L’accordo raggiunto al G7 sulla tassazione globale delle multinazionali segna un momento di svolta che rischia di compromettere definitivamente l’efficacia della global minimum tax, trasformando quello che doveva essere uno strumento di equità fiscale internazionale in una vittoria diplomatica per l’amministrazione Trump e una sonora sconfitta per le altre nazioni del G7.
La presidenza canadese del G7 ha annunciato nei giorni scorsi di aver trovato un accordo per una “soluzione parallela” che, in ragione della cosiddetta “sovranità fiscale dei Paesi”, esenta le compagnie americane da alcune parti del nuovo regime fiscale, riconoscendo le tasse che già pagano negli Stati Uniti. Il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha dichiarato giovedì 26 giugno su X che “le tasse OECD Pillar 2 non si applicheranno alle compagnie americane”, sancendo così una delle più significative capitolazioni diplomatiche degli ultimi anni.
La Minaccia della “Revenge Tax” Come Arma di Persuasione
L’accordo è il risultato diretto della strategia di pressione messa in atto dall’amministrazione Trump attraverso la minaccia della cosiddetta “revenge tax”, prevista nella Sezione 899 del “One Big Beautiful Bill Act”. Questa tassa di ritorsione avrebbe consentito agli Stati Uniti di imporre prelievi aggiuntivi fino al 50% sui redditi da investimento delle società straniere operanti in America, colpendo in particolare quelle provenienti da Paesi con regimi fiscali considerati discriminatori da Washington.
La minaccia si è rivelata devastante per le maggiori economie del G7. Come riportato dal Telegraph, aziende britanniche con significative operazioni statunitensi come Compass, GSK, AstraZeneca, Barclays, British American Tobacco, Diageo, Reckitt Benckiser e Intercontinental Hotels Group avrebbero potuto subire colpi mortali. Analoghe preoccupazioni hanno attraversato l’Europa e il Canada, dove la digital service tax sui giganti tecnologici americani era nel mirino di Washington.
Di fronte a questa pressione, i partner del G7 hanno scelto la strada della resa. Il New York Times ha riportato che “l’accordo dovrebbe alleviare le preoccupazioni tra le multinazionali riguardo al potenziale di una guerra fiscale globale”, ma la realtà è che tale guerra è stata vinta dagli Stati Uniti prima ancora di iniziare.
Lo Svuotamento della Global Minimum Tax
L’accordo raggiunto rappresenta il tradimento dello spirito originario della global minimum tax del 15%, faticosamente negoziata nel 2021 sotto l’egida dell’OCSE con l’adesione di 136 Paesi. Quello che Le Monde ha descritto come un accordo che “priva di gran parte della sostanza l’accordo sulla tassa minima globale del 15%” trasforma un meccanismo di coordinamento fiscale internazionale in un sistema a due velocità dove le regole valgono per tutti tranne che per le multinazionali americane.
Il sistema “side-by-side” (fianco a fianco) annunciato dal G7 significa nella pratica che mentre le multinazionali europee, canadesi e giapponesi dovranno sottostare al regime della global minimum tax, le loro controparti americane opereranno in un regime di esenzione sostanziale. Come ha sottolineato la bozza del comunicato G7 visionata dal New York Times, “la realizzazione di un sistema fianco a fianco faciliterà ulteriori progressi per stabilizzare il sistema fiscale internazionale”, ma questa stabilizzazione avviene al prezzo dell’equità.
Le Big Tech Americane: I Veri Vincitori
L’esenzione concessa alle multinazionali statunitensi assume particolare gravità considerando che le maggiori multinazionali al mondo sono proprio americane, in particolare nel settore tecnologico. Un rapporto della Fair Tax Foundation ha rivelato che le cosiddette “Silicon Six” – Amazon, Meta, Alphabet, Netflix, Apple e Microsoft – hanno evitato quasi 278 miliardi di dollari in tasse societarie statunitensi nell’ultimo decennio, pagando un’aliquota fiscale effettiva media del solo 18,8% tra il 2014 e il 2023.
Queste stesse aziende hanno dominato i mercati europei, spesso a scapito delle controparti locali, beneficiando di vantaggi fiscali derivanti dalla possibilità di concentrare i profitti in giurisdizioni a bassa tassazione. La Francia aveva cercato di contrastare questo fenomeno introducendo nel 2019 una digital service tax del 3% che doveva applicarsi a circa 30 aziende e generare circa 500 milioni di euro all’anno. Altri Paesi europei avevano seguito l’esempio francese, con aliquote variabili dal 2% al 7%.
Con l’accordo attuale, questi sforzi nazionali di tassazione equa vengono sostanzialmente vanificati. Le big tech americane continueranno a beneficiare di un arbitraggio fiscale competitivo che permette loro di minimizzare il carico tributario nei mercati dove operano, mantenendo un vantaggio sleale rispetto ai concorrenti locali che non possono beneficiare delle stesse strutture di ottimizzazione fiscale internazionale.
Un Precedente Pericoloso per la Cooperazione Internazionale
L’capitolazione del G7 di fronte alle minacce americane stabilisce un precedente estremamente pericoloso per la cooperazione fiscale internazionale. Dopo decenni di negoziati per contrastare la “corsa al ribasso” delle aliquote fiscali societarie, l’accordo attuale legittima de facto l’esistenza di un sistema fiscale internazionale a geometria variabile, dove il Paese economicamente più forte può imporre le proprie condizioni agli altri.
