Nel panorama normativo globale della regolamentazione alimentare emerge un modello che sta destando crescente interesse da parte degli esperti del settore: quello giapponese, dove l’etichettatura dei prodotti alimentari è disciplinata da un sistema di leggi che pone al centro la veracità assoluta delle immagini e delle informazioni riportate sulle confezioni. Un approccio che contrasta nettamente con le prassi commerciali diffuse in Occidente e che potrebbe rappresentare un riferimento per una futura evoluzione della normativa europea.
La regolamentazione nipponica si basa principalmente su due pilastri normativi fondamentali: la Food Labeling Act (Shokuhin Hyōji Hō) del 2015, che ha unificato precedenti standard separati, e la Act against Unjustifiable Premiums and Misleading Representations (AUPMR), conosciuta anche come Premiums and Representations Act. Quest’ultima vieta specificamente qualsiasi etichettatura o pubblicità che possa indurre in errore un consumatore ordinario riguardo qualità, sicurezza o vantaggi del prodotto, includendo espressamente non solo le parole ma anche le immagini e le impressioni generali.
Il sistema giapponese richiede che ogni elemento visivo presente sulle confezioni alimentari corrisponda scrupolosamente alla realtà del contenuto. Se una confezione di biscotti mostra abbondanti noci e frutta in quantità superiore a quella effettivamente presente, i regolatori possono trattare l’immagine come una falsa rappresentazione del prodotto. La normativa considera le fotografie degli imballaggi non come decorazione, ma come dichiarazioni fattuali sui prodotti, stabilendo che le immagini non possano essere utilizzate come mera fantasia di marketing.
Particolarmente rigorosa è la disciplina relativa alle bevande: per i succhi di frutta con contenuto del cento per cento è consentita la raffigurazione di frutti reali, inclusi pezzi tagliati, mentre per quelli al novantanove per cento sono permesse solo immagini di frutti interi senza tagli visibili. I prodotti contenenti soltanto il cinque per cento di succo devono affidarsi esclusivamente a cartoni animati o illustrazioni piuttosto che raffigurazioni realistiche di frutta. Questa gradazione di rappresentazione visiva in base al contenuto effettivo del prodotto rappresenta un unicum nel panorama normativo internazionale.
La severità del sistema giapponese si estende anche alle diciture testuali: il termine “senza additivi” (無添加) può essere utilizzato solo quando effettivamente giustificato e non quando potrebbero indurre i consumatori a credere che il prodotto sia più sicuro o di qualità superiore senza fondamento. L’Agenzia per gli Affari dei Consumatori ha emanato linee guida dettagliate che mettono in guardia contro dieci categorie di espressioni problematiche relative agli additivi. Analogamente, prodotti a base vegetale etichettati semplicemente come “hamburger” rischiano di implicare un contenuto di soia al cento per cento, mentre una crema spalmabile vegetale etichettata come “burro” senza chiarire l’assenza di latticini è inaccettabile.
Il contrasto con il panorama europeo emerge chiaramente dall’analisi della normativa comunitaria. Il Regolamento UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori stabilisce che l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono essere fuorvianti, ma la disciplina europea si concentra principalmente su aspetti nutrizionali, allergeni e tracciabilità, senza fornire criteri specifici e dettagliati per la rappresentazione visiva dei prodotti come fa invece la normativa giapponese.
Secondo quanto emerso da un recente rapporto speciale della Corte dei Conti Europea, il sistema di etichettatura alimentare dell’Unione presenta “lacune significative” nel quadro giuridico e debolezze nei sistemi di monitoraggio, controllo e sanzioni. Il documento evidenzia come i consumatori europei si trovino spesso di fronte a etichette alimentari confuse o fuorvianti, con particolare riferimento alla proliferazione di schemi volontari e dichiarazioni che confondono anziché informare. Sette degli undici aggiornamenti normativi pianificati non sono stati completati, alcuni dei quali introdotti già nel 2009, mentre ritardi nell’aggiornamento del quadro giuridico ostacolano la capacità dei consumatori di compiere scelte informate.
La normativa europea consente ancora oggi una certa libertà interpretativa nell’uso di immagini e diciture che in Giappone sarebbero considerate ingannevoli. Prodotti che utilizzano immagini di natura per suggerire caratteristiche “naturali” senza fondamento, o che mostrano ingredienti in quantità superiori a quelle effettive, possono circolare nel mercato europeo senza incorrere necessariamente in violazioni normative, purché rispettino i requisiti minimi di trasparenza informativa.
Il sistema sanzionatorio giapponese prevede un approccio particolarmente efficace: oltre alle sanzioni pecuniarie, le aziende che violano le norme possono subire la pubblicazione delle infrazioni sul sito dell’Agenzia per gli Affari dei Consumatori, causando non solo danni finanziari ma anche un potenziale deterioramento dell’immagine aziendale. Dal 2016 è stato introdotto un sistema di sanzioni pecuniarie specifico per prevenire l’attrazione ingannevole dei clienti attraverso pubblicità fuorvianti, con l’obiettivo di promuovere il recupero dei danni attraverso misure come la riduzione dell’importo della sanzione in caso di rimborso ai consumatori.
La cultura aziendale giapponese ha sviluppato un approccio dove l’etichettatura alimentare non rappresenta semplicemente spazio pubblicitario, ma costituisce un patto di fiducia pubblico. Quando un’azienda dichiara cosa contiene una scatola, una bottiglia o una confezione, quella dichiarazione deve essere vera nella lettera e nello spirito. Immagini, formulazioni e persino i simboli utilizzati per il riciclaggio sono soggetti alla stessa disciplina, con l’obiettivo di garantire che i consumatori non siano mai ingannati e che le imprese competano sulla sostanza piuttosto che su stratagemmi di marketing.
L’esperienza giapponese dimostra come sia possibile costruire un sistema normativo che privilegi la trasparenza assoluta senza compromettere l’innovazione commerciale o la competitività delle imprese. Il modello nipponico potrebbe rappresentare un punto di riferimento per una futura evoluzione della normativa europea, particolarmente in un contesto dove la fiducia dei consumatori nei confronti dell’industria alimentare risulta sempre più cruciale per lo sviluppo sostenibile del settore.
L’adozione di principi simili a quelli giapponesi nell’Unione Europea richiederebbe certamente un processo di armonizzazione complesso, considerando le diverse tradizioni commerciali e normative dei Stati membri. Tuttavia, la crescente sensibilità dei consumatori europei verso la trasparenza alimentare e la necessità di contrastare pratiche commerciali scorrette potrebbero creare le condizioni per un’evoluzione normativa che punti a una maggiore corrispondenza tra rappresentazione e realtà dei prodotti alimentari, seguendo l’esempio di rigore e precisione che caratterizza il sistema giapponese.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!