Arshaf Atia, egiziano residente in Italia dal 1997, rompe il silenzio sulla vicenda che ha sconvolto Milano e l’intera opinione pubblica nelle ultime settimane. Suo figlio Ahmed, diciottenne, si trova attualmente detenuto nel carcere di San Vittore con l’accusa di aver partecipato alla brutale aggressione che nella notte del 12 ottobre scorso ha ridotto in fin di vita uno studente della Bocconi di 22 anni nella zona della movida milanese di Corso Como.
Le parole del padre giungono cariche di dolore e incredulità. Ahmed viene descritto come un bravo ragazzo, educato, nato in Egitto ma cresciuto a Monza dall’età di otto anni, attualmente iscritto al quarto anno dell’istituto commerciale Caravaggio, una scuola paritaria. Secondo la ricostruzione paterna, il giovane si sarebbe trovato semplicemente al posto sbagliato nel momento sbagliato con le persone sbagliate. Conosceva infatti soltanto uno dei componenti del gruppo di cinque ragazzi monzesi, due diciottenni e tre diciassettenni, accusati del pestaggio culminato con due coltellate alla schiena che hanno provocato lesioni gravissime alla vittima.
La dinamica dell’aggressione, ricostruita attraverso le immagini delle telecamere di sorveglianza e le intercettazioni ambientali effettuate dalla Polizia di Stato, racconta una violenza inaudita. Lo studente bocconiano si trovava in via Rosales, a pochi passi dalla stazione di Porta Garibaldi, quando ha incrociato il gruppo di giovani. Dopo essere stato deriso e importunato, gli è stata strappata dalle mani una banconota da cinquanta euro. Nel tentativo di riappropriarsi del denaro, ha inseguito gli aggressori innescando una reazione brutale: calci, pugni e infine due coltellate, una al gluteo e l’altra al torace, che hanno provocato la rottura di un’arteria, la perforazione di un polmone e una lesione del midollo spinale.
Il giovane è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Fatebenefratelli in condizioni disperate. Ha subito molteplici trasfusioni di sangue e due interventi chirurgici. I medici hanno riferito che ha perso circa quattro litri di sangue su un totale medio di cinque presenti nel corpo umano. Le conseguenze dell’aggressione sono devastanti: secondo le valutazioni cliniche, il ragazzo resterà paraplegico con danni permanenti agli apparati urologico, intestinale e sessuale. Ancora oggi, a distanza di oltre un mese dall’aggressione, si trova ricoverato in terapia intensiva e secondo il direttore della pediatria dell’ospedale Luca Bernardo con altissima probabilità non sarà possibile il recupero motorio.
Arshaf Atia difende strenuamente il figlio sostenendo che dalle immagini si vedrebbe chiaramente che Ahmed era lontano dalla scena dell’aggressione. Non avrebbe colpito il ragazzo e il suo ruolo di palo, come ipotizzato dagli inquirenti, sarebbe inconsistente: un vero palo si sarebbe voltato a guardare che non arrivasse qualcuno, mentre Ahmed sarebbe rimasto sempre di fronte alla scena. Il padre aggiunge che se quanto accaduto fosse stato organizzato, avrebbe senso parlare di un palo, ma nessuno dei ragazzi conosceva la vittima, rendendo implausibile qualsiasi premeditazione.
La posizione di Ahmed emerge anche dall’interrogatorio di garanzia tenutosi venerdì 21 novembre nel carcere di San Vittore davanti alla giudice per le indagini preliminari Chiara Valori. La sua legale, Elena Patrucchi, ha riferito che il giovane è preoccupatissimo e sconvolto per le condizioni della vittima. Ahmed avrebbe dichiarato di essere assolutamente convinto che si trattasse solo di una zuffa di poco conto e di non essersi reso conto che qualcuno stesse usando un coltello. Avrebbe manifestato l’intenzione di scrivere una lettera alla famiglia della vittima per esprimere il proprio dispiacere.
