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HIV, in Italia è boom di casi tra gli eterosessuali: molti già in stato avanzato (AIDS)

Aumentano in Italia le nuove infezioni da HIV, molte scoperte solo in fase avanzata, soprattutto tra gli eterosessuali e i cittadini più anziani. Ritardi nelle diagnosi e scarsa percezione del rischio ostacolano una risposta realmente efficace.

Dopo quasi un decennio di dati in calo o stabili, l’Italia registra nuovamente un aumento delle nuove diagnosi di infezione da HIV. Nel 2023 sono stati segnalati 2.349 nuovi casi, con un’incidenza di 4,0 casi ogni 100.000 residenti. Questo dato si avvicina ai livelli pre-pandemici, quando i numeri avevano raggiunto 2.510 nuovi casi nel 2019, e conferma una tendenza all’incremento rilevata già a partire dal 2021. L’analisi delle fasce di popolazione più colpite rivela che la maggior parte delle nuove infezioni (86,3%) è riconducibile a rapporti sessuali non protetti: nello specifico, il 26,6% dei nuovi contagi riguarda uomini eterosessuali e il 21% donne eterosessuali, mentre la quota degli MSM (uomini che fanno sesso con uomini) si attesta al 38,6%.

Questo andamento si accompagna a una persistente criticità: oltre la metà delle nuove diagnosi si verifica quando il sistema immunitario del paziente è già fortemente compromesso, ovvero in fase avanzata dell’infezione, spesso riconducibile allo stadio dell’AIDS. I dati più recenti riportano che ben il 60% delle nuove diagnosi avviene in modalità tardiva, con valori di linfociti CD4 inferiori a 350 cellule/µL, e oltre il 41% delle persone presenta alla diagnosi una immunodeficienza severa (CD4 < 200/µL) o è già evoluto in AIDS. Questo fenomeno riguarda in modo particolare la popolazione eterosessuale maschile: più di due terzi degli uomini eterosessuali scoprono l’infezione solo in fase avanzata, consolidando così la percezione di una bassa consapevolezza del rischio in questo gruppo sociale, soprattutto tra gli over 50.

Diagnosi tardive e impatto sulla salute pubblica

La diagnosi tardiva di HIV, che consiste nell’individuazione dell’infezione quando il sistema immunitario è già fortemente indebolito o si sono manifestate patologie correlate all’AIDS, rappresenta uno dei principali ostacoli nella lotta all’epidemia. In Italia, la quota di persone che arriva tardi alla diagnosi risulta superiore alla media dell’Europa occidentale (46%), toccando nel 2023 il 60%, con percentuali che, nel dettaglio, raggiungono il 66,8% tra gli uomini eterosessuali e il 63% tra le donne della stessa categoria. Questo ritardo si traduce in un maggiore rischio di mortalità e morbidità per i pazienti, e, parallelamente, favorisce la trasmissibilità inconsapevole dell’infezione, vanificando così parte degli sforzi di prevenzione messi in campo negli ultimi anni.

Sono vari i fattori che impediscono la diagnosi anticipata. Tra questi, emerge una percezione erroneamente bassa del rischio tra la popolazione eterosessuale, soprattutto tra adulti e anziani, che spesso non si sottopongono al test neppure in presenza di sintomi sospetti. Nonostante esistano attualmente terapie antiretrovirali in grado di sopprimere il virus fino a renderlo non rilevabile e, quindi, non trasmissibile, l’accesso a tali trattamenti risulta efficace solo se l’infezione viene individuata precocemente. L’avvio tempestivo della terapia garantisce, infatti, ai pazienti un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale.

Le popolazioni più vulnerabili e i dati territoriali

Un altro dato rilevante riguarda la crescente proporzione di nuovi casi HIV tra cittadini stranieri: nel 2023, questi rappresentano il 36,9% delle nuove diagnosi, con un’incidenza passata da 12 ogni 100.000 nel 2019 a 15 ogni 100.000 nel 2023. La concentrazione geografica dei casi evidenzia valori superiori alla media nelle regioni Lazio, Emilia-Romagna e Umbria, mentre le città di Roma, Milano e Bologna si confermano come aree a maggiore incidenza dell’infezione.

La risposta di sistema: prevenzione, test e nuove strategie

Lo scenario italiano mostra luci e ombre: da un lato l’introduzione della PrEP (profilassi pre-esposizione) ha visto in due anni un incremento degli utenti del 43%, salendo a 16.220 nel 2024, e si è registrata una maggiore presa in carico delle persone con nuova diagnosi, sempre più rapida e tempestiva. Tuttavia, le differenze territoriali nell’accesso ai servizi di prevenzione e l’insufficiente proposta del test HIV nella medicina di base continuano a rappresentare ostacoli significativi. Più di un terzo dei nuovi diagnosi viene rilevato a seguito di sintomi riconducibili all’infezione, segno che il test non è ancora percepito come uno strumento di routine preventiva nella popolazione generale.

L’urgenza di una svolta culturale

L’aumento delle diagnosi tardive, soprattutto nella popolazione eterosessuale e nei grandi adulti, richiede una rinnovata strategia comunicativa e di offerta di screening, con l’obiettivo di abbattere lo stigma ancora fortemente presente attorno all’infezione. Le campagne di informazione dovrebbero insistere sull’importanza di un accesso facilitato e regolare al test HIV, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dallo stile di vita o dall’età, rendendo il controllo parte integrante della routine sanitaria adulta. Solo così sarà possibile contrastare efficacemente la diffusione del virus e ottenere una riduzione concreta delle diagnosi in fase avanzata.

Conclusioni

Se la battaglia contro l’HIV in Italia si è trasformata, negli ultimi dieci anni, in una lotta di resistenza contro le diagnosi tardive e il riaffacciarsi di vecchi pregiudizi, oggi più che mai servono strumenti innovativi, una maggiore responsabilizzazione del territorio e investimenti in campagne mirate. Affinché l’incremento delle diagnosi non si traduca in un aumento della gravità clinica dei pazienti è necessario implementare una strategia nazionale che promuova il test HIV in tutte le fasce di popolazione, con particolare attenzione agli eterosessuali, agli anziani e alle persone di origine straniera. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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