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Il mistero della Mappa di Piri Reis, Cosa ci fa l’Antartide su una mappa del 1513?

È possibile che qualcuno abbia mappato l’Antartide tre secoli prima della sua scoperta ufficiale?
wikipedia

Il nove ottobre millenovecentoventinove il teologo tedesco Gustav Adolf Deissmann, impegnato nella catalogazione della biblioteca del Palazzo di Topkapı a Istanbul su incarico del governo turco, si imbatten in una scoperta che avrebbe alimentato decenni di dibattiti e speculazioni. Tra i recessi polverosi della biblioteca imperiale ottomana, Deissmann rinvenne due frammenti di una mappa realizzata su pergamena di pelle di gazzella, datata ai primi anni del Cinquecento, che presentava caratteristiche sorprendenti e apparentemente inspiegabili per l’epoca della sua realizzazione.

La mappa, disegnata nell’anno novecentodiciannove del calendario islamico, corrispondente al millecinquecentotredici dopo Cristo, portava la firma di Piri Reìs, ammiraglio della flotta ottomana e cartografo di straordinaria competenza. Il frammento sopravvissuto, che rappresenta approssimativamente un terzo o forse la metà dell’estensione originaria, misurava novanta per sessantatré centimetri e raffigurava le coste occidentali dell’Africa, parte dell’Europa meridionale e una porzione considerevole del versante orientale dell’America meridionale. Ma ciò che immediatamente colpì gli studiosi che esaminarono il documento fu la presenza, nella parte meridionale della carta, di una massa terrestre che sembrava estendersi oltre le regioni note dell’America del Sud, suscitando interpretazioni controverse che sarebbero durate fino ai giorni nostri.

Piri Reìs, nato tra il millequattrocentosessantacinque e il millequattrocentosettanta a Gallipoli, sulla costa egea della Turchia, aveva trascorso gran parte della sua esistenza in mare, seguendo le orme dello zio Kemal Reìs, celebre corsaro al servizio dell’Impero Ottomano. La sua carriera militare lo vide protagonista di numerose battaglie navali contro le flotte spagnola, genovese e veneta, incluse le battaglie di Lepanto del millequattrocentonovantanove e del millecinquecento. Dopo la morte dello zio nel millecinquecentoundici, Piri si ritirò temporaneamente nella città natale, dedicandosi alla stesura del Kitab-ı Bahriye, un dettagliato portolano del Mediterraneo e del Mar Nero che completò nel millecinquecentoventuno, opera considerata tra i migliori atlanti nautici del periodo per ampiezza descrittiva e precisione cartografica.

Nella primavera del millecinquecentotredici Piri Reìs realizzò la sua celebre mappa del mondo, destinata a essere offerta al sultano ottomano Selim Primo nel millecinquecentodiciassette. Secondo quanto lo stesso ammiraglio annotò meticolosamente a margine della carta, egli aveva consultato e sintetizzato oltre venti fonti diverse per la compilazione del documento: otto mappe di derivazione tolemaica, una carta araba, quattro portolani portoghesi e, dato di fondamentale importanza storica, una mappa attribuita direttamente a Cristoforo Colombo. Quest’ultima fonte cartografica sarebbe stata acquisita dallo zio Kemal Reìs nel millecinquecentouno, dopo la cattura di sette navi spagnole al largo di Valencia. Tra i prigionieri catturati durante l’azione si trovava un marinaio che aveva dichiarato di aver navigato per tre volte con Colombo nelle terre occidentali appena scoperte e di possedere una carta disegnata dallo stesso grande navigatore genovese.

La nota più estesa leggibile al centro della mappa fornisce numerosi dettagli sulle esplorazioni colombiane e afferma esplicitamente che i litorali e le coste raffiguranti le Indie Occidentali furono tratti dalla carta di Colombo, definito grande astronomo. Questa connessione con il navigatore italiano conferisce alla mappa di Piri Reìs un valore storico inestimabile, rappresentando l’unica testimonianza cartografica superstite delle mappe perdute di Cristoforo Colombo. L’analisi dei toponimi e delle caratteristiche geografiche rappresentate nella sezione americana della mappa ha confermato agli studiosi che Piri Reìs effettivamente utilizzò materiale cartografico prodotto durante uno dei primi viaggi di Colombo nel Nuovo Mondo.

