Il cielo che ci sovrasta non è mai stato così affollato. Sono oltre 40.000 gli asteroidi vicini alla Terra finora individuati, una cifra che testimonia la crescente capacità dell’uomo di monitorare il cosmo alla ricerca di potenziali minacce. Questi oggetti, noti come NEA (Near Earth Asteroids), sono definiti tali perché le loro orbite possono portarli a meno di 45 milioni di chilometri dall’orbita terrestre. Di questi, circa 2.000 presentano, sebbene in modo estremamente remoto, una possibilità di impatto con il nostro pianeta nei prossimi cento anni. Ma la probabilità che uno di questi possa effettivamente colpire la Terra resta nella quasi totalità dei casi ben al di sotto dell’1%, e riguarda per lo più corpi celesti di piccole dimensioni, incapaci di provocare danni significativi su scala globale.
La sorveglianza astronomica ha fatto passi da gigante: basti pensare che 10.000 di questi 40.000 oggetti sono stati scoperti solo negli ultimi tre anni. Un incremento che riflette non solo la maggiore consapevolezza della posta in gioco, ma anche i progressi tecnologici e l’aumento delle risorse destinate al monitoraggio spaziale. “Il numero delle scoperte sta aumentando in modo esponenziale”, spiega Luca Conversi, responsabile del Near-Earth Object Coordination Centre (NEOCC) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). “Con l’entrata in funzione della prossima generazione di telescopi ci aspettiamo che il numero di NEA conosciuti continui a crescere a un ritmo ancora più elevato”, aggiunge Conversi, sottolineando come la difesa planetaria sia ormai una priorità scientifica e strategica per l’Europa.
Secondo gli esperti, quasi tutti gli asteroidi di grandi dimensioni – quelli superiori al chilometro, potenzialmente capaci di causare estinzioni globali – sono già stati identificati e tracciati. Il nuovo fronte si concentra sugli oggetti di medie dimensioni, con diametri compresi tra 100 e 300 metri: sono molto più difficili da individuare e si stima che ne conosciamo appena il 30%. Eppure, anche questi corpi possono causare danni ingenti, soprattutto su scala regionale, come dimostrato dalla simulazione di impatto elaborata in recenti esercitazioni internazionali.
In parallelo al censimento, cresce anche l’impegno delle agenzie spaziali per testare soluzioni concrete. L’ESA è in prima linea con un ventaglio di missioni dedicate: Hera, in viaggio verso l’asteroide Dimorphos per studiare gli effetti della missione DART della NASA – che nel 2022 ha dimostrato per la prima volta la possibilità di deviare un corpo celeste – è solo l’inizio. A questa si aggiungono Ramses, destinata a seguire da vicino l’asteroide Apophis nel suo avvicinamento del 2029, e NEOMIR, una missione di sorveglianza orbitale pensata per colmare il cosiddetto “punto cieco” dovuto alla luce solare, che impedisce ai telescopi terrestri di osservare una porzione del cielo nella direzione del Sole.
La Terra non è mai stata così sorvegliata, e mai così pronta a difendersi. Sebbene la probabilità di un impatto significativo resti molto bassa, la comunità scientifica sta costruendo, passo dopo passo, una vera architettura di sicurezza spaziale. Non si tratta di allarmismo, ma di lungimiranza: nel vasto e imprevedibile sistema solare, la prevenzione resta la prima e più efficace forma di difesa. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
