Una fonte di calore geotermico di natura radioattiva si trova nel sottosuolo dell’Antartide, nelle vicinanze del Polo Sud magnetico, e contribuisce in modo significativo allo scioglimento della calotta glaciale dal basso verso l’alto. La scoperta, pubblicata sulla rivista Scientific Reports nel novembre 2018, è frutto di un’ambiziosa campagna di rilevamento aereo condotta nell’ambito del progetto internazionale PolarGAP, finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea e realizzato con il contributo del British Antarctic Survey, dell’Università Tecnica della Danimarca, dell’Istituto Polare Norvegese e della National Science Foundation statunitense.
I ricercatori, guidati dal dottor Tom Jordan del British Antarctic Survey, hanno utilizzato sofisticati radar aerotrasportati capaci di penetrare attraverso quasi tre chilometri di ghiaccio per mappare lo spessore della calotta antartica e individuare le condizioni alla base del manto glaciale. Le rilevazioni hanno rivelato l’esistenza di un’area estesa circa il doppio della Grande Londra in cui il ghiaccio appare meno spesso del previsto e gli strati sovrastanti risultano abbassati, come se fossero collassati verso il basso. Questo fenomeno anomalo è causato da un’insolita quantità di calore geotermico che sta sciogliendo, e ha probabilmente sciolto per migliaia o addirittura milioni di anni, la base della calotta glaciale in quella regione.
Secondo le analisi condotte dal team internazionale, la sorgente di calore è attribuibile a una combinazione di rocce altamente radioattive, note tecnicamente come granitoidi radiogenici, e acqua calda proveniente dalle profondità della crosta terrestre. Questi granitoidi del Precambriano, risalenti a un periodo compreso tra 1200 e 2000 milioni di anni fa, possiedono proprietà radiogeniche eccezionalmente elevate. In particolare, uno dei campioni analizzati, datato a circa 1850 milioni di anni, ha mostrato una capacità di produzione di calore tale da generare un flusso geotermico stimato di 83,6 milliwatt per metro quadrato, un valore significativamente superiore alla media regionale di fondo.
Il processo di fusione basale innescato da questa anomalia geotermica produce acqua di scioglimento che drena al di sotto della calotta glaciale, andando a riempire laghi subglaciali situati più a valle nel sistema idrologico sotterraneo. La presenza di quest’acqua aggiuntiva potrebbe agire come lubrificante per il ghiaccio sovrastante, favorendo il movimento più rapido delle correnti glaciali che fluiscono verso le coste antartiche e contribuendo indirettamente all’instabilità della calotta polare in quella specifica area.
Il dottor Jordan ha sottolineato che il processo di fusione osservato probabilmente si protrae da tempi geologicamente lunghi e non sta contribuendo in modo diretto ai cambiamenti attuali della calotta glaciale. Tuttavia, ha avvertito che in futuro l’acqua in eccesso alla base del ghiaccio potrebbe rendere questa regione più sensibile e vulnerabile a fattori esterni quali i cambiamenti climatici in atto. In altre parole, sebbene la fonte geotermica non rappresenti di per sé la causa principale dello scioglimento accelerato della calotta antartica, essa potrebbe amplificare gli effetti del riscaldamento globale, rendendo il ghiaccio più suscettibile alla fusione indotta dall’aumento delle temperature atmosferiche e oceaniche.
René Forsberg, professore e responsabile della Divisione di Geodinamica presso la Technical University of Denmark, ha descritto questa campagna di ricerca come un esempio straordinario di collaborazione internazionale capace di esplorare alcune delle regioni più remote e inesplorate del nostro pianeta. Ha inoltre evidenziato che i risultati ottenuti sono stati del tutto inaspettati, poiché molti scienziati ritenevano che quest’area dell’Antartide fosse costituita prevalentemente da rocce antiche e fredde, con un impatto minimo sulla calotta glaciale sovrastante.
