Si è spento nella giornata di lunedì 4 novembre a Milano, all’età di novantaquattro anni, Giorgio Forattini, maestro indiscusso della satira politica italiana e figura di riferimento del giornalismo d’opinione del secondo Novecento. La notizia del decesso è stata diffusa dal quotidiano Il Giornale, uno degli ultimi giornali con cui il disegnatore aveva collaborato nel corso della sua straordinaria carriera. Con la scomparsa di Forattini si chiude definitivamente un’epoca della stampa italiana, quella in cui la matita affilata del vignettista era capace di scandire il dibattito pubblico con la stessa incisività di un editoriale di prima pagina.
Giorgio Forattini nasce a Roma il quattordici marzo del millenovecentotrentuno in una famiglia borghese di origini emiliane e piemontesi. Il padre Mario, dirigente dell’Agip e poi imprenditore nel settore petrolifero, e la madre Matilde Merlino, di famiglia piemontese e istriana, lo educano secondo i valori di una società conservatrice e tradizionale. Dopo aver conseguito la licenza liceale classica, il giovane Giorgio si iscrive alla facoltà di architettura dell’Università di Roma e frequenta anche l’Accademia di Teatro, dove ha modo di conoscere personalità che diventeranno celebri, tra cui Sofia Loren e Lina Wertmüller. A ventidue anni si sposa e decide di interrompere gli studi per cercare lavoro, abbandonando così ogni velleità accademica e intraprendendo un percorso professionale del tutto insolito per chi sarebbe diventato uno dei più grandi vignettisti italiani.
Per quasi vent’anni, Forattini svolge i mestieri più disparati. Lavora come operaio in una raffineria di petrolio nel nord Italia, precisamente a Cremona, poi come rappresentante di commercio di prodotti petroliferi a Napoli e nel sud del Paese. Alla fine degli anni Cinquanta entra in una casa discografica, dapprima come venditore e successivamente come direttore commerciale, occupandosi della realizzazione di cataloghi di musica leggera e musica classica sia in Italia che negli Stati Uniti. Durante gli anni Sessanta opera nel campo della pubblicità come illustratore e copywriter, creando campagne nazionali per grandi aziende come la Fiat e l’Alitalia. In questo lungo periodo, dal suo matrimonio fino ai quarant’anni, non prende praticamente mai in mano una matita per disegnare, nonostante avesse già manifestato fin dai tempi della scuola un talento spiccato per le caricature dei professori.
La svolta della sua vita professionale arriva nel millenovecentosettantuno, quando Forattini decide di partecipare a un concorso indetto dal quotidiano romano Paese Sera per la creazione di una nuova striscia a fumetti italiana. Stanco del lavoro di rappresentante e desideroso di un’altra vita, inventa un personaggio chiamato Stradivarius, rappresentante di commercio romantico che amava la musica e che, tornato a casa, si metteva a suonare il violino con la parrucca in testa. La striscia è autobiografica, riflette le sue aspirazioni insoddisfatte e la voglia di cambiamento. Vince il concorso e viene assunto come disegnatore e grafico dal giornale, collaborando anche all’impaginazione. È in questo contesto che Forattini, a quarant’anni suonati, riprende finalmente in mano la matita e inizia la carriera che lo renderà celebre.
Il quattordici maggio millenovecentosettantaquattro segna la nascita della leggenda di Giorgio Forattini come vignettista politico. In occasione della vittoria dei “no” al referendum sul divorzio, propone a Paese Sera una vignetta destinata a diventare iconica nel panorama della satira italiana. Il disegno raffigura una bottiglia di spumante con scritto “NO” sull’etichetta che si stappa lanciando in aria un tappo con le fattezze di Amintore Fanfani, segretario democristiano e principale esponente del fronte per l’abrogazione della legge sul divorzio. L’idea gli viene da una battuta di un tipografo del giornale che, riferendosi alla bassa statura di Fanfani, aveva detto che stavolta il tappo sarebbe saltato. La vignetta viene pubblicata direttamente in prima pagina, un fatto insolito per l’epoca, e segna l’inizio di una produzione che nel corso dei decenni raggiungerà le quattordicimila vignette pubblicate.
Nel millenovecentosettantatré comincia a collaborare con il settimanale Panorama della Mondadori, pubblicando le prime vignette di satira politica a colori, e da quel momento il suo nome diventa sinonimo di critica pungente e irriverente del potere politico italiano. Nel millenovecentosettantacinque partecipa alla fondazione del quotidiano la Repubblica di Eugenio Scalfari, collaborando al progetto grafico e come disegnatore satirico. Come dirà lui stesso anni dopo, Scalfari ha fondato il giornale e lui lo ha disegnato. Per il quotidiano romano, nel millenovecentosettantotto, Forattini crea l’inserto Satyricon, il primo supplemento di un periodico italiano dedicato interamente alla satira. Con lui pubblicano alcune nuove firme, tra cui Sergio Staino ed Ellekappa. Nel settembre millenovecentosettantanove accetta la direzione del giornale satirico Il Male, tempio dell’irriverenza degli anni Settanta, dove continua a esercitare la sua libertà espressiva senza compromessi.
