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Spazio, Scoperti 6.000 pianeti esopianeti: l’annuncio della NASA -VIDEO-

La NASA annuncia il traguardo di 6.000 esopianeti scoperti in trent’anni di ricerca, da 51 Pegasi b del 1995 alle moderne analisi atmosferiche con James Webb.

La NASA ha ufficialmente annunciato il raggiungimento di un traguardo straordinario nella ricerca astronomica: il database ufficiale degli esopianeti confermati ha superato la soglia di 6.000 pianeti extrasolari catalogati. Questo risultato, monitorato dall’Exoplanet Science Institute (NExScI) della NASA presso l’IPAC del Caltech a Pasadena, rappresenta tre decenni di progressi tecnologici e scoperte scientifiche che hanno completamente trasformato la comprensione dell’universo oltre il nostro Sistema Solare.

Il significato di questo traguardo assume dimensioni ancora più eccezionali considerando che la prima scoperta confermata di un esopianeta attorno a una stella simile al Sole risale al 6 ottobre 1995, quando Michel Mayor e Didier Queloz dell’Osservatorio di Ginevra annunciarono l’identificazione di 51 Pegasi b. Questo pianeta, soprannominato Bellerofonte e successivamente ribattezzato Dimidium, orbita attorno alla stella 51 Pegasi nella costellazione di Pegaso, situandosi a circa 50 anni luce dalla Terra. La scoperta, ottenuta attraverso il metodo delle velocità radiali presso l’Observatoire de Haute-Provence in Francia, rappresentò un momento rivoluzionario per l’astronomia moderna.

Gli esopianeti, definiti scientificamente come pianeti non appartenenti al sistema solare che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, costituiscono una categoria di corpi celesti la cui esistenza era stata teorizzata per secoli prima della prima conferma osservativa. La loro identificazione rappresenta una delle sfide più complesse dell’astronomia contemporanea, poiché questi oggetti non risplendono di luce propria e risultano pertanto invisibili alla maggior parte degli strumenti osservativi tradizionali. La distanza e la debolezza della loro luminosità riflessa richiedono l’impiego di sofisticate tecniche di rilevamento indiretto che hanno subito un’evoluzione tecnologica straordinaria negli ultimi trent’anni.

Il metodo delle velocità radiali, utilizzato per la storica scoperta di 51 Pegasi b, si basa sull’osservazione delle oscillazioni gravitazionali che un pianeta induce sulla sua stella madre durante il moto orbitale. Questa tecnica sfrutta l’effetto Doppler per rilevare le variazioni periodiche della velocità radiale stellare, manifestate attraverso gli spostamenti delle linee spettrali verso il blu quando la stella si avvicina all’osservatore e verso il rosso quando se ne allontana. Nonostante la sua elevata affidabilità e il contributo di circa il 19,1% delle scoperte totali, questo metodo richiede tempi osservativi prolungati e può analizzare soltanto un numero limitato di stelle simultaneamente.

La rivoluzione nella ricerca degli esopianeti è stata determinata principalmente dall’avvento del metodo dei transiti, responsabile del 74,9% delle scoperte confermate. Questa tecnica individua le diminuzioni periodiche della luminosità stellare causate dal passaggio di un pianeta davanti alla propria stella ospite, fenomeno che consente di determinare non soltanto la presenza del pianeta ma anche le sue dimensioni, il periodo orbitale e altre caratteristiche fisiche fondamentali. Il telescopio spaziale Kepler, operativo dal 2009 al 2018, ha rivoluzionato questo approccio osservando simultaneamente oltre 145.000 stelle della sequenza principale nelle costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago, contribuendo alla scoperta di migliaia di candidati esopianeti.

Il testimone di Kepler è stato raccolto dal Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), lanciato il 18 aprile 2018 con l’obiettivo di mappare l’intera volta celeste nell’arco di due anni. TESS ha dimostrato capacità osservative superiori al suo predecessore, scandagliando un’area della volta celeste 350 volte maggiore e osservando quasi l’85% del cielo attraverso 26 settori distinti. Al termine del quinto anno di operatività, TESS ha mappato oltre il 93% della volta celeste, scoprendo 329 nuovi esopianeti confermati e identificando migliaia di candidati aggiuntivi.

Credit © NASA

Le scoperte degli ultimi tre decenni hanno rivelato una diversità planetaria che supera qualsiasi previsione teorica precedente. Mentre il nostro Sistema Solare presenta un numero equilibrato di pianeti rocciosi e giganti ghiacciati, le osservazioni indicano che i pianeti rocciosi risultano più comuni nell’universo. Gli astronomi hanno identificato categorie planetarie completamente assenti nel Sistema Solare, inclusi i gioviani caldi che orbitano più vicino alla loro stella di quanto Mercurio orbiti attorno al Sole, pianeti che orbitano simultaneamente attorno a due stelle, mondi ricoperti di lava con densità simile al polistirolo e pianeti con nubi costituite da pietre preziose.

