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Leoncavallo, il Viminale chiede 3 milioni di euro alle Mamme antifasciste: “Colpa loro il mancato sgombero”

Il Viminale chiede 3 milioni di euro alle Mamme Antifasciste del Leoncavallo dopo aver risarcito la famiglia Cabassi per il mancato sgombero del centro sociale milanese, con scadenza 15 luglio per il prossimo tentativo di sfratto.

Il Ministero dell’Interno ha notificato un’ingiunzione di pagamento di oltre 3 milioni di euro all’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo, nella persona della presidente Marina Boer, per rivalersi della somma versata alla famiglia Cabassi come risarcimento per il mancato sgombero dello storico centro sociale milanese. La decisione, comunicata attraverso l’Avvocatura dello Stato, rappresenta l’ultimo capitolo di una vicenda giudiziaria che si protrae da oltre vent’anni e che ha visto il Viminale condannato dalla Corte d’Appello di Milano a risarcire i proprietari dell’immobile di via Watteau.

La sentenza della Corte d’Appello, emessa nel novembre 2024, ha stabilito che il Ministero dell’Interno doveva corrispondere alla società L’Orologio srl della famiglia Cabassi un risarcimento di 3 milioni e 175mila euro per il mancato sgombero dell’ex cartiera occupata dal centro sociale dal 1994. I giudici hanno ritenuto illecito il comportamento dell’amministrazione che, pur nella piena consapevolezza dell’occupazione abusiva, non ha mai dato corso all’esecuzione del provvedimento giudiziario, adducendo solo generiche difficoltà di ordine pubblico.

Il pagamento del risarcimento è avvenuto il 26 marzo 2025, quando la Prefettura di Milano ha provveduto a versare ai Cabassi la somma complessiva comprensiva di interessi legali e spese processuali. Tuttavia, il Viminale non ha tardato a rivalersi sui soggetti che considera responsabili dell’occupazione, notificando l’ingiunzione di pagamento all’Associazione Mamme Antifasciste e personalmente alla presidente Marina Boer.

Nella raccomandata del 9 dicembre 2024, l’Avvocatura dello Stato ha specificato che l’esborso sostenuto dal Ministero dell’Interno è stato causato dall’inottemperanza dell’associazione ai provvedimenti giudiziari che ordinavano il rilascio dell’immobile occupato abusivamente. La comunicazione prevede un termine di 60 giorni per il rimborso della somma all’amministrazione, con la minaccia di procedere al pignoramento dei beni personali della presidente nel caso di inadempimento.

La vicenda giudiziaria affonda le radici nel 2003, quando il Tribunale di Milano condannò per la prima volta l’Associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo al rilascio dei 10mila metri quadrati dell’ex cartiera. La sentenza fu confermata dalla Corte d’Appello nel 2004 e resa definitiva dalla Cassazione nel 2010. Dal primo accesso dell’ufficiale giudiziario nel marzo 2005, si sono susseguiti 130 tentativi di sgombero, tutti falliti per l’assenza delle forze dell’ordine e la resistenza passiva degli occupanti.

L’Associazione Mamme Antifasciste, guidata dalla presidente Marina Boer, ha respinto con fermezza le richieste del Viminale. In un comunicato diffuso in vista del prossimo tentativo di sgombero previsto per il 15 luglio 2025, l’associazione ha denunciato l’ingiustizia di addossare a una singola persona la responsabilità di una storia collettiva lunga cinquant’anni. La difesa ha sottolineato che il Leoncavallo rappresenta un patrimonio culturale e sociale della città di Milano, che ha reso l’area di via Watteau un polo di attrazione internazionale attraverso iniziative culturali, musicali e di accoglienza.

La famiglia Cabassi, proprietaria dell’immobile attraverso la società L’Orologio srl, aveva già manifestato nel 2018 l’intenzione di richiedere un risarcimento per l’occupazione pluriennale dell’ex cartiera. Dopo aver perso in primo grado, i proprietari hanno ottenuto soddisfazione in appello, con i giudici che hanno riconosciuto un danno quantificato in base al periodo di indisponibilità dell’immobile dal 2005 al 2024.

