Milano si sveglia senza uno dei suoi simboli più iconici della nightlife alternativa: il Plastic, storico locale notturno che per oltre quattro decenni ha rappresentato il cuore pulsante della club culture milanese, ha ufficialmente chiuso i battenti. L’annuncio della chiusura definitiva è arrivato attraverso i canali social del club nelle prime ore del 4 settembre, ponendo fine a una storia che ha attraversato generazioni e trasformato radicalmente la scena notturna della città.
La comunicazione ufficiale, pubblicata con una grafica essenziale su sfondo vinaccia e caratteri bianchi, recita: “Il 28 giugno 2025 è stata l’ultima serata del Plastic. Dal 1980 il suo orgoglio è quello di aver accolto tra le sue mura persone e storie straordinarie. È solo grazie a tutti voi che il Plastic ha fluttuato leggero e tentacolare nelle notti di Milano per oltre quattro decenni. Grazie per aver partecipato a una festa che per noi è stata unica e sorprendente. Che la festa continui!”. Una dichiarazione che riassume con elegante semplicità la filosofia di un luogo che ha saputo reinventarsi continuamente senza mai perdere la propria identità anticonformista.
La storia del Plastic inizia il 23 dicembre 1980, quando Lucio Nisi, originario di Villa Castelli in provincia di Brindisi, insieme al direttore artistico e dj Nicola Guiducci, inaugura quello che sarebbe diventato il tempio dell’underground milanese. La data di apertura, scelta provocatoriamente alla vigilia di Natale, già manifestava la volontà di sovvertire le convenzioni e di proporre un modello di intrattenimento radicalmente diverso rispetto agli standard dell’epoca. Il primo flyer del locale raccomandava “l’abito scuro, il trucco pesante, lo sfarzo soprattutto lo sfarzo”, stabilendo fin da subito un codice estetico che avrebbe caratterizzato l’intero percorso del club.
La sede originaria di viale Umbria 120, ricavata in un vecchio stabile di ringhiera, divenne rapidamente un punto di riferimento internazionale per artisti, musicisti, stilisti e creativi di ogni genere. Il Plastic importava direttamente da New York e Londra le tendenze più innovative della scena alternativa, trasformandosi in un crocevia culturale dove si incontravano personalità del calibro di Andy Warhol, Keith Haring, Madonna, Freddie Mercury, Prince, Bruce Springsteen, Elton John e Grace Jones. La leggenda vuole che Grace Jones prendesse l’aereo appositamente per trascorrere una serata al Plastic, mentre Freddie Mercury era solito intrattenersi per ore al flipper posizionato strategicamente tra i bagni maschili e femminili.
Il successo del locale si basava su una formula apparentemente semplice ma rivoluzionaria: la rigida selezione all’ingresso, mutuata dai club newyorkesi, che non teneva conto del portafoglio o dello status sociale, ma esclusivamente dello “spirito giusto” dei frequentatori. Questa politica di accesso creava lunghe code notturne che si formavano indipendentemente dalle condizioni atmosferiche, trasformando l’attesa stessa in un rito collettivo che alimentava il mito del locale. La pista da ballo del Plastic non era semplicemente uno spazio per il divertimento, ma un vero e proprio laboratorio di sperimentazione culturale dove si fondevano musica, arte, moda e performance.
Negli anni Ottanta e Novanta il club consolidò la propria reputazione ospitando le serate più innovative della scena milanese, con eventi iconici come il venerdì “London Loves” e il celeberrimo sabato “House Of Bordello”. Il locale divenne un punto di osservazione privilegiato per intercettare e lanciare nuove tendenze, anticipando mode e suoni che successivamente avrebbero influenzato il mainstream. Stilisti del calibro di Elio Fiorucci, Stefano Gabbana e Oliviero Toscani trovavano al Plastic l’ispirazione per le loro creazioni, mentre generazioni di dj internazionali consideravano il passaggio dietro le consolle del club come un vero e proprio battesimo professionale.