Nel millenovecentoottantadue arriva la chiamata dalla Stampa di Torino, dove ritorna in prima pagina con un’innovazione assoluta per la stampa italiana. Le vignette di Forattini diventano le prime ad essere pubblicate nell’apertura di un quotidiano a diffusione nazionale e, altra novità per l’Italia, con cadenza quotidiana. La direzione del giornale attribuisce alla sua firma un valore editoriale pari a quello di un articolo di fondo, riconoscendogli così una funzione giornalistica di primissimo piano. Nel millenovecentoottantaquattro torna a la Repubblica, dove continua a pubblicare una vignetta al giorno in prima pagina, consolidando definitivamente la sua fama di matita più tagliente del giornalismo italiano. Collabora anche con L’Espresso per sette anni e con Panorama, dove pubblica per decenni contributi di satira settimanale che gli garantiscono una presenza costante nel dibattito pubblico nazionale.
Lo stile satirico di Giorgio Forattini si caratterizza per la capacità di trasformare i protagonisti della politica italiana in macchiette immediatamente riconoscibili attraverso la caricatura dei loro tratti fisici e psicologici. Bettino Craxi viene disegnato con la camicia nera mussoliniana e gli stivaloni lucenti, ispirandosi all’iconografia del Duce e al personaggio di Pietro Gambadilegno della saga di Topolino, rappresentando così il leader socialista come un gangster autoritario. Giulio Andreotti appare multiforme, gobbo e ambiguo, incarnazione della politica democristiana più oscura e misteriosa. Enrico Berlinguer viene raffigurato in vestaglia intento a sorseggiare un tè sotto un ritratto di Marx, infastidito dagli echi di una manifestazione sindacale che giungevano da fuori, a simboleggiare il presunto imborghesimento del Partito Comunista Italiano. Giovanni Spadolini appare spesso nudo, Massimo D’Alema nelle vesti di Hitler in versione comunista, Silvio Berlusconi basso di statura, Umberto Bossi come Pluto, Antonio Di Pietro come Mussolini, Matteo Renzi come Pinocchio. Questo linguaggio visivo diventa per decenni un elemento essenziale del dibattito pubblico italiano, capace di sintetizzare in un disegno giudizi politici che richiederebbero pagine di analisi.
Tra le vignette più celebri e controverse della sua carriera, quella pubblicata nel millenovecentonovantadue, pochi giorni dopo la strage di Capaci in cui perse la vita il magistrato Giovanni Falcone insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, rimane impressa nella memoria collettiva del Paese. Forattini ritrae la Sicilia trasformata nella testa di un coccodrillo che piange lacrime di dolore in seguito all’accaduto, un’immagine potente che diventa simbolo dell’ipocrisia e dell’omertà della classe politica e di parte della società siciliana di fronte al fenomeno mafioso. Altrettanto famosa è la vignetta del millenovecentonovantatré che raffigura Craxi a testa in giù con un cappio legato ai piedi, pubblicata dopo che il Parlamento aveva dato alla Procura di Milano l’autorizzazione a indagare sul segretario del Partito Socialista Italiano nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite. Un’immagine che richiama esplicitamente la fine di Benito Mussolini a piazzale Loreto e che suscita reazioni indignate e minacce nei confronti del vignettista.
La capacità di colpire indistintamente destra e sinistra, senza mai rispettare alcuna linea di partito, rende Forattini un giornalista scomodo e indesiderato quando la sua satira non coincide con gli orientamenti editoriali del giornale per cui lavora. Nel millenovecentonovantuno, quando il neonato Partito Democratico della Sinistra viene accusato di ricevere ancora i finanziamenti che per anni l’Unione Sovietica aveva garantito al Partito Comunista Italiano, Forattini pubblica una vignetta in cui si vedono Achille Occhetto e Massimo D’Alema vestiti da prostitute che ricevono denaro da Michail Gorbačëv, seduto in una lussuosa automobile al cui volante si trova Enrico Berlinguer. Occhetto e D’Alema querelano il disegnatore, e nel millenovecentonovantaquattro il tribunale di Milano lo condanna con la motivazione che la vignetta non è pura e semplice espressione satirica ma vero e proprio veicolo di informazione giornalistica e, come tale, assoggettata ai limiti propri del diritto di cronaca. La sentenza rappresenta un precedente pericoloso per la libertà di satira in Italia, imponendo al linguaggio visivo dei vincoli che non esistono per quello scritto.
