Renato Pozzetto spegne oggi 85 candeline, traguardo raggiunto in una giornata che coincide con la data della sua nascita: il 14 luglio 1940 a Milano. L’attore, comico e regista lombardo festeggia questo importante anniversario con una carriera che attraversa oltre mezzo secolo di spettacolo italiano, dalle origini nel cabaret milanese fino ai successi cinematografici che lo hanno reso un’icona della commedia all’italiana.
La vita di Pozzetto affonda le radici in un’infanzia segnata dalle difficoltà della guerra e dalla povertà. Nato da Armando Pozzetto e Clementina Prospero, terzo di quattro figli, l’attore ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze del conflitto mondiale quando nel 1942 la famiglia fu costretta a sfollare a Gemonio, nel Varesotto, dopo che una bomba colpì in pieno il palazzo dove abitavano a Milano. L’esperienza traumatica segnò profondamente il giovane Renato, che ha raccontato di aver «sofferto la fame» durante quegli anni difficili.
«Sono figlio della guerra – ha dichiarato Pozzetto in una delle sue interviste più toccanti – La casa dei miei genitori venne bombardata nel ’42 e scappammo a Gemonio, nel Varesotto. Tornammo a Milano dopo sei anni, ricordo le nostre valigie di cartone. Andammo ad abitare vicino piazzale Corvetto, al pian terreno, in un alloggio popolare, quelle che allora venivano chiamate ‘case minime’. Eravamo poveri, non avevo i soldi neppure per un biglietto del tram».
Fu proprio durante il periodo dello sfollamento a Gemonio che il destino mise sulla strada di Renato quello che sarebbe diventato il suo compagno di avventure artistiche più importante: Aurelio Ponzoni, noto come Cochi. I due bambini, entrambi rifugiati con le rispettive famiglie nello stesso paese, iniziarono un’amicizia che nel 1964 si trasformò nel celebre duo comico Cochi e Renato, destinato a rivoluzionare la comicità italiana.
Il sodalizio artistico nacque ufficialmente quando i due si esibirono per la prima volta all’Osteria dell’Oca di Milano, per poi approdare al Derby, il locale che divenne la vera fucina del cabaret lombardo. Insieme ad artisti come Enzo Jannacci, Felice Andreasi, Bruno Lauzi e Lino Toffolo, formarono «Il Gruppo Motore», gruppo che segnò un’epoca nella storia dello spettacolo italiano.
La popolarità del duo crebbe rapidamente, portandoli davanti alle telecamere della Rai con trasmissioni che li videro protagonisti e conduttori: «Quelli della domenica» nel 1968, «Il buono e il cattivo» nel 1972, «Il poeta e il contadino» nel 1973, fino a «Canzonissima» nel 1974. Nello stesso periodo, la collaborazione con Enzo Jannacci diede vita a brani che sono entrati nella storia della canzone italiana, tra cui «La gallina», «Canzone intelligente» e soprattutto «E la vita, la vita».
A partire dalla metà degli anni Settanta, Pozzetto intraprese la carriera da solista, debuttando nel cinema con «Per amare Ofelia» nel 1974, film che gli valse il Nastro d’argento come miglior attore esordiente. La sua recitazione, caratterizzata da una mimica unica e da un umorismo surreale, conquistò il pubblico e lo consacrò come uno dei protagonisti più amati della commedia italiana.
Tra i suoi film più celebri si ricordano «Il ragazzo di campagna» del 1984, diventato un vero e proprio cult che ancora oggi attira visitatori a Cascina Casoni nel pavese, location simbolo del film. Ma è impossibile parlare di Pozzetto senza menzionare il suo celebre «Taac», espressione diventata patrimonio linguistico collettivo degli italiani.
L’origine di questo tormentone affonda le radici nella vita reale dell’attore: «Il mio Taac nasce al bar – ha raccontato Pozzetto – un cliente parlava e ci puntava il dito in gola, in faccia. Ne ho fatto un ‘taac’ e l’ho usato diversamente, per dire: fatto!». Più precisamente, l’ispirazione arrivò da un frequentatore del Bar Gattullo e del Derby di Milano, «un ragazzo simpaticissimo che era un grosso scommettitore di cavalli: quando vinceva o le cose andavano per il verso giusto, lui diceva ‘taac’».