L’OCSE aveva stimato che la global minimum tax avrebbe generato tra 50 e 80 miliardi di dollari in entrate fiscali aggiuntive globali annue. Con l’esenzione delle multinazionali americane, una porzione significativa di queste entrate aggiuntive svanisce, compromettendo l’efficacia del meccanismo complessivo.
Il Financial Times ha riportato che “l’accordo, sostenuto da Washington e dagli altri membri del G7, permetterebbe alle aziende statunitensi di evitare certe tasse estere a causa dei prelievi già pagati negli Stati Uniti”. Questa formulazione nasconde però la realtà: le multinazionali americane potranno continuare a beneficiare delle strutture di ottimizzazione fiscale che le altre multinazionali non potranno più utilizzare.
L’Illusione della Sovranità Fiscale
La giustificazione fornita dal G7 per l’esenzione delle multinazionali americane – il rispetto della “sovranità fiscale dei Paesi” – appare come un artificio retorico per mascherare una resa incondizionata. Se davvero la sovranità fiscale fosse il principio guida, ogni Paese dovrebbe poter decidere autonomamente se aderire o meno alla global minimum tax, rendendo l’intero meccanismo privo di senso.
La realtà è che la sovranità fiscale viene invocata selettivamente solo quando serve a giustificare le pressioni del Paese economicamente dominante. Gli altri Paesi del G7 hanno rinunciato alla propria sovranità fiscale accettando di implementare la global minimum tax, mentre gli Stati Uniti mantengono la loro “sovranità” attraverso l’esenzione delle proprie multinazionali.
Le Conseguenze per l’Europa e il Canada
Per l’Europa e il Canada, l’accordo rappresenta una sconfitta su tutti i fronti. Non solo vedranno le proprie multinazionali sottoposte a maggiori oneri fiscali rispetto alle controparti americane, ma dovranno anche continuare a tollerare che le big tech statunitensi realizzino profitti sui loro territori senza contribuire adeguatamente al finanziamento dei servizi pubblici locali.
Il Canada, che pure detiene la presidenza del G7, si trova nella posizione paradossale di aver guidato negoziati che si concludono con un accordo sfavorevole ai propri interessi. La digital service tax canadese, che doveva entrare in vigore con il primo significativo pagamento il 30 giugno, rimane nel mirino delle possibili ritorsioni americane future.
L’Europa, che aveva investito significative risorse politiche nell’implementazione della global minimum tax attraverso la direttiva UE approvata nel 2022, si ritrova con un meccanismo monco che penalizza le proprie multinazionali senza toccare quelle americane.
Un Sistema Fiscale Internazionale a Due Velocità
L’accordo attuale cristallizza de facto un sistema fiscale internazionale a due velocità, dove vigono regole diverse a seconda della nazionalità delle multinazionali. Questo contraddice frontalmente i principi di equità e non discriminazione che dovrebbero guidare la cooperazione fiscale internazionale.
Le multinazionali americane continueranno a beneficiare delle sofisticate strutture di profit shifting che consentono loro di concentrare i profitti in giurisdizioni a bassa tassazione, mantenendo aliquote fiscali effettive ben al di sotto del 15% teoricamente stabilito dalla global minimum tax. Nel frattempo, le loro controparti europee e canadesi dovranno adeguarsi al nuovo regime, subendo un svantaggio competitivo strutturale.
La giustificazione fornita dal G7 – che le multinazionali americane sono già sufficientemente tassate negli Stati Uniti con un’aliquota del 21% – ignora completamente la realtà dell’ottimizzazione fiscale internazionale. Come dimostrato dal rapporto della Fair Tax Foundation, le aliquote nominali americane non impediscono alle multinazionali statunitensi di mantenere aliquote fiscali effettive ben al di sotto della media.
Il Fallimento della Diplomazia Multilaterale
L’accordo del G7 rappresenta il simbolo del fallimento della diplomazia multilaterale di fronte alla diplomazia coercitiva americana. Invece di mantenere una posizione unitaria che avrebbe potuto costringere Washington a più miti consigli, i Paesi del G7 hanno scelto la strada della capitolazione preventiva.
Questo precedente rischia di incoraggiare futuri ricatti americani su questioni fiscali e commerciali. Se una semplice minaccia di tasse di ritorsione è sufficiente a far capitolare le maggiori economie mondiali, l’amministrazione Trump avrà imparato una lezione preziosa sui rapporti di forza nell’economia globale.
L’accordo dimostra inoltre l’inadeguatezza degli attuali meccanismi di governance economica globale nel gestire le asimmetrie di potere tra Stati Uniti e resto del mondo. L’OCSE, che aveva faticosamente orchestrato l’accordo del 2021, si ritrova ora a dover gestire un’implementazione profondamente distorta che vanifica gran parte degli obiettivi originari.
La global minimum tax, che doveva rappresentare un punto di svolta nella lotta all’elusione fiscale delle multinazionali, si trasforma così in un’arma a doppio taglio che colpisce tutti tranne i veri protagonisti dell’ottimizzazione fiscale aggressiva: le multinazionali americane. Una vittoria di Trump che segna una pesante sconfitta per l’equità fiscale internazionale e per le ambizioni di un sistema tributario globale più giusto ed efficace.