Nel 1996, un antropologo californiano di cinquantacinque anni intraprese quello che sarebbe diventato uno dei più audaci tentativi di infiltrazione nella storia dell’Area 51. Jerry Freeman non cercava dischi volanti o tecnologie aliene quando attraversò il perimetro della base militare più segreta d’America, ma seguiva le tracce di pionieri morti oltre un secolo prima nel deserto del Nevada. La sua missione, apparentemente innocua, lo condusse a testimoniare fenomeni che ancora oggi alimentano speculazioni e teorie cospirative sui misteri nascosti nella zona più classificata degli Stati Uniti.
Freeman era un ricercatore specializzato in antropologia culturale presso la California State University Long Beach, un uomo dal passato accademico rispettabile che lavorava come insegnante nella Antelope Valley. La sua ossessione per la storia americana lo aveva portato a studiare la tragica vicenda dei Lost ’49ers, un gruppo di pionieri che nel 1849 si erano persi nel deserto del Nevada mentre cercavano una scorciatoia verso i campi auriferi della California. Questi sfortunati viaggiatori avevano lasciato iscrizioni su rocce e testimonianze nei loro diari, documenti storici che Freeman considerava di inestimabile valore per la comprensione della corsa all’oro californiana.

La ricerca di Freeman lo condusse inevitabilmente verso un’area che oggi conosciamo come Area 51, situata nel deserto del Nevada a circa centotrenta chilometri a nord-ovest di Las Vegas. Secondo i documenti storici, i pionieri avevano attraversato questa zona e vi avevano lasciato la settima e ultima iscrizione nel Nye Canyon, vicino al Papoose Lake. Quando Freeman si rivolse all’Aeronautica Militare per ottenere il permesso di accedere alla zona classificata, anche con una scorta e bendato se necessario, ricevette un rifiuto categorico. Nemmeno l’intervento del deputato Howard P. McKeon riuscì a convincere il Pentagono a concedere l’autorizzazione.
Determinato a portare a termine la sua missione storica, Freeman pianificò meticolosamente un’infiltrazione clandestina. Il ventisette aprile 1996, sotto il chiarore della luna piena, iniziò un trekking non autorizzato di sette giorni che lo avrebbe portato attraverso cento miglia di territorio proibito. Partendo da un lato isolato del Nevada Test Site, l’antropologo si mosse attraverso crateri lasciati da esplosioni atomiche prima di entrare nel territorio dell’Aeronautica Militare. La sua strategia prevedeva spostamenti notturni per evitare la rilevazione da parte dei sistemi di sicurezza, nascondendosi dietro cespugli di cactus quando apparivano le guardie.
Durante la sua permanenza nell’area classificata, Freeman documenta nel suo diario esperienze che vanno oltre la semplice ricerca archeologica. Descrisse di aver visto una grande “città” di edifici illuminata da luci pulsanti durante la notte, che successivamente si rivelò essere un’antica area di assemblaggio di dispositivi nucleari. Più inquietante fu la sua esperienza presso il Papoose Lake, il letto asciutto di un lago che secondo teorie cospirative nasconderebbe hangar sotterranei per lo studio di tecnologie aliene.
“Mi sembrava il letto di un lago asciutto, nient’altro, ma di notte era tutta un’altra storia”, raccontò Freeman al giornalista e ricercatore UFO George Knapp. “Ho potuto vedere chiaramente quali erano le luci di sicurezza sui perimetri e ho potuto vedere luci che si aprivano e si chiudevano vicino al centro del lago”. L’antropologo osservò questo fenomeno per circa due minuti, durante i quali avvertì vibrazioni nel terreno che interpretò come il segno di qualcosa di altamente tecnologico in fase di test sotterraneo.
Il racconto più straordinario di Freeman riguarda quello che descrisse come un portale che si materializzò improvvisamente nel paesaggio desertico. Secondo la testimonianza raccolta da George Knapp, “all’improvviso dal nulla, si apre una porta. Intendo proprio come una porta nello spazio. Una luce – una luce bluastra che aprì un varco verso chissà dove”. Questo fenomeno apparve e scomparve rapidamente, lasciando Freeman con più domande che risposte. L’antropologo, che non aveva familiarità con le teorie UFO o con personaggi come Bob Lazar, non riuscì a fornire una spiegazione razionale per ciò che aveva osservato.
Nonostante i rischi e le esperienze inquietanti, Freeman riuscì a completare gran parte della sua missione archeologica. Raggiunse effettivamente il Nye Canyon dove avrebbe dovuto trovarsi l’iscrizione del 1849, ma non riuscì a localizzarla a causa della mancanza d’acqua e del tempo limitato. Tuttavia, durante il suo viaggio trovò quello che sembrava essere un ferro di bue probabilmente lasciato dal convoglio di pionieri, un reperto che validava almeno parzialmente le sue ricerche storiche.
Il viaggio di Freeman attraverso l’Area 51 non fu privo di conseguenze. Secondo il ricercatore George Knapp, durante la sua permanenza nell’area classificata l’antropologo “si imbatté in sacche di radiazioni” che potrebbero aver contribuito alla sua morte per cancro avvenuta nel 2001. Diversi mesi dopo il suo trekking non autorizzato, quando un giornale di Las Vegas pubblicò porzioni del diario di Freeman dettagliando il suo viaggio, la notizia causò sorpresa negli uffici governativi. “Ci ha deluso e ferito i nostri sentimenti”, commentò il capitano Lee Bloom, portavoce della base aerea di Nellis dove è situata l’Area 51, aggiungendo “non abbiamo molte violazioni”.
La storia di Jerry Freeman emerge in un momento particolare della storia americana, quando la trasparenza governativa su fenomeni aerei non identificati diventa sempre più rilevante. L’Area 51, ufficialmente riconosciuta dal governo solo nel 2013, continua a essere al centro di speculazioni su tecnologie avanzate e possibili contatti extraterrestri. Freeman stesso ammise la pericolosità della sua impresa, dichiarando “Penso che se mi avessero beccato lì dentro mi avrebbero illuminato come una candela romana”. La sua testimonianza rimane una delle poche narrazioni dirette di civili che sono riusciti a penetrare e sopravvivere in quello che molti considerano il luogo più sorvegliato del pianeta, lasciando un’eredità di mistero che continua a interrogare le nostre conoscenze sui segreti militari americani.