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Iveco in vendita, Elkann verso la cessione all’indiana Tata Motors

Exor valuta la cessione di Iveco a Tata Motors: mentre il titolo corre in Borsa, governo e sindacati chiedono garanzie su occupazione e asset strategici.
Credit © Iveco

La notizia, rimbalzata dalle agenzie internazionali e mai smentita dai soggetti coinvolti, secondo cui Exor – la holding della famiglia Agnelli-Elkann – starebbe finalizzando un’intesa per la cessione di Iveco Group al colosso indiano Tata Motors, ha scosso i mercati, acceso le preoccupazioni sindacali e riaperto la riflessione sul futuro del comparto automotive pesante in Italia.

Sebbene Exor detenga “soltanto” il 27,1 per cento del capitale del costruttore torinese, i diritti di voto qualificati al 43,1 per cento le consentono di esercitare un controllo pieno sul gruppo e di guidarne le scelte strategiche. In virtù di questa posizione la holding può negoziare direttamente il passaggio di mano, valutato dagli analisti fra i 4,2 e i 5,3 miliardi di euro a seconda degli scenari, cifra lievitata dopo il balzo in Borsa che ha visto il titolo Iveco toccare quota 19,25 euro con un progresso intraday vicino al dieci per cento.

Il possibile ingresso di Tata, leader indiano da 53 miliardi di dollari di ricavi annui e proprietario di Jaguar Land Rover, non giunge inatteso: il legame fra le due dinastie imprenditoriali risale alla collaborazione del 2006 fra Fiat e Tata sull’industrializzazione dei motori Multijet, un’intesa che ha cementato rapporti di fiducia personale fra John Elkann e Ratan Tata. Proprio su quel tessuto di relazioni si innesta oggi la nuova partita, che potrebbe consentire al gigante asiatico di entrare con decisione nel mercato europeo dei veicoli industriali, sfruttando la rete commerciale di Iveco e il know-how di FPT Industrial nella propulsione a basse emissioni.

Resta tuttavia un nodo cruciale: la divisione militare Iveco Defence Vehicles, considerata asset strategico dal governo italiano e al centro di un’operazione di spin-off già annunciata dal management per fine 2025. La stessa Exor avrebbe ricevuto offerte fino a 1,9 miliardi di euro da Leonardo, Rheinmetall e altri player europei. Lo scorporo consentirebbe di aggirare i paletti del golden power – la normativa che tutela gli interessi nazionali sugli asset sensibili –, facilitando l’eventuale passaggio delle restanti attività civilistiche sotto controllo straniero.

L’esecutivo, attraverso il ministro delle Imprese Adolfo Urso, ha confermato di seguire «con la massima attenzione» il dossier, sottolineando l’impatto occupazionale di un gruppo che impiega 14 000 persone in Italia e 36 000 nel mondo. La Fiom-Cgil e la Uilm hanno chiesto un incontro urgente al Mimit, denunciando il rischio di «smantellamento pezzo dopo pezzo» del sistema manifatturiero nazionale. Il tavolo è stato fissato per il 31 luglio, quando l’azienda illustrerà sia i contorni del perimetro oggetto di cessione sia il piano industriale post-difesa.

Sotto il profilo finanziario, Iveco arriva al negoziato con una capitalizzazione che ha superato i 5 miliardi di euro e con margini operativi ancora limitati rispetto ai concorrenti, come dimostra l’Ebit adjusted del primo trimestre 2025 sceso a 117 milioni contro i 140 previsti dagli analisti. I mercati, tradizionalmente cinici, hanno visto nell’ombrello di Tata un possibile acceleratore di investimenti in ricerca e in elettrificazione, àmbito in cui il brand torinese ha presentato di recente il camion pesante a batteria S-eWay Artic, accreditato di 600 chilometri di autonomia, e due nuovi furgoni full-electric frutto della partnership con Stellantis.

Per Tata l’operazione costituisce una porta d’accesso privilegiata alla piattaforma industriale europea, con 19 stabilimenti, 30 centri di ricerca e una rete di assistenza capillare in oltre 140 Paesi; per Iveco significherebbe l’ingresso in un gruppo da oltre un milione di veicoli prodotti ogni anno, potenzialmente in grado di ottimizzare le catene di fornitura e di sostenere le spese di sviluppo sui powertrain a idrogeno e sulle batterie di nuova generazione.

Dal punto di vista politico, la vendita di un marchio storico nato nel 1975 dall’aggregazione di Fiat Veicoli Industriali, OM, Lancia Veicoli Speciali e Magirus-Deutz riaccende un dibattito che periodicamente scuote l’industria italiana, da Magneti Marelli a Pirelli, fino alla recente fusione FCA-PSA sfociata in Stellantis. Se da un lato il legislatore dispone degli strumenti per tutelare la sovranità tecnologica, dall’altro appare difficile opporsi a operazioni che lasciano intravedere, almeno nell’immediato, ritorni economici e prospettive di crescita internazionale.

Alla vigilia del cinquantesimo anniversario, celebrato lo scorso giugno alle Ogr di Torino, Iveco si ritrova così al centro di un bivio: restare autonoma puntando su una nicchia tecnologica o integrarsi in un player globale capace di garantire volumi e investimenti. In entrambi i casi la sfida principale resta la transizione energetica, con norme europee sempre più stringenti sulle emissioni di CO₂ per i trasporti pesanti e con un mercato che premia le soluzioni zero-emissioni ma impone pesanti oneri di capitale.

Fonti vicine ai negoziati indicano in ottobre la possibile firma di un memorandum of understanding, cui seguirebbe una due diligence di almeno tre mesi prima dell’annuncio definitivo, mentre sullo sfondo rimane l’incognita di eventuali contropartite europee, pronte a rilanciare per evitare un ulteriore spostamento di asset industriali fuori dall’Unione. Nel frattempo, i vertici di Iveco hanno confermato il calendario di presentazione dei risultati trimestrali il 15 maggio e assicurato che le attività operative proseguono senza impatti sulle catene produttive.

La partita, insomma, si gioca su più tavoli: quello finanziario, con la valorizzazione dell’intero gruppo; quello industriale, con la tenuta degli stabilimenti di Brescia, Torino e Suzzara; quello politico, con l’esercizio di eventuali poteri speciali; e infine quello sindacale, con la richiesta di garanzie su occupazione e investimenti. Nel caso in cui le condizioni convergano, l’acquisizione potrebbe essere perfezionata nella prima metà del 2026, sancendo il passaggio di un altro storico brand italiano sotto un’insegna straniera, ma al contempo aprendo una nuova fase di integrazione tecnologica fra Europa e India.

In attesa di conferme ufficiali, il titolo Iveco continua a oscillare fra aspettative di premio di controllo e timori regolatori, mentre gli osservatori internazionali leggono nella mossa di Tata la volontà di presidiare il mercato occidentale in un momento di profondo riassetto delle catene del valore automotive. Ciò che appare certo è che il confronto fra capitale transnazionale e protezione dell’interesse nazionale tornerà a essere protagonista dell’agenda politica italiana, con l’inevitabile corollario di interrogativi sul modello di sviluppo industriale che il Paese intende sostenere nella stagione della mobilità sostenibile.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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