Il tè matcha ha conquistato in pochi anni il palato di milioni di consumatori in tutto il mondo, affermandosi come alternativa salutare al caffè tradizionale grazie al suo elevato contenuto di antiossidanti e alle proprietà energizzanti. Tuttavia, dietro il suo caratteristico colore verde smeraldo si celano potenziali rischi per la salute che meritano particolare attenzione, soprattutto quando il consumo diventa eccessivo o si trascurano le necessarie precauzioni.
La concentrazione di caffeina rappresenta il primo fattore di rischio da considerare. Una tazza di tè matcha contiene circa 35-70 mg di caffeina, quantità che può sembrare moderata rispetto ai 95-200 mg presenti in una tazza di caffè, ma che diventa significativa considerando che il matcha viene spesso consumato in quantità superiori. Gli esperti raccomandano di non superare le 2-3 tazze giornaliere, equivalenti a 4-6 grammi di polvere, per rimanere entro i limiti di sicurezza stabiliti dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare di 400 mg di caffeina al giorno per adulti sani.
I sintomi da sovradosaggio di caffeina includono insonnia, nervosismo, aumento della frequenza cardiaca, irritabilità, tremori e palpitazioni. Particolarmente vulnerabili risultano le persone sensibili alla caffeina, per le quali anche quantità moderate possono scatenare effetti indesiderati. La presenza della L-teanina nel matcha, pur modulando l’assorbimento della caffeina e riducendo il picco energetico tipico del caffè, non elimina completamente questi rischi quando le dosi diventano eccessive.
Un aspetto ancora più preoccupante riguarda la potenziale contaminazione da metalli pesanti. Poiché il matcha viene prodotto macinando l’intera foglia di tè, tutti i contaminanti eventualmente presenti nel terreno di coltivazione vengono concentrati nella polvere finale. Piombo, cadmio, mercurio, arsenico e alluminio possono accumularsi nelle piante, specialmente quando coltivate in aree con suoli contaminati o quando vengono utilizzati pesticidi e fertilizzanti chimici non conformi agli standard biologici.
L’alluminio rappresenta una particolare preoccupazione, essendo naturalmente presente in molti terreni e facilmente assorbito dalle piante di tè. L’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione del Rischio ha pubblicato studi specifici sui livelli di alluminio riscontrati in alcuni campioni di matcha, evidenziando come alte concentrazioni possano danneggiare il sistema nervoso, le capacità riproduttive e lo sviluppo osseo. Il limite massimo settimanale tollerabile è stato fissato a 1 mg per chilogrammo di peso corporeo.
La tossicità epatica rappresenta un ulteriore rischio documentato dalla letteratura scientifica. Alcuni studi hanno evidenziato casi di tossicità epatica acuta in persone geneticamente suscettibili o affette da malattie preesistenti del fegato dopo assunzione prolungata di prodotti contenenti alte concentrazioni di catechine, in particolare l’epigallocatechina gallato (EGCG). Questa sostanza, pur essendo responsabile di molti benefici del matcha, può interferire con il metabolismo epatico dei farmaci, inibendo specifici enzimi come il citocromo P3A4.
Le interazioni farmacologiche costituiscono un capitolo critico spesso sottovalutato. Il matcha può interferire con antibiotici, anticoagulanti come warfarina e aspirina, contraccettivi orali, ansiolitici, chemioterapici antitumorali e farmaci antipertensivi. I tannini presenti nella bevanda riducono inoltre l’assorbimento del ferro dagli alimenti, rendendo problematico il consumo per persone anemiche o con carenza di ferro. Chi soffre di ulcera peptica o reflusso gastroesofageo dovrebbe prestare particolare attenzione, poiché i tannini possono irritare la mucosa gastrica.
Gravidanza e allattamento rappresentano condizioni che richiedono massima cautela. Il contenuto di caffeina del matcha può causare nervosismo, ansia e insonnia nelle donne in gravidanza, oltre a interferire potenzialmente con l’assorbimento dell’acido folico, fondamentale per lo sviluppo del feto. Gli esperti raccomandano di limitare il consumo a 200-300 mg di caffeina giornaliera durante la gravidanza, il che significa non più di 2 tazze di matcha al giorno, sempre previa consultazione medica.
Un consumo eccessivo può manifestarsi anche attraverso disturbi digestivi, nausea, crampi muscolari, battito cardiaco irregolare, dolori addominali e diarrea. Questi sintomi sono particolarmente frequenti quando il matcha viene consumato a stomaco vuoto o in dosi superiori agli 8 grammi giornalieri. La sindrome da “ubriachezza da tè”, ben nota nella tradizione cinese, può verificarsi anche con il matcha quando vengono superate le soglie di tolleranza individuale.
La qualità del prodotto gioca un ruolo determinante nella prevenzione di questi effetti collaterali. Il matcha biologico certificato, proveniente da coltivazioni controllate e sottoposto a rigorosi test di laboratorio per la ricerca di contaminanti, presenta rischi significativamente inferiori rispetto ai prodotti di bassa qualità spesso disponibili sul mercato a prezzi competitivi. I produttori giapponesi di eccellenza sottopongono i loro prodotti a standard di sicurezza alimentare estremamente rigorosi, superiori anche a quelli americani ed europei.
Particolare attenzione merita la contaminazione radioattiva, timore emerso dopo il disastro di Fukushima del 2011. Sebbene i controlli sui prodotti giapponesi siano stati intensificati e le aree di coltivazione del matcha siano generalmente distanti dalle zone contaminate, alcuni consumatori preferiscono optare per matcha proveniente da altre regioni o richiedere specifiche certificazioni sulla radioattività.
Gli effetti allergici rappresentano un rischio spesso trascurato. Il matcha contiene salicilati naturali che possono provocare reazioni allergiche come eruzioni cutanee, asma e congestione nasale in soggetti predisposti. Questi composti, pur essendo naturali, possono scatenare risposte immunitarie in persone sensibili, rendendo necessaria la sospensione del consumo alla prima manifestazione di sintomi sospetti.
Per minimizzare i rischi è fondamentale seguire alcune precauzioni basilari: limitare il consumo a 2-3 tazze giornaliere, scegliere esclusivamente prodotti biologici certificati di alta qualità, evitare l’assunzione a stomaco vuoto, consultare il medico in caso di terapie farmacologiche in corso, prestare attenzione ai segnali di sovradosaggio e sospendere immediatamente il consumo in caso di effetti indesiderati.
La preparazione corretta contribuisce inoltre a ridurre alcuni rischi. L’acqua non dovrebbe mai superare i 90°C per preservare le proprietà antiossidanti ed evitare l’estrazione eccessiva di tannini. La polvere dovrebbe essere setacciata per garantire una dissoluzione uniforme ed evitare l’ingestione di grumi concentrati.
Nonostante questi potenziali effetti collaterali, il tè matcha rimane una bevanda dalle proprietà benefiche documentate quando consumato con moderazione e criterio. La chiave risiede nella consapevolezza dei rischi e nell’adozione di un approccio equilibrato che privilegi la qualità sulla quantità. Come per ogni alimento o bevanda, l’eccesso può trasformare un beneficio in un rischio, rendendo essenziale l’educazione del consumatore sui limiti di sicurezza e sulle modalità di consumo responsabile.