Elio Germano, attacca il governo ma incassa milioni di fondi pubblici per film in perdita

L’attore pluripremiato ha attaccato duramente il Ministro della Cultura dimenticando i 12 milioni di finanziamenti pubblici ricevuti per i suoi film che hanno però registrato incassi decisamente modesti, evidenziando le contraddizioni di un sistema cinematografico dipendente dai fondi statali.
Credit © Rai

Una posizione che rasenta il paradosso quella di Elio Germano, recente vincitore del David di Donatello come miglior attore protagonista per “Berlinguer – La grande ambizione”, che si è lanciato in un acceso attacco al Ministero della Cultura durante la cerimonia di premiazione tenutasi al Quirinale. L’attore, protagonista di un durissimo j’accuse nei confronti del ministro Alessandro Giuli, sembra aver dimenticato un particolare non trascurabile: i suoi film degli ultimi anni hanno beneficiato di circa 12 milioni di euro di finanziamenti pubblici, a fronte di incassi al botteghino decisamente modesti.

In un intervento carico di retorica, Germano ha dichiarato che “il cinema è davvero in crisi e noi crediamo per grossa responsabilità del ministero della Cultura”, aggiungendo che sarebbe auspicabile che il ministro “invece di piazzare i loro uomini nei posti chiave come fanno i clan” si preoccupasse “di fare il bene della comunità”. Parole forti che hanno immediatamente suscitato l’entusiasmo dei circoli progressisti e dei sostenitori di un sistema cinema largamente sovvenzionato dalle casse statali, ma che risultano quantomeno stridenti se confrontate con la realtà dei fatti.

I numeri raccontano infatti una storia ben diversa da quella narrata dall’attore capitolino: i cinque film a cui ha partecipato a vario titolo dal 2023 ad oggi hanno ricevuto complessivamente fondi ministeriali per oltre 12 milioni di euro, coprendo più di un terzo del costo totale di produzione, stimato intorno ai 24 milioni. Un contributo pubblico significativo che evidenzia come il sistema di sostegno al cinema italiano sia tutt’altro che latitante, almeno per quanto riguarda le produzioni che vedono coinvolto lo stesso Germano.

Guardando più nel dettaglio, emerge un quadro emblematico di come funziona il meccanismo dei finanziamenti pubblici al cinema nel nostro paese. “Berlinguer – La grande ambizione”, il film che ha portato Germano sul podio del David, ha ricevuto oltre 2 milioni di euro di fondi statali, riuscendo a incassare circa 3,8 milioni al botteghino – un risultato commerciale non disprezzabile ma certamente non entusiasmante. Ancor più significativo il caso di “Confidenza”, pellicola diretta da Daniele Luchetti costata 6,5 milioni di euro, di cui ben 2,7 provenienti dalle casse del ministero, che ha registrato incassi per soli 1,8 milioni, configurando una palese perdita economica.

Il film “Palazzina Laf”, diretto da Michele Riondino – altro volto noto per le sue posizioni critiche verso l’attuale esecutivo – ha beneficiato di 1,2 milioni di sussidi pubblici, raccogliendo nelle sale cinematografiche 1,1 milioni di euro, un risultato che, al netto dei costi di distribuzione e promozione, rappresenta un investimento in perdita per i contribuenti italiani. Il quadro si completa con l’ultimo film “N-EGO” di Eleonora Di Mario che, stando alle prime proiezioni di incasso, sta raccogliendo appena 500 euro al giorno.

La risposta di Giuli alle accuse non si è fatta attendere. Il ministro ha parlato di “una minoranza rumorosa che si impadronisce perfino dei più alti luoghi delle istituzioni culturali per cianciare in solitudine”, sottolineando come la riforma del tax credit non sia stata una scelta ideologica dell’attuale governo ma una risposta necessaria alle criticità emerse dal mondo stesso del cinema italiano. Un’osservazione che coglie nel segno, considerando come per anni il sistema di finanziamento pubblico abbia sostenuto pellicole con pochissimi spettatori o distribuite esclusivamente su piattaforme streaming, bypassando completamente la prova del grande schermo.

La contro-replica di Germano appare sintomatica di un certo atteggiamento diffuso nel mondo dello spettacolo italiano: l’attore si è dichiarato “preoccupato perché un ministro attacca direttamente un cittadino”, dimenticando evidentemente che il primo affondo polemico era partito proprio da lui, in un contesto istituzionale di grande prestigio come la cerimonia al Quirinale. Germano ha poi ulteriormente alzato i toni dichiarando che “sulle linee guida dei finanziamenti al cinema, questo governo ha messo che i soldi vanno dati soltanto a film che parlano bene di personaggi italiani”, un’affermazione che appare quantomeno forzata e lontana dalla realtà normativa.

Il presidente della Commissione cultura della Camera e responsabile nazionale cultura e innovazione di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, ha risposto puntualmente definendo “irricevibile il sillogismo di Elio Germano sui clan” e ricordando come “dopo anni di gestione faziosa, il governo Meloni sta restituendo al mondo del cinema un sistema più equo e competitivo; rilanciando Cinecittà, investendo nelle sale cinematografiche e nel consumo culturale”. Mollicone ha inoltre sottolineato come il cinema italiano non possa “vivere solo di intellettualismi ma deve essere competitivo”, toccando un punto cruciale del dibattito: la sostenibilità economica di un settore che non può dipendere eternamente dalla munificenza statale.

La vicenda solleva interrogativi fondamentali sul sistema di finanziamento pubblico al cinema italiano. Un meccanismo che, paradossalmente, sembra generare una spirale perversa: più un film beneficia di fondi statali, meno sembra essere incentivato a confrontarsi realmente con il mercato e con i gusti del pubblico pagante. La logica economica di base vorrebbe che ogni investimento producesse un ritorno adeguato, ma nel caso del cinema sovvenzionato dallo Stato questa regola sembra essere sistematicamente disattesa, con produzioni che assorbono ingenti risorse pubbliche e restituiscono poi risultati commerciali modesti quando non apertamente fallimentari.

Proprio quanto affermato da Germano nel 2014 – “Restituiamo il cinema al pubblico, bisogna ridare alle persone i film che, con i contributi pubblici, in fondo ci aiutano a produrre” – sembra oggi in contraddizione con l’atteggiamento dell’attore stesso, che difende a spada tratta un sistema che continua a finanziare produzioni che il pubblico, evidentemente, non sembra apprezzare in misura sufficiente. La crisi del cinema italiano è innegabile, ma forse le sue radici non vanno ricercate nella presunta avarizia del ministero quanto piuttosto in un sistema che ha disabituato i produttori a confrontarsi con le leggi di mercato.

In un momento in cui il bilancio dello Stato è sottoposto a crescenti pressioni e le risorse pubbliche sono limitate, sarebbe forse opportuno interrogarsi sull’efficacia di un modello di sostegno che sembra perpetuare un sistema autoreferenziale, più attento agli equilibri interni del settore che non alla effettiva capacità di incontrare i gusti e le preferenze degli spettatori. La polemica innescata da Germano, al di là delle connotazioni politiche, rimane emblematica di come il dibattito sul futuro del cinema italiano continui a essere polarizzato tra chi sostiene la necessità di maggiori fondi pubblici e chi, invece, auspica una maggiore responsabilità imprenditoriale da parte degli operatori del settore.