Il progressivo ritiro dei ghiacciai alpini continua a restituire frammenti di storia della Prima Guerra Mondiale, svelando drammatici episodi di un conflitto che trasformò le vette delle Alpi in teatro di combattimenti senza precedenti. L’ultimo ritrovamento sulla Vedretta di Lares, a 3.120 metri di quota nel massiccio dell’Adamello al confine tra Trentino e Lombardia, ha riportato alla luce i resti di un soldato appartenente con ogni probabilità all’esercito austro-ungarico, caduto durante i sanguinosi scontri che caratterizzarono quello che gli storici definiscono il fronte più alto della Grande Guerra.
L’operazione di recupero, condotta dai Carabinieri della Stazione di Carisolo insieme al Soccorso Alpino di Madonna di Campiglio, ha rivelato una realtà che da oltre un secolo custodiva i suoi segreti nelle profondità del ghiaccio. Nonostante la completa decomposizione dei resti umani, la divisa e parte dell’equipaggiamento militare sono risultati in eccezionale stato di conservazione, offrendo agli specialisti della Soprintendenza per i Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento elementi preziosi per ricostruire l’identità del soldato e le circostanze della sua morte. L’intervento, autorizzato dalla Procura della Repubblica di Trento e condotto sotto rigorosa supervisione scientifica, rappresenta l’ennesimo tassello di un mosaico storico che i cambiamenti climatici stanno gradualmente componendo attraverso lo scioglimento accelerato delle masse glaciali alpine.
La Vedretta di Lares, situata nel cuore del gruppo Adamello-Presanella e identificata come il terzo ghiacciaio per estensione dell’intero complesso montuoso, ha subito negli ultimi decenni una drastica riduzione della propria superficie. Dalle stime di metà Ottocento, che attribuivano al ghiacciaio un’area di circa 1150 ettari, la superficie si è progressivamente contratta fino agli attuali 484 ettari, perdendo più della metà della propria estensione originaria. Questo drammatico fenomeno di regressione glaciale, accelerato dalle temperature record degli ultimi anni, ha trasformato antichi campi di battaglia in vere e proprie miniere archeologiche a cielo aperto, restituendo testimonianze dirette di quella che venne definita la “guerra bianca” per le condizioni estreme in cui venne combattuta.
Il soldato austro-ungarico ritrovato sulla Vedretta di Lares si inserisce in una sequenza di scoperte che negli ultimi anni hanno restituito alla memoria collettiva i volti dimenticati di un conflitto che trasformò le cime alpine in fortezze naturali. Dal 1915 al 1918, lungo il confine meridionale della regione storica del Tirolo, migliaia di soldati italiani e austro-ungarici si confrontarono in battaglie che si svolgevano abitualmente oltre i 2000 metri di quota, raggiungendo in alcuni settori i 3905 metri dell’Ortles. Le difficoltà logistiche erano enormi: ogni chilogrammo di equipaggiamento, munizioni e viveri doveva essere trasportato a spalla lungo sentieri impervi, mentre i soldati affrontavano nemici ben più temibili delle armi avversarie, rappresentati dal freddo estremo, dalle valanghe e dalla rarefazione dell’ossigeno.
Le indagini specialistiche che verranno condotte presso i laboratori della Soprintendenza trentina prevedono accurati esami autoptici per determinare il profilo biologico del soldato, analisi degli oggetti personali e dell’equipaggiamento per stabilire il reggimento di appartenenza, nonché approfondite ricerche d’archivio per tentare di restituire un’identità al militare. Gli specialisti potranno avvalersi di tecniche forensi avanzate e del confronto con documenti storici conservati negli archivi militari austriaci, nella speranza di ricostruire non solo l’identità del soldato, ma anche le circostanze che lo portarono alla morte su quelle vette desolate. Il materiale recuperato, che include mostrine, bottoni e parti di uniforme, potrebbe rivelare informazioni cruciali sul reparto di appartenenza e sul periodo specifico in cui avvenne il decesso.
Il fenomeno del ritrovamento di resti bellici dovuto al ritiro dei ghiacciai non rappresenta un caso isolato: negli ultimi anni, diversi ghiacciai alpini hanno restituito corpi di soldati, equipaggiamenti e documenti personali di straordinario valore storico. Dal massiccio della Marmolada, dove sono stati recuperati i resti di due fanti italiani della Brigata Como, al Monte Scorluzzo presso il passo dello Stelvio, dove un’intera postazione austriaca è riemersa intatta dopo essere rimasta sigillata nel ghiaccio per oltre un secolo, ogni scoperta aggiunge dettagli preziosi alla comprensione di quel drammatico periodo storico. Gli oggetti recuperati spaziano da lettere d’amore mai spedite a equipaggiamenti militari specializzati per la guerra d’alta quota, testimoniano le condizioni di vita estreme dei soldati e la loro straordinaria capacità di adattamento.
L’accelerazione dello scioglimento glaciale ha trasformato le Alpi in un immenso archivio storico a cielo aperto, ma ha anche creato nuove sfide per la conservazione del patrimonio bellico della Prima Guerra Mondiale. I reperti che emergono dal ghiaccio sono infatti esposti all’azione erosiva degli agenti atmosferici e al rischio di dispersione o furto da parte di collezionisti senza scrupoli. Le autorità trentine e altoatesine hanno intensificato i controlli nelle zone di alta montagna, mentre istituzioni come il Museo della Guerra Bianca in Adamello continuano l’opera di recupero, catalogazione e conservazione di questi preziosi testimoni della storia. Gli specialisti sottolineano come ogni oggetto recuperato rappresenti non solo un reperto storico, ma soprattutto il ricordo di vite umane spezzate dalla guerra, rendendo ancora più urgente la necessità di preservare questa memoria per le generazioni future.
Il soldato austro-ungarico della Vedretta di Lares attende ora di essere identificato attraverso le moderne tecniche di indagine forense e storica, nella speranza che la scienza possa restituirgli quel nome e quella dignità che il ghiaccio ha custodito per oltre un secolo. La sua storia, ancora da scrivere, si intreccia con quelle di migliaia di giovani che un secolo fa trasformarono le vette alpine in campi di battaglia, lasciando nelle nevi eterne non solo le proprie vite, ma anche un patrimonio di memoria che i cambiamenti climatici stanno progressivamente restituendo alla luce del sole.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!