Parallelamente alla battaglia legale, si sono aperti canali di trattativa per una soluzione alternativa. Nel marzo 2025, l’Associazione Mamme Antifasciste ha presentato una manifestazione d’interesse preliminare al Comune di Milano per la concessione d’uso di un immobile in via San Dionigi, nell’area di Porto di Mare. L’amministrazione comunale ha accolto positivamente l’iniziativa, dichiarando la volontà di trovare una soluzione pragmatica che salvaguardi l’esperienza storica del centro sociale nel rispetto delle norme.

Tuttavia, il trasferimento presenta criticità significative. L’immobile individuato necessita di una bonifica dall’amianto e di interventi di riqualificazione che richiederebbero investimenti considerevoli e tempi lunghi. Secondo le stime preliminari, sarebbero necessari circa 3 milioni di euro per rendere agibile lo spazio, una cifra che coincide paradossalmente con quella richiesta dal Viminale all’associazione.

La reazione politica alla vicenda ha evidenziato le divisioni tra le forze politiche milanesi. Il centrodestra ha manifestato contrarietà a qualsiasi forma di regolarizzazione del centro sociale, sostenendo che non dovrebbero essere concessi spazi pubblici a realtà nate come occupazioni illegali. La Lega, attraverso l’eurodeputata Silvia Sardone, ha denunciato quello che considera un trattamento di favore nei confronti del Leoncavallo, criticando l’amministrazione comunale per aver steso “tappeti rossi” agli occupanti abusivi.

L’avvocato Mirko Mazzali, legale storico del centro sociale, ha ridimensionato la portata dell’ingiunzione, definendola “solo una manleva” e precisando che prima lo Stato deve pagare, poi eventualmente si rivolgerà al Leoncavallo. La strategia difensiva punta a dimostrare che l’associazione non ha patrimonio proprio e che la responsabilità per il mancato sgombero non può essere addossata esclusivamente alla presidente.

Il prossimo 15 luglio rappresenta una data cruciale per il futuro del Leoncavallo. L’ufficiale giudiziario si presenterà per il 131esimo tentativo di sgombero, mentre l’associazione ha già annunciato la mobilitazione per difendere lo spazio autogestito. La presenza delle forze dell’ordine dipenderà dalle valutazioni della Prefettura e della Questura di Milano, che dovranno bilanciare le esigenze di ordine pubblico con l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari.

La storia del Leoncavallo si intreccia con quella dei movimenti sociali milanesi dal 1975, quando nacque l’associazione delle Mamme Antifasciste in seguito all’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, due giovani militanti del centro sociale uccisi in un agguato fascista. L’associazione, inizialmente guidata da Carmen de Min e Luciana Castellini, ha rappresentato per decenni una presenza costante nella vita del centro sociale, assumendo formalmente la responsabilità legale dell’occupazione.

La questione finanziaria rimane il nodo centrale della vicenda. L’associazione non dispone di un patrimonio sufficiente per far fronte alla richiesta di rimborso, rendendo inevitabile il ricorso al pignoramento dei beni personali della presidente Marina Boer. Questa situazione ha sollevato interrogativi sulla proporzionalità della misura e sulla possibilità di trovare soluzioni alternative che non compromettano la situazione economica di una singola persona.

L’evoluzione della vicenda dipenderà dalle decisioni che saranno prese nei prossimi mesi. Il Comune di Milano dovrà valutare se procedere con l’assegnazione dell’immobile di via San Dionigi, mentre la Prefettura dovrà decidere se dare corso allo sgombero del 15 luglio. Nel frattempo, il Leoncavallo continua a rappresentare un caso emblematico del rapporto complesso tra istituzioni, proprietà privata e movimenti sociali nel contesto urbano milanese, con implicazioni che vanno ben oltre la semplice questione immobiliare.

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