La scoperta della sorgente geotermica radioattiva vicino al Polo Sud non è un caso isolato. In altre aree dell’Antartide occidentale, infatti, i ricercatori hanno individuato evidenze di attività vulcanica attiva. Nel giugno 2018, uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications ha documentato la presenza di una fonte di calore vulcanico attivo al di sotto del Pine Island Glacier, uno dei ghiacciai a più rapido scioglimento del continente antartico, responsabile di circa un quarto della perdita totale di ghiaccio dell’Antartide. Il team di ricerca, guidato dal professor Brice Loose dell’Università del Rhode Island, ha identificato concentrazioni anomale di elio-3, un isotopo gassoso caratteristico delle emanazioni vulcaniche, nelle acque che circondano la piattaforma di ghiaccio del Pine Island. Le analisi geochimiche hanno rivelato che la sorgente di calore vulcanico fornisce al ghiacciaio sovrastante una potenza stimata di circa 2500 megawatt, equivalente a circa la metà dell’attività del vulcano Grimsvötn in Islanda, attualmente attivo.
Questi ritrovamenti evidenziano come il sistema di rift vulcanico su cui poggia la calotta glaciale dell’Antartide occidentale rappresenti un elemento determinante per comprendere la dinamica di scioglimento e la stabilità futura del manto di ghiaccio. Le caratteristiche geologiche del substrato roccioso antartico, nascoste sotto chilometri di ghiaccio, hanno infatti un’influenza diretta sui flussi glaciali e sulle velocità di fusione basale, fattori che a loro volta condizionano il contributo dell’Antartide all’innalzamento del livello globale dei mari.
Il progetto PolarGAP, conclusosi con successo nella stagione australe 2015-2016, è riuscito ad acquisire quasi il cento per cento dei dati pianificati, colmando una lacuna critica nella copertura satellitare della regione del Polo Sud. I satelliti di osservazione terrestre, a causa dell’inclinazione delle loro orbite, non riescono infatti a coprire le aree situate oltre gli 83,5 gradi di latitudine Sud, lasciando un’ampia zona geografica priva di dati gravitazionali e magnetici di alta qualità. Grazie ai voli aerei condotti con un Twin Otter appositamente equipaggiato, i ricercatori hanno potuto raccogliere misurazioni radar, magnetiche, gravitazionali e LIDAR che hanno fornito informazioni fondamentali sulla superficie del ghiaccio, sulla stratificazione interna della calotta, sulla topografia subglaciale e sull’architettura geologica della crosta terrestre sottostante.
L’importanza di queste scoperte si inserisce in un quadro più ampio di comprensione dei meccanismi che regolano la stabilità della calotta antartica. Sebbene il calore geotermico rappresenti una componente relativamente modesta rispetto agli effetti del riscaldamento climatico globale, la sua distribuzione spaziale e la sua intensità locale possono influenzare in modo significativo i modelli di flusso del ghiaccio, la formazione di laghi subglaciali e la lubrificazione della base della calotta, accelerando potenzialmente il movimento dei ghiacciai verso l’oceano.
Gli scienziati sottolineano che il cambiamento climatico rimane la causa principale e predominante dello scioglimento osservato nei ghiacciai antartici. Tuttavia, integrare nei modelli climatici e glaciologici la presenza di queste anomalie geotermiche è essenziale per migliorare le previsioni sull’evoluzione futura della calotta polare e sull’innalzamento del livello del mare. La calotta glaciale dell’Antartide occidentale, in particolare, contiene una quantità di ghiaccio sufficiente a innalzare il livello globale degli oceani di oltre cinque metri qualora dovesse sciogliersi completamente, rendendo cruciale la comprensione di tutti i fattori che ne condizionano la stabilità.
La ricerca del British Antarctic Survey e dei partner internazionali rappresenta quindi un passo significativo nella mappatura delle sorgenti di calore geotermico e vulcanico presenti sotto la calotta antartica. Questi studi contribuiscono a delineare un quadro più completo e accurato delle dinamiche glaciali polari, evidenziando come fattori geologici e geofisici locali possano interagire con le forzanti climatiche globali, modulando la risposta del sistema glaciale antartico ai cambiamenti ambientali in corso.
In prospettiva, i dati raccolti durante il progetto PolarGAP e ricerche analoghe saranno fondamentali per orientare future campagne di perforazione del ghiaccio fino al substrato roccioso, per la ricerca di carote di ghiaccio antico che possano fornire informazioni paleoclimatiche di grande valore, e per l’individuazione delle aree più adatte a ospitare basi scientifiche permanenti. La comprensione della distribuzione del flusso di calore geotermico in Antartide rimane infatti uno degli elementi chiave per affinare i modelli di previsione della dinamica della calotta glaciale e per valutare con maggiore precisione i rischi associati all’innalzamento del livello del mare nelle prossime decadi e secoli. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!