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Licenziamenti alla Pam, Cos’è il test del finto cliente

Tre dipendenti della catena Pam licenziati dopo aver fallito il test del finto cliente. Gli ispettori occultano merce nei carrelli per verificare l’attentività dei cassieri. Sindacati denunciano la pratica come vessatoria e discriminatoria nei confronti di lavoratori anziani e rappresentanti sindacali.

La pratica del cosiddetto “test del finto cliente” ha nuovamente scatenato polemiche nel settore della grande distribuzione italiana, trasformando un controllo di routine in uno strumento controverso di valutazione dei dipendenti. Tre lavoratori della catena Pam, collocati nei punti vendita di Siena e Livorno, sono stati licenziati dopo aver fallito questa prova, scatenando una reazione veemente dei sindacati che la denunciano come pratica vassatoria e discriminatoria nei confronti dei dipendenti con maggiore anzianità e rappresentanti sindacali.

Il meccanismo del test, noto internamente come “test del carrello”, consiste nell’invio di ispettori aziendali che si fingono normali clienti per infiltrarsi all’interno dei supermercati e simulare furti nascosti nei carrelli della spesa. Gli incaricati dell’azienda riempiono i carrelli con articoli regolari e, successivamente, occultano piccoli prodotti all’interno di confezioni chiuse, per esempio cosmetici inseriti in cartoni di birra o bottiglie. L’obiettivo dichiarato è verificare l’attentività dei cassieri nel rilevare le discrepanze tra la merce visibile e quella effettivamente acquistata prima del pagamento. Nel caso in cui il cassiere non rilevi l’inganno, scatta la contestazione disciplinare, che nei tre casi di Pam ha portato direttamente al licenziamento per giusta causa.

I tre licenziamenti in Toscana si sono verificati in tempi recenti lungo due province diverse della regione. Il primo caso ha interessato un cassiere 62enne di Poggibonsi, delegato sindacale, presso il punto vendita Pam di Porta Siena, il quale non avrebbe identificato cosmetici nascosti nel carrello durante il test. Notoriamente, lo stesso lavoratore aveva superato una prova analoga poche settimane prima senza difficoltà alcuna. I successivi due episodi riguardano due dipendenti della catena livornese: Tommaso, con trent’anni di esperienza presso il negozio del quartiere Corea, e Davide, con vent’anni di anzianità nel punto vendita di via Roma. Secondo quanto riferito dai sindacati, gli ispettori non avrebbero limitato le loro azioni al semplice occultamento dei prodotti, ma avrebbero attuato vere e proprie provocazioni alla cassa, esercitato pressioni psicologiche e creato situazioni studiate deliberatamente per indurre i lavoratori all’errore.

Le reazioni sindacali sono state immediate e fortemente critiche. La Filcams Cgil Toscana, attraverso il segretario generale Stefano Nicoli, ha definito il test un “atto vassatorio” di controllo dei dipendenti, una vera e propria provocazione che travalica le mansioni effettivamente assegnate ai cassieri. Massimiliano Fabozzi, segretario della Filcams Cgil di Siena, ha sottolineato come i lavoratori della cassa non siano agenti di sicurezza o vigilanza, e non possono essere responsabilizzati per atti di sottrazione compiuti da clienti in incognito. Allo stesso modo, la UilTucs Toscana di Livorno ha denunciato con fermezza quello che definisce un episodio di ingiustizia perpetrato da Pam Panorama, sottolineando come la catena, pur disponendo di un fatturato superiore ai tre miliardi di euro, continui a ricorrere a metodi considerati iniqui nei confronti dei propri dipendenti. La centrale sindacale ha inoltre segnalato come il metodo sia parte di una strategia sistematica volta a liberarsi dei lavoratori storici, considerati più costosi dall’azienda per il loro avanzato grado di anzianità e tutele contrattuali, sostituendoli progressivamente con personale precario più facilmente ricattabile.

Le origini del mystery client si collocano nel marketing e nella ricerca commerciale, dove da decenni il cliente nascosto, detto comunemente “mystery client” o “mystery shopper”, è utilizzato come strumento legittimo per misurare la qualità complessiva del servizio offerto. Persone incaricate dall’azienda, oppure da agenzie di ricerca specializzate, si presentano come normali clienti e interagiscono con il personale di vendita per valutare aspetti quali la competenza, la cordialità, l’esposizione dei prodotti, l’igiene dei locali e il rispetto generale degli standard aziendali. La metodologia consente di raccogliere dati autentici sulla customer experience senza che i dipendenti siano consapevoli del controllo in corso. Tuttavia, negli ultimi tempi, numerose aziende hanno iniziato a utilizzare questa tecnica non solo per valutare la qualità del servizio, bensì anche per verificare il comportamento dei lavoratori in contesti specifici, introducendo elementi di controllo disciplinare e, come nel caso di Pam, di valutazione della correttezza e dell’attentività nei compiti più delicati.