La scoperta della mappa nel millenovecentoventinove provocò una sensazione internazionale nella comunità scientifica e geografica. Il segretario di Stato americano Henry Stimson, dopo aver letto della scoperta sull’Illustrated London News, contattò l’ambasciatore statunitense in Turchia Charles Sherrill richiedendo che venisse avviata un’indagine per localizzare eventuali mappe sorgente di Colombo conservate negli archivi turchi, ma la ricerca non produsse risultati. La mappa rappresentava non soltanto la più antica carta superstite raffigurante le Americhe, ma anche l’unica mappa del sedicesimo secolo che mostrava l’America del Sud nella sua corretta posizione longitudinale rispetto all’Africa.

La controversia che da decenni alimenta speculazioni e dibattiti accademici riguarda l’interpretazione della porzione meridionale della mappa, dove il continente sudamericano sembra piegarsi bruscamente verso est, terminando in una massa terrestre che alcuni hanno identificato come una rappresentazione dell’Antartide. Questa interpretazione si scontra con un fatto storico indiscutibile: il continente antartico fu avvistato per la prima volta soltanto nel milleottocentoventi, oltre tre secoli dopo la realizzazione della mappa di Piri Reìs. Le spedizioni che rivendicano il primato dell’avvistamento furono quelle comandate dal capitano russo Fabian Gottlieb von Bellingshausen il ventisette gennaio milleottocentoventi, dal capitano britannico Edward Bransfield tre giorni dopo, e dal cacciatore di foche americano Nathaniel Palmer nel novembre dello stesso anno.

Prima di queste spedizioni decisive, il celebre capitano James Cook aveva attraversato il Circolo Polare Antartico nel gennaio millesettecentosettantatré durante il suo secondo viaggio di circumnavigazione, avvicinandosi fino a circa centoventi chilometri dalla costa del continente senza mai avvistare terra, costretto a invertire la rotta di fronte alle impenetrabili barriere di ghiaccio. Cook scrisse nei suoi diari di essere fermamente convinto dell’esistenza di una distesa di terra vicino al Polo, fonte dell’enorme quantità di ghiaccio che riempiva l’oceano meridionale, ma espresse anche il convincimento pessimistico che nessun navigatore si sarebbe mai avventurato più a sud di quanto aveva fatto lui e che quelle terre sarebbero rimaste inesplorate per sempre. La sua previsione si rivelò errata, ma le sue osservazioni sulla pericolosità di quelle acque scoraggiarono ulteriori tentativi di esplorazione per quasi mezzo secolo.

L’interpretazione secondo cui la mappa di Piri Reìs raffigurerebbe l’Antartide libera dai ghiacci fu proposta e sviluppata principalmente dal professor Charles Hapgood dell’Università del New Hampshire negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Nel suo libro Maps of the Ancient Sea Kings pubblicato nel millenovecentosessantasei, Hapgood sostenne che alcune mappe medievali, inclusa quella di Piri Reìs, contenessero conoscenze cartografiche derivate da civiltà antichissime e tecnologicamente avanzate esistite durante l’Era Glaciale, quando l’Antartide sarebbe stata parzialmente libera dai ghiacci. Secondo le teorie di Hapgood, che lavorò per sette anni con i suoi studenti all’analisi di queste carte, gli antichi navigatori avrebbero viaggiato da polo a polo, esplorando l’Antartide quando le sue coste erano sgombre dal ghiaccio, utilizzando strumenti di navigazione per determinare accuratamente la longitudine molto superiori a quelli posseduti dalle popolazioni dell’antichità, del Medioevo e persino dei tempi moderni fino alla seconda metà del diciottesimo secolo.

La determinazione precisa della longitudine in mare rappresentava effettivamente uno dei problemi più gravi e irrisolti della navigazione fino all’invenzione del cronometro marino da parte dell’orologiaio inglese John Harrison nel millesettecentocinquantanove. Prima di questo fondamentale progresso tecnologico, i navigatori potevano calcolare con relativa facilità la latitudine osservando l’altezza del sole o delle stelle sopra l’orizzonte, ma determinare la posizione est-ovest richiedeva la conoscenza dell’ora esatta di un punto di riferimento come Greenwich. Il problema era così critico che il Parlamento britannico istituì nel millesettecentoquattordici il Longitude Act, promettendo un premio di ventimila sterline a chiunque avesse trovato un metodo affidabile per calcolare la longitudine in mare con precisione di mezzo grado. Harrison dedicò trentuno anni della sua vita a perfezionare il suo cronometro, rivoluzionando definitivamente la navigazione oceanica.