Negli anni Ottanta Pozzetto raggiunse il picco della sua carriera cinematografica, interpretando numerosi film e dirigendone cinque. Lavorò accanto ai più grandi nomi del cinema italiano, tra cui Adriano Celentano, Ornella Muti, Massimo Boldi, Carlo Verdone, Diego Abatantuono e Paolo Villaggio. Film come «La patata bollente», «Da grande», «Nessuno è perfetto» e «Le comiche» lo hanno consacrato definitivamente nell’olimpo della commedia italiana.
Parallelamente alla carriera artistica, Pozzetto ha coltivato insieme al fratello Achille un progetto imprenditoriale legato alle sue radici territoriali. Nel 1972 i due fratelli acquistarono un’antica cascina andata all’asta a Laveno Mombello, affacciata sul Lago Maggiore, trasformandola nella Locanda Pozzetto. «Era una cascina andata all’asta – ha raccontato l’attore – con mio fratello ce ne siamo innamorati, adesso ho preso uno chef bravo, mi piacerebbe portarci i turisti e non solo i milanesi con la casa del weekend».
La vita privata di Pozzetto è stata caratterizzata da un amore lungo una vita intera per Brunella Gubler, conosciuta quando entrambi avevano solo 16 anni sulle rive del Lago Maggiore. Sposatisi nel 1967, i due sono rimasti uniti fino alla morte di lei, avvenuta il 21 dicembre 2009. Dal loro matrimonio sono nati due figli, Giacomo e Francesca, che hanno dato all’attore cinque nipoti.
«È stata la persona della quale mi sono innamorato ed è stato un amore lungo una intera vita – ha dichiarato Pozzetto ricordando la moglie – Ha allevato i nostri figli, Giacomo e Francesca, sacrificandosi, dedicando pazienza e speranza anche a me. Penso a lei in continuazione. E talvolta penso che avrei potuto fare meglio, darle di più». La perdita della compagna di una vita ha rappresentato uno dei momenti più difficili per l’attore: «Quando è mancata mia moglie ho avuto un momento di crisi».
Brunella Gubler, di origine svizzera del Canton Ticino, è sempre rimasta lontana dai riflettori, preferendo una vita riservata a Milano piuttosto che seguire il marito nel mondo dello spettacolo. Non è mai stata vista sui set cinematografici e solo raramente accompagnava Renato alle occasioni pubbliche. La donna soffriva di depressione ed era una fumatrice accanita, circostanza che spinse Pozzetto a diventare testimonial di campagne contro il fumo.
Negli ultimi anni della sua carriera, Pozzetto ha continuato a lavorare con passione, alternando teatro, televisione e cinema. Nel 2021, all’età di 81 anni, ha interpretato Giuseppe Sgarbi nel film «Lei mi parla ancora» di Pupi Avati, ricevendo una candidatura al David di Donatello come miglior attore protagonista. Il film, tratto dal romanzo autobiografico di Giuseppe Sgarbi, ha rappresentato per Pozzetto il primo ruolo drammatico dopo settant’anni di carriera prevalentemente comica.
Dal 2000 è tornato sporadicamente a esibirsi in coppia con Cochi Ponzoni in vari spettacoli teatrali e televisivi, dimostrando che il loro sodalizio artistico mantiene intatta la sua magia anche a distanza di decenni. Nel 2019 ha partecipato alla serata finale del Festival di Sanremo con il gruppo Lo Stato Sociale, cantando a cappella «E la vita, la vita» appena fuori dall’Ariston.
Renato Pozzetto oggi rappresenta una delle ultime testimonianze viventi della grande stagione del cabaret italiano, un artista che ha saputo attraversare le epoche mantenendo intatta la sua capacità di far ridere e riflettere. La sua comicità, caratterizzata da una vena surreale e da personaggi spesso ingenui e spaesati, ha raccontato l’Italia che cambiava, offrendo uno sguardo disincantato ma mai cinico sulla società contemporanea.
Nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, Pozzetto può guardare con soddisfazione a una carriera che ha segnato la storia dello spettacolo italiano, consapevole di aver regalato momenti di gioia e spensieratezza a milioni di persone. La sua eredità artistica, fatta di tormentoni diventati parte del linguaggio comune, personaggi memorabili e una comicità senza tempo, continua a vivere nel cuore degli italiani che in lui riconoscono uno dei grandi maestri del sorriso. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!