Alla seconda prova scritta della Maturità 2025 per il liceo classico, il Ministero dell’Istruzione ha proposto un passo tratto dal Laelius de amicitia di Marco Tullio Cicerone. Si tratta di un dialogo filosofico scritto nel 44 a.C., poco prima della morte dell’autore, in cui il protagonista Gaio Lelio riflette sulla natura dell’amicizia, in memoria dell’amico Scipione Emiliano.
Il brano assegnato si concentra sull’essenza autentica del legame amicale, ponendo in secondo piano l’utile in favore del sentimento spontaneo e naturale che unisce gli esseri umani.
Il testo della traccia alla seconda prova per il liceo classico
Amor enim, ex quo amicitia nominata est, princeps est ad benevolentiam coniungendam. Nam utilitates quidem etiam ab eis percipiuntur saepe, qui simulatione amicitiae coluntur et observantur temporis causa. In amicitia autem nihil fictum est, nihil simulatum et, quidquid est, id est verum et voluntarium.
Quapropter a natura mihi videtur potius quam ab indigentia orta amicitia, applicatione magis animi cum quodam sensu amandi, quam cogitatione quantum illa res utilitatis esset habitura.
Quod quidem quale sit, etiam in bestiis quibusdam animadverti potest, quae ex se natos ita amant ad quoddam tempus et ab iis ita amantur, ut facile earum sensus appareat.
Quod in homine multo est evidentius, primum ex ea caritate, quae est inter natos et parentes, quae dirimi nisi detestabili scelere non potest, deinde, cum similis sensus extitit amoris, si aliquem nacti sumus, cuius cum moribus et natura congruamus, quod in eo quasi lumen aliquod probitatis et virtutis perspicere videamur.
Nihil est enim virtute amabilius, nihil quod magis adliciat ad diligendum, quippe cum propter virtutem et probitatem etiam eos, quos numquam vidimus, quodam modo diligamus.
La traduzione della versione di Cicerone dal “De Amicitia”
L’amore, da cui prende il nome l’amicizia, è infatti il primo principio che unisce le persone nella benevolenza. Le utilità, in realtà, si ottengono anche da coloro che vengono frequentati e onorati con finzione di amicizia, per convenienza del momento. Nell’amicizia, invece, non c’è nulla di finto, nulla di simulato: tutto ciò che c’è è autentico e spontaneo.
Per questo motivo, l’amicizia sembra nascere più dalla natura che dal bisogno, da una disposizione dell’animo con un certo sentimento d’affetto, piuttosto che da una riflessione su quale utilità essa potrà offrire.
Tale inclinazione si può osservare anche in certi animali, che amano i propri figli per un certo periodo e da essi sono riamati in modo tale che i loro sentimenti appaiono evidenti.
Nell’uomo, questo sentimento è ancora più chiaro: prima, nell’amore tra figli e genitori, che non può essere spezzato se non da un crimine esecrabile; poi, quando nasce un simile sentimento d’affetto verso qualcuno che condivida i nostri costumi e il nostro carattere, perché in lui ci sembra di scorgere una sorta di luce di onestà e virtù.
Nulla infatti è più amabile della virtù, nulla attrae di più verso l’amore, tanto che per la virtù e la rettitudine amiamo, in un certo senso, anche coloro che non abbiamo mai conosciuto.
Commento al brano
Nel brano proposto, Cicerone espone una concezione dell’amicizia che supera il mero scambio utilitaristico, per affermare la sua origine naturale e morale. Il punto di partenza è etimologico: l’amicizia (amicitia) deriva da amor, un sentimento puro che si fonda sulla benevolenza.
L’autore distingue chiaramente l’amicizia autentica da quella fittizia, strumentale, che si regge su interessi momentanei. L’amicizia vera, al contrario, è libera da finzioni: nasce da un’affinità elettiva tra gli animi e si manifesta spontaneamente. Si tratta di un legame che trova radici più nella natura che nel bisogno, anticipando una visione moderna del rapporto interpersonale fondato su empatia, riconoscimento e condivisione di valori.
Particolarmente interessante è l’osservazione zoologica: anche negli animali è possibile scorgere rudimenti di amore e reciprocità. Ma è nell’uomo che questo sentimento trova il suo compimento più alto, specialmente nel legame familiare e poi nell’incontro con persone affini per virtù e carattere.
Il culmine della riflessione si ha nel riconoscimento della virtù come qualità amabile per eccellenza. Cicerone afferma che siamo naturalmente portati ad amare chi è virtuoso, persino se non lo abbiamo mai incontrato. L’amicizia diventa allora non solo un rapporto affettivo, ma anche un riconoscimento morale, un’alleanza tra persone rette, un’adesione spirituale a ideali comuni.
Questa pagina di Cicerone offre ai maturandi non solo un esercizio di traduzione, ma una lezione di vita che resta attuale: l’amicizia è un valore fondante della convivenza civile, radicato nella natura umana e nella ricerca condivisa del bene.
Contesto storico e culturale del Laelius de amicitia
Il Laelius de amicitia fu scritto nell’autunno del 44 a.C., in un momento particolarmente delicato della vita di Cicerone e della storia romana. Pochi mesi prima, il 15 marzo, Giulio Cesare era stato assassinato. La repubblica era in crisi, e Cicerone, allarmato per il futuro politico di Roma, si ritirò momentaneamente dalla scena pubblica per dedicarsi all’attività letteraria e filosofica.
Fu in questa fase che compose alcune delle sue opere più intense e personali, tra cui il De senectute e appunto il De amicitia. Il dialogo è ambientato nel 129 a.C., dopo la morte di Scipione Emiliano, eroe delle guerre puniche e amico stretto di Gaio Lelio. Attraverso Lelio, Cicerone celebra non solo un ideale di amicizia, ma anche un modello di uomo politico retto e virtuoso, contrapposto alla corruzione e alla violenza del proprio tempo.
Il dialogo si iscrive nella più ampia opera di mediazione tra pensiero greco e cultura romana che Cicerone portò avanti: egli volle tradurre in forma accessibile i grandi temi dell’etica stoica e platonica, adattandoli alle esigenze morali e civiche dell’aristocrazia romana.