Caso Paragon, Conte accusava Meloni ma ora si scopre che fu lui a dare il via libera a spiare Casarini 

Giuseppe Conte accusava il governo Meloni di spionaggio di Stato per il caso Paragon, ma emerge che le prime intercettazioni di Casarini risalgono al 2019 durante il suo governo, smontando la narrazione dell’opposizione.

La vicenda del software di spionaggio Paragon ha assunto contorni paradossali con la scoperta che le prime autorizzazioni per intercettare i fondatori della ONG Mediterranea risalgono al 2019, durante il governo guidato da Giuseppe Conte. Il leader del Movimento 5 Stelle, che nei mesi scorsi aveva accusato duramente l’esecutivo Meloni di aver orchestrato uno spionaggio di Stato definendolo “fatto gravissimo” e “attentato ai diritti democratici”, si trova ora nella posizione di dover spiegare perché proprio durante la sua permanenza a Palazzo Chigi furono avviate le operazioni di sorveglianza sui membri dell’organizzazione umanitaria.

Secondo quanto emerso dalle ricostruzioni giornalistiche basate sui documenti del Copasir, Luca Casarini e Beppe Caccia, rispettivamente fondatore e co-fondatore della ONG Mediterranea Saving Humans, furono oggetto di intercettazioni preventive disposte dai servizi di sicurezza su autorizzazione dei giudici già dal 2019. Quell’anno la Procura generale della Corte di appello di Roma autorizzava le intercettazioni preventive richieste dall’intelligence, in un periodo in cui al governo si succedevano il Conte-1 con Movimento 5 Stelle e Lega fino ad agosto, e dal settembre 2019 il Conte-2 con Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. L’attività di sorveglianza si inseriva in un contesto in cui il tema dell’immigrazione rappresentava una priorità centrale per entrambi gli esecutivi, seppur con approcci differenti tra la fase con Salvini ministro dell’Interno e quella successiva.

Le utenze degli attivisti sono state ritrovate nei database dei Servizi, registrate con nomi in codice, confermando che le operazioni di monitoraggio erano state condotte nel pieno rispetto delle procedure legali previste per le intercettazioni preventive. Nel 2019 Casarini aveva alcune questioni giudiziarie aperte, essendo stato indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in relazione al recupero di 49 migranti al largo delle coste libiche con la nave Mare Ionio, inchiesta successivamente archiviata. Questo elemento contestuale potrebbe aver contribuito alla decisione dei servizi di avviare le operazioni di monitoraggio, sebbene i dettagli specifici delle motivazioni rimangano riservati.

Nei mesi scorsi, quando emerse il caso del software Graphite prodotto dalla società israeliana Paragon Solutions, Conte aveva assunto una posizione di ferma condanna nei confronti del governo Meloni. “Emerge un fatto gravissimo, venire a sapere che ci sono giornalisti spiati è un attentato alla libertà di stampa e un attentato ai diritti di uno stato democratico”, aveva dichiarato il leader pentastellato commentando la vicenda che coinvolgeva sette persone, tra cui il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e lo stesso Casarini. Le sue critiche si erano concentrate sulla presunta mancanza di trasparenza dell’esecutivo e sull’interruzione dei rapporti contrattuali da parte della società israeliana per violazioni delle norme etiche.

Il leader del Movimento 5 Stelle aveva inoltre attaccato duramente il governo per il rifiuto di rispondere alle interrogazioni parlamentari sul caso, definendo la situazione “fatto gravissimo” e promettendo di “chiamare alla responsabilità questo Governo”. La sua strategia comunicativa si era concentrata sulla presunta opacità dell’esecutivo Meloni e sulla necessità di fare chiarezza su quello che veniva presentato come un possibile abuso di potere ai danni della libertà di informazione. Tuttavia, la scoperta delle date delle prime autorizzazioni ha completamente ribaltato la narrazione, mettendo in evidenza una contraddizione evidente tra le accuse mosse e la realtà dei fatti.

La vicenda aveva scatenato reazioni durissime da parte dell’intera opposizione, con Elly Schlein che aveva definito la situazione “uno scandalo” sostenendo che “Meloni non può continuare a nascondersi, deve rispondere”, mentre Matteo Renzi si era spinto a parlare di “Watergate italiano”. L’intera coalizione di centrosinistra aveva chiesto che il presidente del Consiglio riferisse in Parlamento, costruendo una narrazione che presentava il caso come emblematico di derive autoritarie dell’esecutivo di destra. Le accuse si erano concentrate sulla presunta violazione della libertà di stampa e sui diritti democratici, con richieste di istituire commissioni d’inchiesta parlamentari.