Hapgood riteneva che non fosse possibile tracciare una mappa con tale precisione senza alcuna osservazione aerea e ipotizzò che le fonti utilizzate da Piri Reìs dovessero includere mappe o resoconti risalenti addirittura al quattromila avanti Cristo, epoca in cui, secondo le conoscenze storiche consolidate, non esistevano civiltà tecnologicamente progredite. La teoria dello storico americano postulava l’esistenza di antiche civiltà evolute capaci di navigare su lunghe rotte e probabilmente anche di volare, che avrebbero mappato tutti i continenti della Terra migliaia di anni prima che la storia scritta iniziasse a documentare l’esistenza dell’umanità. Questa prova di una tecnologia perduta, secondo Hapgood, avrebbe dovuto indurre gli studiosi a riesaminare con mentalità più aperta tutte le prove che erano state portate avanti in passato riguardo a civiltà perdute nei tempi remoti.

Le teorie di Hapgood furono successivamente riprese e ampliate da numerosi autori di bestseller pseudoscientifici, tra cui Erich von Däniken nella sua opera Chariots of the Gods, dove la mappa veniva presentata come prova di visite extraterrestri alla Terra, e Graham Hancock, che la utilizzò come supporto alle sue teorie su civiltà perdute paragonabili ad Atlantide. Von Däniken affermò che la mappa raffigurava montagne antartiche sepolte sotto il ghiaccio e che presentava distorsioni visibili solo da una prospettiva aerea ripresa da un’astronave che volava sopra Il Cairo. Hancock, seguendo il lavoro di Hapgood, teorizzò che la mappa fornisse evidenza di una civiltà marittima globale perduta esistita durante l’ultima Era Glaciale.

Tuttavia, le analisi scientifiche condotte negli ultimi decenni hanno sistematicamente smontato le affermazioni di Hapgood e dei suoi seguaci, dimostrando che le sue conclusioni erano basate su errori metodologici, proiezioni matematiche arbitrarie e un’interpretazione selettiva delle evidenze cartografiche. Gli studiosi norvegesi Hoye e Lunde misero in evidenza che le tesi di Hapgood si fondavano esclusivamente su proiezioni matematiche e logiche, mentre il materiale di base offriva soltanto la possibilità di ragionamenti induttivi. La presunta precisione delle carte era in realtà frutto di ricostruzioni mediate da molteplici proiezioni arbitrarie compiute da Hapgood stesso, che accettava ogni similitudine ottenuta trascurando errori anche molto consistenti, come l’obliterazione di novecento miglia di costa tra la Terra del Fuoco e la supposta penisola antartica.

L’esperto italiano Diego Cuoghi ha condotto un’analisi dettagliata della mappa di Piri Reìs, evidenziando le numerose incongruenze dell’interpretazione antartica. Osservando attentamente la porzione meridionale della mappa, emerge chiaramente che vi è rappresentata soltanto l’estremità del continente sudamericano nei modi approssimativi consentiti dalle scarse conoscenze dell’epoca, con una raffigurazione deformata e piegata a destra molto probabilmente per adattarsi alla particolare forma della pergamena. Se la massa terrestre rappresentasse davvero l’Antartide, resterebbero irrisolte questioni fondamentali: come mai questa presunta Antartide risulta direttamente attaccata al Brasile invece di trovarsi a oltre quattromila chilometri a sud, e dove sono finiti i duemila chilometri di costa che separano il Brasile dalla Terra del Fuoco, comprendenti l’Uruguay, l’Argentina e la Patagonia?

Gli studiosi di cartografia hanno fornito spiegazioni coerenti con le conoscenze geografiche del sedicesimo secolo. Nei primi anni del Cinquecento i navigatori portoghesi si erano spinti da pochissimo tempo nelle regioni meridionali del Brasile, quindi le carte da cui Piri Reìs poteva attingere erano necessariamente meno precise per le zone a sud dell’attuale Rio de Janeiro. Non era insolito che i cartografi dell’epoca distorcessero i loro disegni in funzione del supporto sul quale lavoravano, dato che la pergamena era estremamente costosa, e che orientassero diversamente le porzioni finali delle carte quando lo spazio disponibile sul foglio stava finendo. Inoltre, le carte geografiche in quell’epoca servivano anche come strumenti politici: disegnare una terra da una parte o dall’altra del meridiano chiamato la Raya, che faceva da confine tra l’area di influenza spagnola e portoghese stabilita dal Trattato di Tordesillas del millequattrocentonovantaquattro, poteva servire ad accampare pretese di possesso dell’una o dell’altra potenza marinara.