La rottura definitiva con la Repubblica avviene il trenta dicembre millenovecentonovantanove, in seguito a una querela presentata dall’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema per una vignetta pubblicata l’undici ottobre dello stesso anno. Il disegno ritrae D’Alema seduto alla scrivania, con alle spalle un ritratto di Karl Marx, intento a usare il bianchetto su un lungo rotolo di carta contenente la lista Mitrokhin, l’elenco degli informatori dei servizi segreti sovietici operanti in Italia. Quando qualcuno bussa alla porta chiedendo quando arriverà la lista, D’Alema risponde imbarazzato che deve ancora asciugarsi il bianchetto. Il presidente del Consiglio ritiene la vignetta gravemente lesiva della sua reputazione e cita in giudizio Forattini davanti al Tribunale di Roma, chiedendo un risarcimento di tre miliardi di lire, ma soltanto al disegnatore e non anche alla testata che aveva ospitato il disegno. Forattini si sente abbandonato dal giornale e non sufficientemente tutelato, decide quindi di interrompere la collaborazione con la Repubblica e nel duemila ritorna alla Stampa su invito dell’editore Gianni Agnelli, con un contratto ricchissimo. D’Alema ritirerà la querela nel duemilauno, ma ormai il rapporto tra il vignettista e il quotidiano fondato da Scalfari è definitivamente compromesso.
Negli anni successivi Forattini continua a lavorare per diverse testate giornalistiche, pubblicando dal duemilasei al duemilaotto sul quotidiano Il Giornale di Milano e dal primo agosto duemilaotto a fine duemilanove con il gruppo QN – Quotidiani Nazionali, che comprende Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino. Nonostante l’età avanzata, continua a disegnare quotidianamente vignette, anche quando nessun giornale le pubblica più, raccogliendole poi in volumi che escono con cadenza annuale. Nel corso della sua carriera pubblica cinquantacinque libri editi da Mondadori, che vendono complessivamente più di tre milioni di copie, confermando il successo popolare del suo linguaggio satirico presso il grande pubblico italiano. Le ultime due antologie delle sue vignette pubblicate con Mondadori sono Il Forattone millenovecentosettantatré-duemilaquindici, che raccoglie mezzo secolo di satira, e Arièccoci, la Storia si ripete, uscito nel duemilasedici. Il suo ultimo libro è Abbecedario della politica, pubblicato nel duemiladiciassette dall’editore Clichy, che illustra come nasce una vignetta e rappresenta una sorta di testamento artistico del maestro.
Nel corso della sua lunga carriera Giorgio Forattini riceve numerosi premi e riconoscimenti che testimoniano il valore artistico e giornalistico della sua opera. Tra i più importanti figurano il Premiolino di Milano, il Premio Umorismo di Bordighera, il Premio di Tolentino, il Premio Hemingway per il giornalismo, il Premio Satira di Forte dei Marmi, il Premio Pannunzio a Torino, il Premio Speciale Ischia Internazionale di Giornalismo e il Premio Acqui Storia. Nel millenovecentonovantasette riceve l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano, la più alta onorificenza cittadina, e nel duemilaundici a Gallipoli vince il Premio Barocco. Gli vengono conferite anche diverse cittadinanze onorarie, tra cui quella del Libero Comune di Zara in esilio e quella di Asti, oltre alla civica benemerenza di Trieste. Nel duemilatredici dona il suo ricco archivio di circa diecimila vignette originali alla Triennale di Milano, garantendo così la conservazione di un patrimonio storico e culturale di inestimabile valore per la memoria collettiva del Paese.
Dal millenovecentoottantadue Giorgio Forattini convive con Ilaria Cerrina Feroni, donna di nobile casato fiorentino che aveva conosciuto quando lei lavorava come capo ufficio stampa della sezione libri di Arnoldo Mondadori Editore. Doveva curare la presentazione di un suo libro, ma lui era irrintracciabile, l’esatto contrario degli scrittori che assillano gli uffici stampa. Quando finalmente si incontrano, è un colpo di fulmine. I due si sposano il venti settembre millenovecentonovantasette al Consolato italiano di Parigi, che un tempo era stato un casino. I testimoni di lui sono Renzo Piano, Giancarlo Giannini, Umberto Veronesi e Salvatore Accardo, un parterre di eccellenza che testimonia il prestigio sociale e culturale raggiunto dal vignettista. La coppia trascorre venticinque anni tra Milano e Parigi, città che Forattini ama profondamente e dove ha una casa che venderanno soltanto durante il Covid. Vivono in una casa di ringhiera che fu caserma di Radetzky, in zona Porta Venezia a Milano, circondati da libri, quadri e da un cortile condominiale con fichi, nespoli, cachi, melograni, un ulivo e frutti rossi. Nel duemilasedici, in seguito a un intervento chirurgico e agli effetti dell’anestesia, Forattini perde progressivamente la memoria, ma conserva la dolcezza e la gentilezza che hanno sempre caratterizzato il suo carattere privato, così diverso dalla ferocia satirica delle sue vignette.