Anche da Alleanza Verdi-Sinistra erano arrivate dure critiche, con il deputato Marco Grimaldi che aveva presentato interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta da parte del governo. La strategia dell’opposizione sembrava orientata a costruire un caso politico di ampia portata, utilizzando la vicenda Paragon come simbolo di un presunto clima di intimidazione nei confronti del mondo dell’informazione e dell’attivismo umanitario. Tuttavia, l’emergere delle date reali delle autorizzazioni ha messo in discussione l’intera impalcatura accusatoria, rivelando come molte delle critiche fossero fondate su presupposti errati.

Il software Graphite rappresenta una tecnologia di sorveglianza di livello militare prodotta dalla società israeliana Paragon Solutions, capace di penetrare anche in smartphone criptati attraverso attacchi “zero-click”, che non richiedono alcuna interazione da parte dell’obiettivo per essere attivati. Attraverso WhatsApp riesce ad accedere a foto, video e contatti, trasformando i dispositivi in microfoni ambientali, rappresentando uno strumento di estrema sofisticazione tecnologica utilizzato da agenzie governative di intelligence in tutto il mondo. La società israeliana vende i suoi servizi esclusivamente a clienti governativi che dovrebbero utilizzarli per prevenire attività criminali, non operando mai con soggetti privati.

Secondo quanto emerso dalle audizioni riservate al Copasir, il sottosegretario Alfredo Mantovano avrebbe ammesso che Mediterranea e i suoi attivisti sono stati oggetto di monitoraggio da parte dei servizi segreti con il software militare Paragon Graphite perché considerati “pericolo per la sicurezza nazionale”. Le operazioni sarebbero state condotte nel rispetto di tutte le procedure previste per le intercettazioni preventive, con regolari autorizzazioni della Procura generale di Roma. Il caso di Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, appare invece diverso e più controverso, con l’intelligence che nega il coinvolgimento nelle operazioni di sorveglianza nei suoi confronti.

La scoperta delle date reali delle autorizzazioni ha completamente ribaltato la narrazione politica costruita dall’opposizione nei mesi precedenti, mettendo in evidenza quella che molti osservatori hanno definito un’operazione di mistificazione mediatica. Il fatto che le prime intercettazioni risalgano al 2019, quando Conte guidava l’esecutivo con la delega sui servizi segreti, solleva interrogativi sulla buona fede delle accuse mosse successivamente al governo Meloni. L’ipocrisia di chi aveva firmato le autorizzazioni e successivamente si atteggiava a vittima di un presunto spionaggio di Stato rappresenta un elemento di particolare gravità nel dibattito politico contemporaneo.

Lo stesso Casarini ha dovuto riconoscere la realtà dei fatti, dichiarando di voler incontrare Conte per chiedere spiegazioni: “Si è capito, mi hanno spiato tutti, governi di ogni tipo”, ha ammesso l’attivista, aggiungendo di voler sapere se questa attività contro la solidarietà fosse stata suggerita da Salvini o da Piantedosi. La richiesta di chiarimenti diretta all’ex presidente del Consiglio evidenzia come anche le presunte vittime del sistema di sorveglianza abbiano compreso la necessità di fare i conti con la cronologia reale degli eventi. Il silenzio di Conte di fronte a queste rivelazioni appare ancora più significativo considerando la veemenza delle sue precedenti accuse.

Il caso Paragon si è rivelato un perfetto esempio di come la politica italiana sia spesso caratterizzata da strumentalizzazioni e mistificazioni che finiscono per ritorcersi contro chi le mette in atto. La scoperta che le prime autorizzazioni per intercettare gli attivisti di Mediterranea risalgono al 2019, durante il governo Conte, ha completamente smontato la narrazione costruita dall’opposizione nei mesi precedenti e ha messo in evidenza un livello di ipocrisia politica difficilmente sostenibile. Giuseppe Conte, che aveva accusato il governo Meloni di aver orchestrato uno spionaggio di Stato ai danni della democrazia e della libertà di stampa, si trova ora nella posizione di dover spiegare perché proprio durante la sua permanenza a Palazzo Chigi furono avviate le operazioni di sorveglianza che successivamente ha tanto criticato.

La vicenda evidenzia inoltre come le attività di intelligence, regolamentate da specifiche normative e sottoposte al controllo dell’autorità giudiziaria, debbano essere valutate sulla base di criteri oggettivi legati alla sicurezza nazionale piuttosto che essere utilizzate come strumenti di battaglia politica. Il fatto che le intercettazioni preventive siano state autorizzate nel rispetto delle procedure legali vigenti, indipendentemente dal colore politico del governo in carica, dimostra come il sistema di controlli e garanzie previsto dall’ordinamento funzioni secondo logiche che trascendono le dinamiche della competizione elettorale. L’auspicio è che questa vicenda possa servire da monito per un dibattito pubblico più responsabile e meno incline alla strumentalizzazione di questioni così delicate per la sicurezza dello Stato.