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Gruppo Facebook “Mia moglie”, era gestito da una donna

La procura di Roma identifica gli amministratori del gruppo Facebook “Mia Moglie”: una donna e un cogestore uomo coordinarono per anni la condivisione illecita di foto intime di migliaia di donne inconsapevoli.

La procura di Roma ha identificato i gestori del gruppo Facebook “Mia Moglie”, piattaforma che per anni ha ospitato la condivisione illecita di fotografie intime di migliaia di donne inconsapevoli. L’elemento che ha sorpreso gli investigatori è emerso nelle ultime ore: tra gli amministratori che coordinavano l’attività del gruppo vi sarebbe una donna, affiancata da un cogestore di sesso maschile. Entrambi sono ora al centro dell’indagine per diffusione illecita di foto e video sessualmente espliciti, reato previsto dall’articolo 612 ter del codice penale e comunemente definito revenge porn.

Secondo quanto riportato dal quotidiano Repubblica, la polizia postale ha scoperto che i due amministratori avrebbero utilizzato dispositivi mobili intestati a terze persone, acquistati con sim card anonime, nel tentativo di rendere più difficoltosa la loro identificazione. Questa tecnica di occultamento testimonia la consapevolezza della natura illecita delle attività svolte e la volontà di sottrarsi all’azione della giustizia.

Il gruppo Facebook “Mia Moglie” era stato creato nel 2019 ma era rimasto sostanzialmente inattivo fino al maggio 2025, quando ha iniziato a popolarsi rapidamente di contenuti. Al momento della chiusura, avvenuta il venti agosto 2025, contava oltre trentaduemila iscritti, in larghissima maggioranza uomini. All’interno venivano pubblicate fotografie di donne ritratte in momenti di vita quotidiana, in costume da bagno, in cucina, sul divano di casa, spesso scattate di nascosto dai mariti, compagni o conoscenti. Le immagini venivano accompagnate da commenti sessualmente espliciti e degradanti, trasformando le ignare protagoniste in oggetto di valutazione e fantasia collettiva.

Le condotte emerse configurano molteplici fattispecie di reato. L’articolo 612 ter del codice penale, introdotto con la legge sessantanove del 2019 nota come “Codice Rosso”, punisce la diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da cinquemila a quindicimila euro. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha precisato che per configurare il reato non è necessario che le immagini ritraggano atti sessuali o organi genitali, essendo sufficiente che raffigurino altre parti erogene del corpo umano in condizioni e contesti tali da evocarne la sessualità.

Oltre al revenge porn, gli iscritti al gruppo potrebbero rispondere di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595 del codice penale. La Corte di Cassazione ha consolidato un indirizzo secondo cui le condotte lesive della reputazione altrui realizzate attraverso un post recante espressioni offensive e pubblicato su piattaforme di interazione sociale integrano la fattispecie di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità, con pena fino a tre anni di reclusione. Il reato si configura anche quando l’autore del post offensivo non faccia nomi, purché il soggetto passivo sia individuabile, anche solo all’interno di una cerchia ristretta di persone. Nel contesto del gruppo “Mia Moglie”, molte fotografie erano accompagnate da elementi identificativi sufficienti per riconoscere le donne ritratte. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!