Particolarmente significative sono le scoperte delle Super-Terre, una categoria di pianeti rocciosi con massa compresa tra 1,9 e 10 volte quella terrestre, completamente assente nel nostro Sistema Solare. Questi mondi rappresentano una categoria intermedia tra i pianeti rocciosi terrestri e i giganti gassosi come Urano e Nettuno, offrendo opportunità uniche per lo studio della formazione planetaria e della potenziale abitabilità. Le Super-Terre potrebbero manifestare un’attività geologica più intensa rispetto alla Terra, con una tettonica a placche caratterizzata da croste più sottili e moti convettivi più energici a causa della maggiore massa e del conseguente calore endogeno.

Il concetto di zona abitabile ha acquisito centralità nella ricerca esoplanetaria, definendo quella regione attorno a una stella dove le condizioni termiche permettono l’esistenza di acqua liquida sulla superficie planetaria. Diversi esopianeti sono stati identificati all’interno o ai margini di queste zone, inclusi Gliese 581 c e d, Kepler-22 b e il recentemente scoperto Ross 508 b, una Super-Terra situata a soli 36,5 anni luce dalla Terra. Tuttavia, la presenza nella zona abitabile non garantisce automaticamente condizioni favorevoli alla vita, come dimostra l’esempio di Marte nel nostro stesso Sistema Solare.

L’analisi delle atmosfere esoplanetarie rappresenta la frontiera più avanzata della ricerca contemporanea, resa possibile dalle capacità senza precedenti del telescopio spaziale James Webb. Questo strumento ha già dimostrato la capacità di rilevare componenti atmosferici specifici, inclusi vapore acqueo, anidride carbonica, monossido di carbonio e altri gas su esopianeti come WASP-96 b, WASP-39 b e 55 Cancri-e. La spettroscopia atmosferica permette non soltanto di caratterizzare la composizione chimica di questi mondi distanti, ma anche di individuare potenziali biomarcatori che potrebbero indicare la presenza di processi biologici.

Nonostante i progressi straordinari, la ricerca rimane limitata dai vincoli tecnologici attuali. Meno di 100 esopianeti sono stati osservati direttamente, poiché la maggior parte risulta troppo debole per essere distinguibile dalla luce della stella ospite. Questa limitazione richiede l’impiego di tecniche di osservazione indiretta e tempi prolungati per la conferma, spiegando la presenza di oltre 8.000 candidati esopianeti in attesa di verifica ufficiale nell’archivio NASA.

Il ritmo delle scoperte ha subito un’accelerazione significativa negli anni recenti, con il database che è passato da 5.000 esopianeti confermati soltanto tre anni fa agli attuali 6.000. Questa tendenza crescente è destinata a continuare grazie alle missioni in programma, inclusa la missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea che utilizza la tecnica astrometrica e il futuro telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA, programmato per il lancio nel 2027. Quest’ultimo implementerà la tecnica della microlente gravitazionale per scoprire migliaia di nuovi esopianeti e testerà un coronografo dimostrativo per l’osservazione diretta di pianeti simili a Giove.

Le implicazioni scientifiche di questo traguardo si estendono ben oltre il semplice conteggio numerico. Come sottolineato da Shawn Domagal-Goldman, direttore ad interim della Divisione di Astrofisica della NASA, queste scoperte hanno “cambiato completamente il modo in cui l’umanità osserva il cielo notturno”. Ogni nuovo esopianeta confermato contribuisce alla comprensione dei meccanismi di formazione planetaria, dell’evoluzione dei sistemi stellari e delle condizioni che potrebbero favorire lo sviluppo della vita.

I ricercatori stimano la presenza di almeno due miliardi di esopianeti nella Via Lattea, una cifra che suggerisce come le scoperte attuali rappresentino soltanto una frazione infinitesimale della popolazione planetaria galattica. Dawn Gelino, responsabile dell’Exoplanet Exploration Program della NASA, ha evidenziato come “ogni diverso tipo di pianeta scoperto fornisca informazioni sulle condizioni di formazione e, in definitiva, su quanto possano essere comuni pianeti come la Terra e dove dovremmo cercarli”. Questa conoscenza risulta essenziale per rispondere alla domanda fondamentale se l’umanità sia sola nell’universo.

Il raggiungimento di 6.000 esopianeti confermati rappresenta pertanto non soltanto un traguardo numerico, ma il simbolo di una trasformazione epocale nella comprensione del cosmo. Dai primi pionieristici rilevamenti degli anni Novanta alle sofisticate analisi atmosferiche contemporanee, la ricerca esoplanetaria ha dimostrato che i sistemi planetari sono fenomeni comuni nell’universo e che la diversità dei mondi esistenti supera qualsiasi immaginazione precedente. Mentre gli strumenti di prossima generazione promettono scoperte ancora più rivoluzionarie, il traguardo dei 6.000 esopianeti consolida la posizione dell’astronomia contemporanea come disciplina capace di esplorare i misteri più profondi dell’esistenza cosmica e della possibile presenza di vita oltre la Terra. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!