L’ex vincitore di Pechino Express e noto influencer Andrea Pinna, al centro di un caso di cronaca che ha suscitato notevole clamore mediatico nelle ultime settimane, ha ripreso ad erogare rimborsi alle sue clienti dopo settimane di silenzio assoluto. La vicenda, portata alla luce dalla giornalista Grazia Sambruna attraverso un’inchiesta pubblicata su MowMag, ha rivelato una presunta truffa ai danni di quarantacinque donne che avevano acquistato prodotti di lusso attraverso canali non ufficiali.
Secondo quanto documentato dall’inchiesta giornalistica, le clienti coinvolte nella vicenda avevano versato complessivamente ventiquattromila ottocentosessanta euro nelle casse dell’ex influencer, somma che secondo le ultime stime si avvicina oramai ai trentamila euro. L’attività commerciale veniva gestita attraverso gruppi privati su piattaforme di messaggistica istantanea, denominati con il significativo appellativo di "Oche Spennate", dove Pinna proponeva borse e accessori di marchi prestigiosi come Chanel, Gucci e Cartier a prezzi considerevolmente ribassati rispetto al listino ufficiale.
La strategia commerciale dell’ex influencer si basava sulla vendita di prodotti spacciati per autentici ma con presunti difetti di fabbricazione, una giustificazione che permetteva di proporre prezzi apparentemente convenienti per accessori di alta gamma. Tuttavia, le testimonianze raccolte hanno rivelato che nella maggior parte dei casi le acquirenti hanno ricevuto merce contraffatta di qualità infima oppure non hanno ricevuto alcun prodotto nonostante i pagamenti effettuati.
Il tempismo dei rimborsi assume particolare rilevanza considerando che l’erogazione è iniziata esattamente dopo la pubblicazione dell’inchiesta giornalistica che ha esposto pubblicamente la vicenda. Come sottolineato dalla stessa Sambruna attraverso i suoi canali social, dallo scorso lunedì sono arrivati i primi "timidi rimborsi" da parte dei presunti collaboratori di Pinna, definendo la coincidenza temporale particolarmente curiosa rispetto alla tempistica dell’esplosione mediatica del caso.
L’operatività commerciale di Pinna si caratterizzava per modalità di pagamento che aggiravano sistematicamente le garanzie offerte dalle piattaforme digitali. L’ex influencer richiedeva infatti transazioni tramite PayPal utilizzando esclusivamente la modalità "amici e parenti" anziché quella commerciale, una pratica che impediva alle clienti di accedere alla protezione acquisti prevista per le transazioni di beni e servizi, rendendo di fatto impossibile ottenere rimborsi automatici dalla piattaforma.
Particolarmente significativo risulta il coinvolgimento di una rete di presunti collaboratori attraverso i quali venivano intestati i pagamenti, evitando che le transazioni fossero direttamente riconducibili a Pinna. Tra questi figura prominentemente un certo Eugenio Piras, nome che curiosamente corrisponde a un personaggio letterario presente in uno dei romanzi scritti dallo stesso ex influencer, circostanza che ha alimentato dubbi sulla reale esistenza di tale collaboratore e sull’effettiva struttura organizzativa dell’attività.
La vicenda ha assunto contorni particolarmente drammatici quando è emerso l’ultimo messaggio vocale inviato da Pinna alle clienti prima della sua completa sparizione dai canali di comunicazione. Nel messaggio, datato diciotto luglio, l’ex influencer si dichiarava completamente nullatenente e privo di qualsiasi bene materiale, suggerendo alle clienti di rivolgersi pure agli avvocati ma avvertendo che eventuali cause legali si sarebbero protratte per anni senza garanzie di recupero del denaro investito.
L’aspetto più inquietante della vicenda riguarda le modalità attraverso cui Pinna ha sfruttato la propria condizione di salute mentale per costruire un rapporto di fiducia ed empatia con le clienti. L’ex influencer, che aveva pubblicamente rivelato di essere affetto da disturbo bipolare attraverso un video diventato virale circa due anni fa, utilizzava sistematicamente questa condizione per giustificare ritardi nelle consegne e problematiche varie, creando un legame emotivo che rendeva più difficile per le clienti esercitare pressioni o richiedere chiarimenti sui propri acquisti.
