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Cambio dell’Ora, la Commissione UE spinge per l’abolizione ma gli Stati frenano

La fine del cambio d’ora in Europa resta bloccata nel Consiglio dell’UE: cittadini e Parlamento favorevoli, ma gli Stati membri non trovano un accordo sulla scelta dell’orario stabile.

Il progetto di abolire il cambio stagionale dell’ora in Europa si è arenato in una palude istituzionale da cui, almeno per ora, sembra impossibile uscire. Nonostante una volontà politica manifestata in modo chiaro da parte della Commissione Europea e un voto favorevole del Parlamento risalente al 2019, l’alternanza tra ora solare e ora legale continua a scandire le giornate dei cittadini europei due volte l’anno. L’abolizione, che avrebbe dovuto diventare realtà già nel 2021, è rimasta impantanata nei meccanismi decisionali del Consiglio dell’Unione Europea, dove le capitali nazionali non sono ancora riuscite a trovare un’intesa.

La spinta iniziale arrivava da lontano e aveva basi solide: nel 2018 una consultazione pubblica promossa dalla Commissione aveva raccolto 4,6 milioni di risposte, un numero record, con l’84% dei partecipanti favorevoli alla fine del cambio d’ora. L’iniziativa, nata negli anni Settanta in risposta alla crisi energetica, oggi è vista da molti come un retaggio del passato che non produce più benefici tangibili. A ribadirlo con fermezza è stato Apostolos Tzitzikostas, commissario europeo per i Trasporti e il Turismo Sostenibili, durante un intervento al Parlamento di Strasburgo: “Lo spostamento delle lancette non ha più alcun fine. Oggi non porta risparmi energetici e genera solo complicazioni”. Tzitzikostas ha annunciato l’avvio di una nuova analisi tecnica per cercare di superare lo stallo politico, ma le sue parole suonano come un’ammissione di impotenza.

I problemi legati al cambio d’ora non sono solo economici. L’attenzione si è progressivamente spostata sugli effetti sulla salute e sul benessere psicofisico, in particolare per le fasce più vulnerabili della popolazione. Il cosiddetto “mini-jet lag” semestrale impatta sui ritmi circadiani, disturbando il sonno e alterando l’umore. Numerosi studi scientifici hanno sottolineato come il passaggio all’ora legale o solare possa avere conseguenze negative sulla concentrazione, sulla produttività e persino sulla salute cardiovascolare. In alcune nazioni del Sud Europa, dove la luce del giorno è più abbondante, si guarda con favore all’idea di mantenere in modo permanente l’ora legale, ritenuta più coerente con il ritmo naturale delle giornate.

Eppure, il processo decisionale si è inceppato nel passaggio forse più delicato: l’approvazione da parte del Consiglio dell’UE. Per superare questo ostacolo serve una maggioranza qualificata tra gli Stati membri, una soglia che finora non è stata raggiunta. Ogni paese ha interessi, abitudini culturali e considerazioni geografiche differenti. Se i paesi nordici potrebbero preferire l’ora solare per avere più luce al mattino, quelli mediterranei spingono per l’ora legale, che regala serate più lunghe. Questo mosaico di esigenze ha prodotto un impasse difficile da sbloccare.

La recente apertura del governo spagnolo, con il premier Pedro Sanchez che ha definito il cambio d’ora una pratica “francamente insensata”, ha riacceso la discussione, ma non ha ancora portato a un’inversione di rotta. La Commissione continua a esercitare una pressione diplomatica, consapevole però che l’ultima parola spetta agli Stati. Il rischio concreto è che, in assenza di un accordo, il tema rimanga congelato ancora a lungo. E così, nonostante i cittadini europei abbiano espresso con chiarezza il loro orientamento, la loro voce resta inascoltata nelle stanze dei governi.

Finché il Consiglio non troverà una linea comune, l’Europa continuerà a vivere sospesa tra due orologi: quello biologico, sempre più destabilizzato, e quello normativo, bloccato da una politica che non riesce a decidere. L’ora della svolta, per ora, non è ancora arrivata. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!