I dubbi sulla legittimità giuridica emergono dalle considerazioni sollevate da esperti del diritto del lavoro. Sebbene l’utilizzo del cliente misterioso sia generalmente riconosciuto come lecito nel contesto del controllo aziendale, purché non violi la privacy e non si trasformi in mezzo di vessazione, la linea di demarcazione tra controllo legittimo e comportamento illegittimo rimane estremamente sottile. Gli esperti legali sottolineano come sia illegittimo ricorrere a questo strumento con lo scopo di vigilare in modo subdolo e nascosto sull’espletamento della prestazione ordinaria, oppure di cogliere il lavoratore deliberatamente in fallo per giustificare provvedimenti disciplinari. Nel caso specifico di Pam, l’avvocata di uno dei cassieri licenziati ha definito chiaramente il meccanismo come finalizzato a “cogliere in fallo” il lavoratore mediante un metodo ingannevole e deliberatamente sleale, inconciliabile con una condotta corretta dall’azienda. Nel contesto legale italiano, inoltre, l’assenza di una precedente notificazione al dipendente, che peraltro non è stato invitato a conoscere le modalità della prova prima della sua esecuzione, rappresenta un ulteriore elemento critico.

La contestazione di antisindacalità costituisce il nucleo essenziale della denuncia presentata dalle organizzazioni sindacali toscane. Secondo la ricostruzione fornita da Filcams Cgil e UilTucs, i tre licenziamenti non sarebbero casuali, bensì parte di una strategia mirata a colpire specificamente i dipendenti con maggiore anzianità lavorativa, i quali godono di protezioni contrattuali più significative, nonché i rappresentanti sindacali che godono di tutele speciali. La pratica rientra dunque in quella che la giurisprudenza italiana qualifica come condotta antisindacale quando rivolta a discriminare i lavoratori in base alla loro appartenenza a organizzazioni sindacali o alla loro lealtà verso queste ultime. Stefano Nicoli ha ricordato come Pam abbia già tentato in passato di procedere a licenziamenti successivamente ritirati, e come questa nuova pratica rappresenti un ulteriore episodio di quella che definisce come una strategia complessiva di deterioramento delle condizioni di lavoro.

La questione dell’estensione delle responsabilità introduce un elemento centrale nel dibattito circa la legittimità della pratica. I sindacati contestano che la responsabilità di prevenire furti da parte di clienti in negozio non possa ricadere integralmente sulle spalle dei cassieri, i quali operano già in contesti molto stressanti e non dispongono di poteri di perquisizione o controllo fisico sui clienti. Un cassiere è tipicamente responsabile della corretta riscossione dei pagamenti e del controllo dei prodotti esposti alla cassa, non della vigilanza complessiva sul negozio né della prevenzione attiva di furti commessi da soggetti terzi. Imputare al cassiere la responsabilità di rilevare ogni occultamento di merce, indipendentemente dalle modalità con cui questo avviene, equivalerebbe a trasformare il ruolo di cassiere in quello di addetto alla sicurezza, non contemplato nel contratto collettivo di categoria. Inoltre, secondo la Filcams Cgil, nel contesto specifico del test Pam gli ispettori non si sarebbero limitati a simulare un comportamento ordinario, bensì avrebbero attuato provocazioni deliberate e pressioni psicologiche, caratterizzando così il controllo come una vera e propria “imboscata” piuttosto che una verifica imparziale delle competenze professionali.

Le dinamiche organizzative all’interno di Pam secondo le denunce sindacali includono dinamiche complessivamente improntate a sfruttamento, paura e silenzio. L’azienda, secondo la UilTucs, avrebbe adottato un metodo sistematico e vessatorio caratterizzato da contestazioni disciplinari superficiali e motivazioni infondate, con l’intento esplicito di indebolire e isolare i lavoratori. La pratica del test del carrello rappresenterebbe un ulteriore tassello in questa strategia complessiva, volta a creare un clima di incertezza e timore tale da indurre i dipendenti, in particolare quelli più anziani e dotati di rappresentanza sindacale, a rassegnare le proprie dimissioni volontarie oppure a tollerare condizioni lavorative sempre più sfavorevoli. L’ex dipendente intervistato da una testata giornalistica ha descritto esplicitamente il clima lavorativo presso uno dei punti vendita Pam come caratterizzato da un diffuso “clima di terrore”, elemento che corrobora le denunce delle organizzazioni sindacali circa la qualità complessiva dell’ambiente lavorativo.

Gli sviluppi successivi e i tavoli di confronto prevedono ulteriori incontri tra la rappresentanza sindacale e l’azienda. I sindacati hanno dichiarato di sperare in una immediata revisione dei provvedimenti disciplinari, con l’auspicio di un ripensamento da parte della direzione aziendale. Nel caso in cui i licenziamenti dovessero essere confermati, le organizzazioni sindacali hanno preannunciato il ricorso alle sedi giudiziarie competenti, anche al fine di sottoporre al vaglio della magistratura del lavoro la legittimità complessiva della pratica e la proporzionalità dei provvedimenti disciplinari adottati. Il caso di Pam, pertanto, costituisce un precedente potenzialmente rilevante per tutto il settore della grande distribuzione organizzata, nella misura in cui potrebbe determinare precedenti interpretativi circa l’ammissibilità dei test del cliente nascosto come base per provvedimenti disciplinari stringenti come il licenziamento. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!