La difesa ha chiesto alla giudice un’attenuazione della misura cautelare con il trasferimento ai domiciliari, istanza sulla quale la magistrata dovrà pronunciarsi nei prossimi giorni dopo aver acquisito il parere del pubblico ministero Andrea Zanoncelli che coordina le indagini condotte dal Commissariato Garibaldi Venezia.
Il padre ricorda anche un precedente episodio che aveva coinvolto il figlio. Il 4 luglio Ahmed era con un gruppo di ragazzi che avevano alzato un po’ la voce, parlato forte con altri ragazzi, ma nessuno si era fatto male. La polizia era comunque intervenuta facendogli un verbale. Secondo Arshaf Atia, si sarebbe trattato dell’unica segnalazione prima dell’arresto per i fatti di Corso Como.
La versione paterna contrasta parzialmente con quanto emerso dalle indagini. Fonti investigative riferiscono che Ahmed Atia, cresciuto nel quartiere periferico di San Rocco a Monza e figlio di una famiglia egiziana, era già stato segnalato alle forze dell’ordine per possesso di oggetti atti a offendere. Lo scorso luglio sarebbe stato intercettato in centro a Monza mentre girava con un coltello in tasca.
L’altro diciottenne arrestato, Alessandro Chiani, avrebbe invece materialmente sferrato le coltellate. Cresciuto nel quartiere residenziale Triante di Monza, in una famiglia definita perbene, frequentava l’oratorio fino alle scuole medie. Durante l’interrogatorio ha dichiarato di non aver visto più, di non pensare di aver colpito la vittima in quel modo. Ha sostenuto di girare armato di coltello perché in passato sarebbe stato aggredito. Secondo la sua versione, sarebbe intervenuto quando la zuffa era già iniziata e i primi ad agire sarebbero stati i tre minorenni.
Gli elementi raccolti dagli investigatori delineano tuttavia un quadro ben diverso. Le intercettazioni ambientali effettuate nella sala d’attesa del commissariato, dove i cinque ragazzi erano stati convocati per le formalità di identificazione, hanno registrato frasi agghiaccianti. I giovani ridevano, si scambiavano battute sprezzanti, mimavano i colpi inferti. Uno di loro avrebbe commentato: bro, io ho fatto così, mimando le coltellate. Un altro avrebbe detto: voglio vedere il video per vedere se ho picchiato forte. E ancora: magari quel coglioncello è ancora in coma, domani schiatta e ti danno omicidio. Ma speriamo bro, almeno non parla.
Nei giorni successivi all’aggressione, il gruppo aveva proseguito la serata tra i locali della zona come se nulla fosse. Si erano scambiati messaggi con frasi denigratorie verso la vittima. Qualcuno aveva proposto di fare una storia su Instagram. Uno dei diciassettenni aveva persino commentato su TikTok un post della eurodeputata leghista Silvia Sardone che parlava di sei episodi di aggressioni avvenuti in una notte a Milano, scrivendo: il settimo non lo hanno ancora scoperto.
Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite il 18 novembre, oltre un mese dopo i fatti. Le perquisizioni domiciliari hanno consentito di rinvenire e sequestrare diversi indumenti, il coltello e dispositivi telefonici utilizzati durante l’episodio. A casa di Alessandro Chiani è stata trovata la giacca bianca con cinque bottoni e due tasche, scarpe Dior e altri capi corrispondenti alla descrizione fornita da due testimoni presenti sulla scena.