Nella sua vita privata Giorgio Forattini porta il peso di dolori profondi che lo segnano nel corso degli anni. La separazione dalla prima moglie e l’impossibilità di vedere i figli piccoli rappresentano una ferita mai completamente rimarginata. La morte prematura del secondogenito Fabio è un trauma che lo accompagna per sempre, lasciando un vuoto che soltanto il successo professionale e il nuovo amore con Ilaria riescono in parte a colmare. Nonostante la fama e il riconoscimento pubblico, Forattini rimane una persona timida, gentile e riservata, lontana dall’immagine del polemista spietato che emerge dalle sue vignette. La moglie Ilaria racconta di un uomo molto abitudinario, che ama frequentare sempre gli stessi ristoranti e gli stessi mercatini di antiquariato, ma anche estremamente generoso, capace di fare regali importanti e di circondarla di attenzioni continue.
Giorgio Forattini amava ripetere, con la sua caratteristica assenza di falsa modestia, che dopo Giovannino Guareschi credeva di venire lui nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo. Una frase che suonava come una provocazione, ma che rifletteva la consapevolezza del ruolo storico assunto nel panorama culturale e giornalistico italiano. La sua produzione artistica rappresenta infatti una cronaca visiva impietosa di mezzo secolo di vita politica del Paese, dalla Prima Repubblica a Tangentopoli, dal berlusconismo al populismo contemporaneo, dai grandi leader democristiani e comunisti fino ai movimenti antisistema degli anni Duemila. Ogni vignetta è un atto civile, un esercizio critico che non risparmia nessuno e non si piega mai al politically correct o alle pressioni dei poteri costituiti.
La sua arte satirica si fonda sul principio della libertà assoluta di espressione e sul rifiuto di qualsiasi ideologia come cattiva maestra del vignettista politico. Forattini sosteneva che l’unica linea etica del satirico dovesse essere quella di colpire ovunque stia il potere, senza porsi limiti nel premere il grilletto. Questa posizione lo porta a essere etichettato come reazionario dalla sinistra e come sovversivo dalla destra, senza che lui si identifichi mai completamente con nessuno schieramento politico. Nel duemiladodici dichiara apertamente di detestare l’integralismo e di non sopportare un partito che professa il principio “chi non è con me, è contro di me”, aggiungendo che in realtà non sopporta nessun partito. Questa indipendenza intellettuale e questa libertà di giudizio rappresentano il lascito più prezioso della sua carriera, un esempio di giornalismo d’opinione che sfida i poteri forti senza mai scendere a compromessi.
Negli ultimi anni della sua vita, Forattini denuncia pubblicamente la situazione drammatica della satira in Italia, affermando che nessun giornale lo fa più lavorare da anni perché hanno paura delle querele. Racconta di come i direttori lo chiamassero chiedendogli di cambiare il commento delle vignette, una censura preventiva insopportabile per un artista che aveva sempre rivendicato la piena autonomia del proprio lavoro. Secondo la sua analisi, la sinistra ha di fatto cancellato la satira libera dai giornali italiani dopo la vicenda della querela di Massimo D’Alema, creando un precedente che ha intimidito tutti gli editori. Nessuno lo difese quando venne querelato per tre miliardi di lire, né la Repubblica né l’Ordine dei giornalisti, e questa solitudine rappresenta la sconfitta non soltanto personale del vignettista ma dell’intera libertà di stampa italiana. Forattini afferma che l’Italia è un Paese giovane in cui Chiesa, potere e magistratura non tollerano la satira, l’ironia e la critica irriverente, a differenza di altre democrazie occidentali dove i satirici possono operare senza subire ritorsioni giudiziarie o economiche.
Con la morte di Giorgio Forattini si chiude definitivamente un capitolo della storia del giornalismo e della satira italiana. La sua matita ha raccontato, interpretato e smontato il potere politico per oltre cinquant’anni, trasformando la vignetta da semplice illustrazione a strumento di critica politica capace di influenzare il dibattito pubblico con la stessa efficacia di un editoriale. Dopo di lui, nessun vignettista italiano è riuscito a conquistare lo stesso spazio e la stessa autorevolezza nelle pagine dei quotidiani nazionali, e la satira visiva è progressivamente scomparsa dalle prime pagine dei giornali, relegata in spazi secondari o confinata nei settimanali. L’eredità di Forattini resta tuttavia viva nelle migliaia di vignette che continuano a circolare, testimonianza di un’epoca in cui ridere del potere non era soltanto possibile ma rappresentava un atto necessario di igiene democratica, e nella consapevolezza che senza la libertà di critica e di satira nessuna democrazia può dirsi veramente tale. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
