Nel panorama delle successioni italiane, una delle norme che più suscitano perplessità e malcontento riguarda la cosiddetta “quota legittima” destinata ai parenti del defunto quando una coppia sposata non ha figli. Si tratta di un meccanismo apparentemente volto a tutelare i legami di sangue, ma che, in realtà, finisce per ledere in modo significativo la volontà della persona deceduta e, soprattutto, i diritti del coniuge superstite.
La legge, infatti, stabilisce che, in assenza di figli, l’eredità del coniuge deceduto non spetti interamente al partner rimasto in vita, ma che una parte sia riservata ai genitori, ai fratelli o addirittura ai loro discendenti. In altre parole, chi ha condiviso una vita intera con il defunto – costruendo insieme un patrimonio comune e un progetto di vita – si trova improvvisamente a dover dividere la propria casa, i propri risparmi e la propria sicurezza economica con parenti che spesso, nel corso degli anni, hanno avuto un ruolo marginale o addirittura assente nella vita della coppia.
Questa norma appare ancor più paradossale se confrontata con quanto accade quando la coppia ha figli: in quel caso, infatti, fratelli e sorelle del defunto non hanno alcun diritto successorio, giustamente riconoscendo priorità assoluta al coniuge e ai figli, ossia al nucleo familiare più stretto. Ma perché, allora, nel momento in cui mancano figli, la legge decide di spostare l’asse della successione su parenti che non fanno parte del progetto di vita della coppia? Il risultato è un sistema che penalizza proprio le coppie senza figli, trattandole come se la famiglia da loro costruita fosse “incompleta” o comunque meno meritevole di tutela.
In un contesto sociale in cui la scelta di non avere figli è sempre più comune e in cui le famiglie si configurano in forme diverse rispetto al passato, questo principio appare anacronistico. Il coniuge superstite, oltre al dolore per la perdita del partner, si trova spesso a fronteggiare tensioni familiari, contenziosi giudiziari e, non di rado, la concreta perdita della casa in cui ha vissuto per anni, solo perché la legge riconosce una quota “intangibile” a fratelli o genitori che potrebbero non aver mai contribuito alla formazione del patrimonio.
Un sistema moderno di successione dovrebbe dare priorità assoluta alla volontà testamentaria, ma soprattutto alla centralità della coppia come nucleo familiare primario, indipendentemente dalla presenza o meno di figli. Continuare a imporre quote legittime a fratelli e genitori, in assenza di discendenti, non solo è ingiusto ma mina il principio di autodeterminazione patrimoniale, trasformando un diritto naturale – quello di disporre liberamente dei propri beni – in un labirinto di vincoli giuridici che non riflettono più la società odierna.
Occorre un ripensamento radicale di questa norma, perché non è accettabile che nel 2025 un coniuge, già colpito da una perdita devastante, debba subire anche l’umiliazione di condividere il frutto di una vita con parenti estranei al suo quotidiano. La famiglia è ciò che si costruisce, non ciò che il codice civile impone per decreto. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!