I tre minorenni, tutti diciassettenni nati nel 2008, sono stati associati all’istituto penale minorile Beccaria, mentre i due maggiorenni al carcere di San Vittore. Tutti e cinque sono accusati di tentato omicidio pluriaggravato e rapina pluriaggravata in concorso. Le aggravanti contestate riguardano il fatto di aver agito in cinque contro uno, di aver commesso il fatto per mettere in atto la rapina, il concorso con persone minorenni e l’aver approfittato di condizioni che impedivano la difesa alla vittima, come l’orario notturno e l’assenza di potenziali soccorritori.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, la giudice Chiara Valori ha sottolineato l’evidente condizione di sopraffazione anche dopo i primi colpi inferti, parlando di aggressione feroce, pestaggio brutale con modalità da branco. Per i due maggiorenni, in assenza di riti alternativi, si prospettano condanne fino a ventuno anni di carcere, che potrebbero scendere a circa quattordici anni in caso di rito abbreviato. Per i minorenni le pene sarebbero ovviamente più contenute.
La vicenda ha scosso profondamente l’opinione pubblica, sollevando interrogativi sul fenomeno della violenza giovanile nelle aree urbane del nord Italia. Tutti e cinque i ragazzi provengono da famiglie del ceto medio di Monza, alcuni da contesti benestanti. I genitori sono impiegati, commercianti, professionisti. Nessuno dei giovani aveva particolare interesse per lo studio: pluribocciati, frequentavano istituti privati per il recupero degli anni scolastici.
La madre di Alessandro Chiani, visibilmente provata, ha dichiarato al Tgr Lombardia: siamo sempre stati una famiglia perbene, siamo devastati, abbiamo pregato tanto per quel ragazzo. Ha aggiunto di non sapere che il figlio girasse armato con un coltello. Anche il padre di un altro minorenne, alla vista degli agenti venuti a eseguire l’arresto, avrebbe detto: fate bene a portarvelo via, forse capirà.
Il padre dello studente aggredito ha rilasciato un’intervista al programma Dentro la notizia su Canale 5, affermando che il figlio è vivo per miracolo e denunciando la situazione di insicurezza nel capoluogo lombardo: a Milano non si può più camminare, sembra il Bronx. Le sue parole esprimono lo sconforto e la rabbia di chi ha visto la vita del proprio figlio cambiare per sempre a causa di una violenza gratuita e devastante.
Gli interrogatori dei tre minorenni si terranno prossimamente nel carcere Beccaria davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni. Nel frattempo, la vittima rimane ricoverata in ospedale, affrontando un percorso di riabilitazione che durerà almeno sei mesi ma che secondo i medici con altissima probabilità non consentirà il recupero motorio. Il giovane ha solo alcuni flash di quella notte e ha appreso dell’aggressione subita dal personale sanitario e dalla famiglia.
La vicenda solleva questioni complesse sul disagio giovanile, sull’influenza dei social media nella costruzione di identità basate sulla trasgressione e sulla violenza, sulla carenza di dialogo tra genitori e figli, sul senso di impunità che sembra caratterizzare alcuni gruppi di adolescenti. Educatori e operatori sociali del territorio monzese sottolineano come dopo il lockdown si sia registrata una rivoluzione nel comportamento dei giovani: sempre più annoiati, fanno uso di alcol e droghe in maniera smodata, i social sono la loro vetrina. A casa non parlano più, si fidano più di ChatGpt che degli adulti.
Le istituzioni sono chiamate a fornire risposte concrete attraverso un rafforzamento dei controlli notturni nelle aree sensibili, l’introduzione di percorsi di educazione alla legalità nei programmi scolastici, l’attivazione di sportelli di ascolto psicologico all’interno delle scuole e nei servizi sociali. Solo una strategia integrata che coinvolga scuole, enti locali, associazioni, forze dell’ordine e soprattutto famiglie potrà offrire alternative di aggregazione positiva e prevenire l’escalation della violenza giovanile.
Per ora, mentre la giustizia compie il suo corso, restano le parole di un padre che difende il figlio ritenendolo estraneo ai fatti, le lacrime di genitori che non riconoscono più i propri ragazzi, il dolore straziante di una famiglia che vede il futuro del proprio figlio irrimediabilmente compromesso da due coltellate sferrate per cinquanta euro in una notte di ottobre nella Milano della movida. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