Secondo le testimonianze raccolte dall’inchiesta giornalistica, molte delle donne coinvolte nella vicenda hanno ammesso di aver evitato di pressare Pinna proprio per compassione verso le sue difficoltà personali, dimostrando come l’ex influencer sia riuscito a trasformare la propria vulnerabilità in uno strumento di manipolazione emotiva particolarmente efficace. Una cinquantenne ha dichiarato con voce rotta dai singhiozzi di aver voluto sostenere Pinna vedendolo come "l’amico che ogni ragazza vorrebbe avere", sentendosi ora "un imbecille" per aver riposto tanta fiducia in una persona che in realtà non conosceva.
Le modalità operative dell’attività commerciale di Pinna presentavano inoltre evidenti irregolarità dal punto di vista fiscale, considerando che i pagamenti venivano effettuati attraverso la modalità "amici e parenti" che non prevede il versamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto. Tale pratica, oltre a eludere gli obblighi tributari, serviva come ulteriore giustificazione per convincere le clienti ad accettare questa modalità di pagamento apparentemente vantaggiosa ma in realtà priva di qualsiasi tutela legale.
La riattivazione dei rimborsi dopo settimane di silenzio assoluto solleva interrogativi sulla reale disponibilità economica dell’ex influencer, che si era dichiarato completamente privo di risorse finanziarie nel suo ultimo messaggio alle clienti. L’improvvisa capacità di erogare rimborsi immediatamente dopo l’esplosione mediatica del caso suggerisce che la pressione pubblica abbia rappresentato il fattore determinante per sbloccare una situazione che sembrava irrisolvibile attraverso i canali privati di comunicazione diretta con le vittime.
Secondo gli aggiornamenti forniti dalla giornalista Sambruna, i rimborsi starebbero arrivando attraverso i presunti collaboratori di Pinna, che hanno ripreso a comunicare con le clienti dopo un lungo periodo di silenzio, fornendo persino numeri di tracking per le spedizioni avviate. Tuttavia, dopo tre giorni dalla comunicazione di tali codici di tracciamento, nessuna cliente risultava aver effettivamente ricevuto rimborsi concreti, nonostante i colli risultassero arrivati in Italia e più precisamente in Sardegna, dove si fermavano inspiegabilmente.
La vicenda di Andrea Pinna rappresenta un caso emblematico dei rischi connessi all’economia digitale e al commercio attraverso canali social non ufficiali, evidenziando come la notorietà acquisita attraverso i social media possa essere facilmente strumentalizata per attività commerciali di dubbia legalità. Il caso solleva inoltre questioni fondamentali sulla responsabilità degli influencer nell’utilizzo della propria visibilità pubblica e sulla necessità di maggiori controlli sulle transazioni che avvengono attraverso piattaforme di messaggistica privata.
Le autorità competenti dovranno ora valutare se sussistano gli estremi per configurare i reati di truffa aggravata, appropriazione indebita e possibile riciclaggio, considerando che i pagamenti venivano effettuati su conti non intestati direttamente all’accusato e potenzialmente non dichiarati al fisco. La sparizione di Pinna dai canali di comunicazione dopo l’otto luglio, documentata attraverso testimonianze dell’ultima consegna effettuata in presenza, potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di aggravamento della sua posizione legale.
Il ritorno all’operatività attraverso l’erogazione di rimborsi, seppur tardivo e parziale, potrebbe configurarsi come un tentativo di contenere i danni reputazionali e legali derivanti dall’esplosione mediatica del caso. Tuttavia, la credibilità di tale iniziativa risulta compromessa dal tempismo sospetto e dalla precedente condotta dell’ex influencer, che aveva esplicitamente dichiarato la propria incapacità economica di far fronte agli impegni assunti con le clienti prima di rendersi completamente irreperibile per settimane.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!