Il bilancio della stagione estivo-autunnale 2025 segna un nuovo, preoccupante traguardo: le vittime del virus West Nile in Italia sono salite a sette, distribuite fra Piemonte, Lazio e Campania, mentre il Centro nazionale sangue ha disposto la sospensione precauzionale o il test NAT obbligatorio sulle donazioni in trentuno province, dal capoluogo emiliano di Bologna fino a Udine, passando per Roma, Napoli e Torino.
L’ultimo aggiornamento giunto dagli ospedali di Latina e di Aversa aggiunge due tasselli drammatici a un mosaico già complesso: un ottantaseienne ricoverato al Santa Maria Goretti del capoluogo pontino, affetto da pluripatologie croniche, e un sessantottenne di Trentola Ducenta deceduto al presidio di Aversa, si uniscono alla lista dei decessi che negli ultimi dieci giorni comprende anche un settantaquattrenne napoletano, un ottantenne casertano, un settantasettenne romano e, andando a ritroso, la prima vittima piemontese registrata in primavera. Nelle ore in cui i reparti infettivologici confermavano i decessi, la Regione Lazio annotava quarantacinque positività dall’inizio dell’anno, la gran parte concentrate in provincia di Latina, seguite da focolai minori nel Casertano.
Sul fronte epidemiologico, l’Istituto Superiore di Sanità, nel secondo bollettino della sorveglianza integrata pubblicato il 24 luglio, ha contato trentadue casi confermati di infezione nell’uomo, ventuno dei quali con sintomatologia neuro-invasiva, un dato superiore a quello registrato nello stesso periodo del 2024, quando non si segnalavano decessi. La diffusione del virus segue un gradiente geografico che dall’alto Lazio si estende verso la Campania e, più a nord, interessa il corridoio padano, dove la sorveglianza veterinaria ha individuato pool di zanzare infette nel Bolognese e nel Ferrarese.
L’agente patogeno, un arbovirus appartenente al genere Flavivirus, viene trasmesso principalmente dalle zanzare Culex pipiens, vettori notturni che pungono dal crepuscolo all’alba e che si infettano nutrendosi di uccelli migratori e stanziali, serbatoi naturali del virus. Nell’ottanta per cento dei casi l’infezione rimane asintomatica, mentre circa uno su cento evolve in forme neurologiche severe come meningite o meningo-encefalite, con un tasso di letalità che aumenta tra anziani e persone con comorbidità.
L’anomala persistenza di temperature elevate e la rarefazione delle precipitazioni, spiegano gli epidemiologi, favoriscono la proliferazione del vettore e anticipano la stagione di circolazione virale. Il professore di Igiene Gianni Rezza ha sottolineato come le dinamiche epidemiche restino difficili da prevedere in assenza di modelli affidabili sui movimenti degli uccelli infetti, mentre al tempo stesso la densità delle popolazioni di Culex rappresenta l’indicatore più immediato da monitorare.
Per scongiurare la trasmissione trasfusionale, il Centro nazionale sangue applica il principio di massima cautela: a Bologna, Caserta, Cremona, Ferrara, Forlì-Cesena, Frosinone, L’Aquila, Latina, Lecce, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Modena, Napoli, Novara, Oristano, Padova, Parma, Pavia, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Roma, Rovigo, Torino, Treviso, Udine, Varese, Venezia e Verona i donatori che abbiano soggiornato anche una sola notte nei comuni interessati vengono sottoposti a test NAT, oppure esclusi per ventotto giorni dalla donazione. Per Stati Uniti e Canada il divieto è attivo tutto l’anno poiché il virus circola endemicamente.
La misura impatta su un sistema trasfusionale che, nel periodo estivo, registra tradizionalmente flessioni nelle scorte ematiche. Le associazioni dei donatori ricordano che i test di screening consentono comunque di mantenere un flusso sicuro di sacche, ma invitano i centri regionali a pianificare scorte aggiuntive per compensare eventuali carenze locali. In regioni a elevata densità ospedaliera, come Lombardia e Lazio, le strutture trasfusionali si affidano a banche dati interregionali per ridistribuire il plasma in caso di necessità.
Parallelamente, le amministrazioni comunali del basso Lazio hanno stanziato fondi straordinari per interventi di disinfestazione larvicida su caditoie e zone umide, mentre la giunta regionale ha messo a disposizione un milione di euro per l’estensione delle campagne di controllo vettoriale nei comprensori agricoli più esposti, a cominciare dall’Agro Pontino. Nei comuni costieri della provincia di Caserta, invece, le autorità sanitarie hanno intensificato le ispezioni negli allevamenti di equidi, considerati sentinelle utili a rilevare precocemente la circolazione virale.
L’architettura della sorveglianza integrata fa capo al Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle arbovirosi 2020-2025, che coordina flussi informativi tra Istituto Superiore di Sanità, Regioni, Istituti zooprofilattici sperimentali e Centro nazionale sangue. Il sistema incrocia i dati su casi umani, positività in zanzare e fauna selvatica, consentendo alle autorità di graduare le misure di risposta: dalle ordinanze di disinfestazione al blocco temporaneo delle donazioni, fino alla raccomandazione di intensificare la comunicazione preventiva nelle aree urbane.
Al di fuori dei confini nazionali, provvedimenti analoghi sono stati attivati in Grecia, nelle unità periferiche dell’Attica occidentale e del Pireo, e in Romania, nel distretto di Sălaj, segno di una circolazione virale che coinvolge l’intero bacino mediterraneo e l’Europa centro-orientale. Il know-how epidemiologico maturato in Italia negli ultimi quindici anni, con l’introduzione precoce dei test NAT, viene ora preso a modello da diversi Stati membri dell’Unione per prevenire la diffusione tramite emocomponenti.
Le autorità sanitarie ribadiscono che, pur in assenza di un vaccino disponibile per l’uomo, la combinazione di sorveglianza entomologica, tempestiva diagnosi di laboratorio e misure di prevenzione trasfusionale rimane lo strumento più efficace per contenere l’impatto del virus, ricordando come l’andamento epidemiologico sia ancora in linea con la media degli anni precedenti e non giustifichi allarmismi generalizzati.
L’estate 2025 conferma tuttavia che la febbre del Nilo Occidentale si è radicata nel nostro Paese, dove fattori climatici e ambientali concorrono a stabilire un equilibrio ecosistemico favorevole al vettore. In questo contesto, la vigilanza permanente, il coordinamento interistituzionale e la consapevolezza della popolazione rappresentano i cardini attraverso cui il Servizio sanitario nazionale prova a limitare i decessi e a garantire la sicurezza del sangue, trasformando una minaccia endemica in un rischio gestibile, seppur da non sottovalutare.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!