Una visita alla moschea locale organizzata per un gruppo di bambini dell’asilo cattolico ha scatenato un’ondata di polemiche nel trevigiano. Protagonista della contestata iniziativa è la Scuola dell’Infanzia paritaria parrocchiale “Santa Maria delle Vittorie” di Susegana, nel comune di Ponte della Priula, che il 30 aprile ha portato i piccoli alunni in un centro islamico, dove avrebbero partecipato a momenti di preghiera guidati dall’imam locale. Le immagini dei bambini, inginocchiati sul tappeto della moschea rivolti verso La Mecca, hanno fatto immediatamente il giro dei social, suscitando indignazione trasversale. Mentre la direzione scolastica difende l’esperienza definendola “emozionante”, il Ministero dell’Istruzione ha già avviato verifiche sull’accaduto.
Le fotografie pubblicate orgogliosamente sui canali social della scuola mostrano scene che lasciano sbigottiti: bambini di un istituto di ispirazione cattolica prostrati in preghiera secondo il rito musulmano, con le insegnanti che, indossato il velo islamico, partecipano attivamente all’iniziativa. “Ci siamo tolti le scarpe, le maestre hanno indossato un velo e siamo entrati in una grande stanza dove per terra c’era un enorme tappeto rosso con alcune strisce bianche dove ci si mette per pregare”, si legge nel post pubblicato dalla scuola, che prosegue raccontando come “l’imam ci ha spiegato che la religione musulmana si fonda su 5 pilastri e ci ha detto che loro pregano 5 volte al giorno (ci abbiamo anche provato)”.
La reazione della politica non si è fatta attendere, con la Lega in prima linea nel denunciare quello che viene considerato un attacco ai valori della tradizione cattolica. Alberto Villanova, capogruppo della Lega in Consiglio regionale del Veneto, ha definito le immagini dei piccoli inginocchiati verso La Mecca come “agghiaccianti”, parlando di “una provocazione inutile che fa gelare il sangue”. Ancora più dura l’europarlamentare Anna Maria Cisint, che ha parlato senza mezzi termini di “sottomissione ideologica” e di “fondamentalismo bello e buono”, annunciando di voler scrivere al Sindaco e all’Ufficio scolastico per “sapere chi ha autorizzato questa follia”.
Più di qualche perplessità è stata espressa anche da numerosi genitori e cittadini comuni sui social. “I bambini vanno a scuola per studiare, non per essere indottrinati con ideologie fuori dalla storia”, ha commentato un utente. “Siete vergognosi! Fossi il padre di uno di quei bambini, prima lo ritirerei da quell’istituto, poi prenderei dei provvedimenti nei vostri vergognosi confronti!”, ha scritto un altro. La questione solleva interrogativi fondamentali sulla libertà di educazione e sul rispetto dell’identità culturale e religiosa in un paese dalla tradizione cattolica come l’Italia.
Dal canto suo, la scuola difende strenuamente la propria scelta. Stefania Bazzo, direttrice dell’istituto, ha precisato che “la scuola, che è una paritaria parrocchiale di ispirazione cristiana, è molto attenta nei confronti della molteplicità culturale e religiosa che caratterizza il nostro territorio”, aggiungendo che il progetto “si fonda sul rispetto della multiculturalità senza penalizzare la nostra tradizione”. Un’altra insegnante, Stefania Pillon, ha giustificato l’iniziativa spiegando che “nel nostro asilo ci sono bambini di tutte le etnie, molti hanno tradizioni e culture di cui spesso sappiamo poco”.
A seguito delle polemiche, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto ha avviato accertamenti su richiesta del Ministero dell’Istruzione e del Merito. In una nota, l’USR ha specificato che l’istituto è “non statale” e affiliato alla “Federazione Italiana Scuole Materne”, e che gli uffici ministeriali hanno chiesto di verificare il “rispetto delle norme sulla parità scolastica”. L’USR ha inoltre ricordato che tutte le scuole, statali e paritarie, operano nel quadro dell’autonomia scolastica, che impone di adottare un “progetto educativo specifico e condiviso con le famiglie”.
Secondo quanto riportato, l’iniziativa sarebbe stata organizzata con il consenso dei genitori, ma rimane da chiarire se fossero stati adeguatamente informati della natura dell’attività. L’imam Avnija Nurceski, che ha accolto i bambini, ha parlato di una “preghiera per la pace” rivolta a “bambini malati e poveri”. La scuola ha inoltre precisato che non si trattava della prima iniziativa di questo tipo: “Già in occasione della festa per la fine del Ramadan, la mamma di un alunno ha letto un libro che spiega ai bambini cos’è e cosa si fa durante il Ramadan”.
L’episodio di Treviso solleva questioni importanti sul delicato equilibrio tra integrazione e preservazione dell’identità culturale. Se da una parte l’apertura al dialogo interreligioso è un valore, dall’altra la modalità con cui è stata realizzata questa iniziativa appare discutibile, soprattutto considerando l’età dei bambini coinvolti e il contesto di una scuola di ispirazione cattolica. Non sorprende che molti, anche al di fuori degli schieramenti politici, si chiedano se sia appropriato che bambini di una scuola cattolica vengano portati a pregare secondo riti di un’altra religione.
Mentre in nome di un malinteso concetto di integrazione si propongono esperienze come quella di Treviso, nelle scuole italiane si assiste paradossalmente a tentativi di eliminare simboli della tradizione cristiana come il crocifisso o il presepe. Un doppio standard che fa riflettere sull’effettiva direzione che sta prendendo l’educazione nel nostro Paese e sulla necessità di preservare le radici culturali e spirituali che hanno formato la nostra identità nazionale.
La questione resta aperta, in attesa degli esiti delle verifiche avviate dalle autorità scolastiche. Ma al di là degli aspetti formali, il caso solleva interrogativi più profondi sul futuro dell’educazione in Italia e sul rispetto delle tradizioni che hanno plasmato la nostra società per secoli. Un tema su cui il dibattito è destinato a proseguire.