L’ipotesi più probabile è che nel disegnare l’estremità del continente sudamericano Piri Reìs si sia rifatto alle teorie geografiche più diffuse nei primi decenni del Cinquecento. Secondo molti geografi dell’epoca, la parte più meridionale dell’America del Sud sarebbe stata unita alla mitica Terra Australis Incognita, un continente ipotetico la cui esistenza era stata postulata fin dall’antichità per bilanciare il peso delle terre emerse dell’emisfero boreale. Questa teoria cosmografica, espressa da Gerardo Mercatore e rappresentata negli atlanti di Abraham Ortelius del millecinquecentosettanta, sosteneva che dovesse esistere un grande continente meridionale per evitare che la Terra si capovolgesse a causa dello squilibrio di massa tra emisfero nord e sud. La Terra Australis Incognita compariva sulle mappe di Dieppe della metà del sedicesimo secolo con tutta una serie di dettagli fittizi, inclusi nomi di fiumi, terre e luoghi completamente inventati.

Un ulteriore elemento che contraddice definitivamente l’interpretazione antartica è la presenza sulla mappa, nell’estremo lembo meridionale, del disegno di un serpente a pois accompagnato da un’annotazione esplicativa di Piri Reìs che recita: questa terra è disabitata, tutto è rovina e si dice che siano stati trovati grossi serpenti, per questa ragione gli infedeli portoghesi non sono sbarcati in queste terre che si dice siano molto calde. L’annotazione sulle terre molto calde contraddice palesemente l’ipotesi che si tratti dell’Antartide, continente caratterizzato da temperature estremamente rigide. Inoltre, alcuni hanno ipotizzato che il serpente potrebbe rappresentare una foca leopardo, ma questo non farebbe altro che confermare la natura approssimativa e parzialmente fantasiosa di quella porzione della mappa.

Le ricerche geologiche e glaciologiche condotte in Antartide attraverso carotaggi dei ghiacci hanno definitivamente stabilito la cronologia della glaciazione del continente, demolendo le ipotesi di Hapgood sulla presenza di coste libere dai ghiacci in epoca storica. Il progetto europeo EPICA, che ha recuperato carote di ghiaccio risalenti a circa ottocentomila anni fa, e il più recente progetto Beyond EPICA, che ha raggiunto ghiacci di un milione e duecentomila anni fa, hanno dimostrato che l’Antartide è completamente coperta di ghiaccio da almeno dieci milioni di anni. Le bolle d’aria intrappolate nel ghiaccio a diverse profondità conservano la memoria della composizione chimica dell’atmosfera passata e permettono di ricostruire la storia climatica della Terra con estremo dettaglio. Recenti scoperte hanno identificato sotto i ghiacci dell’Antartide occidentale le tracce di un sistema fluviale risalente a circa quaranta milioni di anni fa, quando il continente aveva un clima temperato che subentrò a un clima polare a partire da circa trentaquattro milioni di anni fa.

Gli errori metodologici di Hapgood erano evidenti anche nel suo trattamento delle fonti cartografiche. Egli non attribuì la dovuta importanza alla mappa di Cristoforo Colombo, dalla quale Piri Reìs dichiarò esplicitamente di aver tratto la parte caraibica della sua carta, e non prestò sufficiente attenzione all’estensione dei toponimi di origine spagnola e portoghese presenti sulla mappa, che denotano chiaramente la derivazione da carte delle nazioni che stavano esplorando la parte occidentale dell’Atlantico. Per far coincidere le sue proiezioni con la forma dell’Antartide moderna, Hapgood dovette introdurre arbitrariamente tre punti di omissione di costa, ruotare sezioni in direzioni diverse, cambiare scale e misure, e ignorare la sparizione di lunghissimi tratti di costa. La presunta precisione della mappa era dunque paradossalmente dimostrata attraverso l’evidenziazione dei suoi errori e omissioni.

