estetico racchiuso nei ritratti di Mao, già trasformati da Warhol in merce pop, riflette in filigrana la traiettoria di un dirigente sindacale cresciuto nella militanza operaia e approdato ai vertici istituzionali, chiamato a misurarsi con la necessità di liquidità in un mercato dell’arte che non esita a mercificare simboli ideologici del Novecento.

Le opere di Dorazio dedicate a Lella Bertinotti, con iscrizioni augurali che rimandano a ricorrenze private, suggellano il rapporto diretto fra artista e collezionisti, mentre la scultura di Fioroni e il dipinto di Maselli completano un nucleo eterogeneo nel quale coesistono astrazione lirica, pop italiano e pittura figurativa urbana.

Finarte ha programmato presentazioni itineranti: dopo le preview di Milano e Roma, una tappa a Napoli ha offerto a curatori e critici l’occasione di inquadrare il significato culturale della collezione, sottolineando l’appeal commerciale che la provenienza «illustre» conferisce ai lotti in catalogo.

Secondo gli analisti del settore, in sala si potrebbe superare di parecchio la stima iniziale, con offerte in grado di spingersi fino a centocinquantamila euro per ciascuna serigrafia, qualora si inneschi la competizione fra collezionisti internazionali alla ricerca di opere di provenienza politica certificata.

Qualunque sarà l’esito del martello, l’asta del 2 luglio sancisce un passaggio di consegne fra la memoria politica di una stagione ideologica e la logica spietata del mercato dell’arte, in cui anche i simboli della rivoluzione cinese possono diventare, in mano a un ex leader comunista italiano, un necessario strumento di autofinanziamento.

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