Il riconoscimento istituzionale della rilevanza culturale del Plastic arrivò nel 2009 con l’assegnazione dell’Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza cittadina milanese. Questo riconoscimento ufficializzava il contributo del locale alla crescita internazionale di Milano, certificando come il Plastic avesse effettivamente “portato nuovi stili e attratto artisti internazionali”, secondo le parole pronunciate in quell’occasione dal sindaco. La storia del club venne celebrata anche nel 2014 attraverso il documentario “This is Plastic”, diretto da Patrizio Saccò, che raccontava i primi trentadue anni di attività e documentava il passaggio alla nuova sede.
Il 2012 segnò infatti un momento di svolta nella storia del locale con il trasferimento dalla storica sede di viale Umbria a via Gargano 15, nei pressi di viale Ortles, dove il club assunse il nuovo nome di “Plastic Palace”. Questo spostamento, pur mantenendo intatta la programmazione artistica e la filosofia del locale, rappresentò per molti osservatori l’inizio di una graduale perdita di identità, o quantomeno una disconnessione con la nuova anima della città in continua trasformazione. La nuova ubicazione, seppur più moderna e funzionale, non riuscì mai completamente a replicare l’atmosfera magica e irripetibile della sede originaria.
Un colpo devastante alla famiglia del Plastic arrivò nel novembre 2019 con la scomparsa di Lucio Nisi, il fondatore e anima del locale, morto a 71 anni dopo alcuni mesi di malattia. Nisi, che prima di dedicarsi alla gestione del club aveva condotto un negozio di frutta e verdura nella zona di San Siro, lasciava dietro di sé un’eredità culturale inestimabile e la moglie Silvana insieme ai figli Francesco e Tommaso. La sua morte venne salutata con commozione dall’intera città, con il sindaco Beppe Sala che dichiarò: “La nostra città lo ricorderà con gratitudine”.
La chiusura del Plastic si inserisce in un momento particolarmente delicato per gli spazi alternativi milanesi, arrivando a pochi giorni di distanza dallo sgombero del Centro Sociale Leoncavallo, avvenuto il 21 agosto 2025 dopo oltre trent’anni di occupazione in via Watteau. Questa coincidenza temporale alimenta le riflessioni su una Milano che sembra sempre più orientata verso una nightlife omologata e commerciale, a scapito degli storici spazi underground che hanno contribuito a definire l’identità culturale della città. La trasformazione urbana in corso, caratterizzata da gentrificazione e speculazione edilizia, rende sempre più difficile la sopravvivenza di luoghi che non rispondono esclusivamente a logiche di profitto.
I messaggi di cordoglio e nostalgia che hanno invaso i social network nelle ore successive all’annuncio testimoniano l’impatto emotivo della chiusura su intere generazioni di milanesi. Commenti come “Per 40 anni le mie notti più vere” e “Non ci posso credere” esprimono non solo il dispiacere per la perdita di un luogo di divertimento, ma la consapevolezza di assistere alla fine di un certo modo di vivere la notte: meno patinato ma più autentico e creativo. Il Plastic rappresentava infatti uno spazio di libertà espressiva e apertura mentale che difficilmente potrà essere replicato in contesti diversi.
La storia del club milanese si intrecciava profondamente con l’evoluzione della comunità LGBTQIA+ cittadina, offrendo fin dagli esordi un ambiente sicuro e inclusivo dove l’identità e l’espressione personale venivano celebrate piuttosto che celate. Questa dimensione sociale del Plastic ne aveva fatto un punto di riferimento non solo per il divertimento, ma anche per la costruzione di reti di solidarietà e supporto reciproco all’interno di una comunità spesso marginalizzata dalla società mainstream. La chiusura del locale priva quindi Milano di uno spazio che andava ben oltre la semplice dimensione dell’intrattenimento notturno.
Per la cultura del clubbing milanese, l’uscita di scena del Plastic rappresenta più che la fine di un locale: costituisce la conclusione di un capitolo fondamentale della storia cittadina. Il club aveva infatti anticipato e influenzato mode, tendenze e suoni per oltre quattro decenni, fungendo da ponte culturale tra Milano e le capitali europee della notte come Berlino e Londra. Resta ora da capire chi potrà raccogliere l’eredità di un luogo che ha fatto scuola a livello internazionale, dimostrando che è possibile coniugare successo commerciale e sperimentazione artistica senza compromessi sulla qualità e sull’autenticità dell’offerta culturale.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!