Gregory McIntosh, studioso della cartografia dell’epoca delle scoperte, ha condotto un’analisi approfondita della mappa di Piri Reìs concludendo che, sebbene probabilmente contenga una copia di una carta realizzata da Cristoforo Colombo o sotto la sua supervisione, le affermazioni secondo cui raffigurerebbe terre non ancora conosciute nel millecinquecentotredici sono prive di fondamento, si basano su confronti soggettivi con mappe moderne e ignorano spiegazioni più coerenti. Le misconcezioni cartografiche presenti sulla mappa, come la raffigurazione di Cuba come penisola del continente asiatico anziché come isola, riflettono gli errori di Colombo stesso, che credette fino alla morte di aver raggiunto le coste orientali dell’Asia anziché un nuovo continente. Numerose mappe europee dello stesso periodo raffiguravano l’Asia orientale in modo simile a quanto appare nella mappa di Piri Reìs, con montagne disposte verticalmente, esattamente come le presunte caratteristiche che Hancock interpreta come la strada di Bimini nell’Atlantico.

La mappa di Piri Reìs rappresenta indubbiamente un documento storico di grandissima rilevanza e un capolavoro dell’arte cartografica del Rinascimento, testimonianza di un’epoca in cui le conoscenze geografiche del mondo stavano rapidamente espandendosi grazie alle grandi esplorazioni oceaniche. La sua importanza risiede principalmente nel fatto di costituire l’unica rappresentazione superstite delle mappe perdute di Cristoforo Colombo e di mostrare una sintesi eccezionale tra la cultura cartografica orientale e quella europea. Il livello di dettaglio raggiunto nella raffigurazione delle coste note dell’Africa, dell’Europa e del Mediterraneo era notevole per l’epoca, basato sulla competenza di Piri Reìs come navigatore esperto e sulla sua meticolosa consultazione di molteplici fonti cartografiche precedenti.

Il tentativo di attribuire alla mappa conoscenze impossibili per il sedicesimo secolo, come la rappresentazione dell’Antartide o l’uso di proiezioni cartografiche che non sarebbero state sviluppate fino al millecinquecentosessantanove con Gerardo Mercatore, deriva da un approccio metodologicamente scorretto che sovrappone anacronisticamente conoscenze moderne a documenti del passato. La proiezione cilindrica, che alcuni hanno affermato Piri Reìs non potesse conoscere, era in realtà già utilizzata dai Greci antichi basandosi sulla loro conoscenza della sfericità della Terra, e questa spiegazione è molto più plausibile dell’ipotesi di civiltà tecnologicamente avanzate esistite migliaia di anni prima della storia scritta.

La grande differenza tra la precisissima cartografia delle coste spagnola, portoghese e africana visibile sulla destra della mappa e l’enorme inesattezza di quelle che dovrebbero essere le coste del Sud America e dell’ipotetica Antartide rappresenta la prova più evidente che Piri Reìs stava lavorando con informazioni di qualità molto variabile. Le regioni ben conosciute attraverso secoli di navigazione mediterranea erano rappresentate con grande accuratezza, mentre le terre recentemente scoperte oltre l’oceano venivano raffigurate in modo approssimativo, basandosi su poche fonti disponibili e integrandole con le teorie geografiche e cosmografiche dell’epoca sulla necessaria esistenza di grandi masse continentali nell’emisfero meridionale.

La vicenda della mappa di Piri Reìs costituisce un esempio paradigmatico di come teorie pseudoscientifiche possano prosperare ignorando il metodo scientifico, le evidenze empiriche verificabili e il contesto storico documentato. Le affermazioni straordinarie di Hapgood, von Däniken e Hancock non sono mai state supportate da prove straordinarie né da dati empirici testabili e verificabili, come richiederebbe qualsiasi seria indagine scientifica. Gli studiosi accademici hanno respinto queste teorie non per chiusura mentale o per difesa di paradigmi consolidati, ma perché esse non superano il vaglio del metodo critico e dell’analisi documentaria rigorosa applicati alla ricerca storica e cartografica.

La mappa rimane comunque un oggetto di fascino straordinario, testimonianza dell’epoca delle grandi scoperte geografiche e dell’incontro tra culture e tradizioni cartografiche diverse, conservata oggi nel museo del Palazzo Topkapı di Istanbul dove fu rinvenuta quasi un secolo fa. La sua importanza storica effettiva non necessita di essere amplificata attraverso speculazioni infondate su civiltà perdute o visitatori extraterrestri: la connessione diretta con Cristoforo Colombo e con le prime esplorazioni del Nuovo Mondo conferisce già alla mappa un valore documentario eccezionale e la rende una delle più preziose reliquie cartografiche del Rinascimento. Il mistero che per decenni ha circondato questo documento è stato largamente risolto attraverso l’analisi scientifica rigorosa, restituendo alla mappa il suo autentico significato storico liberato dalle sovrastrutture pseudoscientifiche che l’avevano travisata. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!