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Marco Carta: “Quando feci coming out i discografici si infuriarono”

Marco Carta rivela le pressioni subite dai discografici nel 2009 quando accennò alla sua omosessualità, denunciando un sistema che limita la libertà espressiva degli artisti LGBTQ+.
Credit © Mediaset

Le recenti dichiarazioni di Marco Carta, vincitore del Festival di Sanremo 2009 e primo artista uscito da un talent show a conquistare l’Ariston, hanno sollevato nuovamente il velo su una delle questioni più delicate dell’industria musicale italiana: i rapporti di potere tra artisti e case discografiche e le reticenze di quest’ultime nei confronti del coming out dei propri tesserati. In un’intervista rilasciata ad All Music Italia, il cantante sardo ha rivelato episodi inediti risalenti al 2009, quando la sua carriera era al culmine del successo commerciale.

Durante la promozione del brano “La Forza Mia”, che lo aveva consacrato vincitore del Festival sanremese, Carta si trovò a dover rispondere alla domanda diretta di un giornalista sulla sua sessualità. La sua risposta, “E anche se lo fossi?”, che l’artista considerava un modo elegante e progressivo per iniziare un percorso di apertura verso il pubblico, scatenò invece la furia dei suoi discografici dell’epoca. “Mi hanno ucciso, mi hanno attaccato dicendo ‘tu non dovevi fare quella risposta’”, ha raccontato Carta, sottolineando l’assurdità di tale reazione in un’epoca che già allora, nel 2009, avrebbe dovuto essere più aperta e progressista.

La vicenda di Marco Carta non rappresenta un caso isolato nel panorama musicale italiano, ma rivela piuttosto un pattern consolidato di controllo e censura esercitato dalle case discografiche sui propri artisti. Il cantante ha infatti denunciato come i discografici “tante volte si sentono più star delle star e dicono troppi no, anche all’insaputa dell’artista”, citando come esempio l’opportunità mancata di aprire i concerti sudamericani di Laura Pausini, occasione che gli venne nascosta dal suo discografico dell’epoca perché ritenuto “più utile in Italia”.

Il fenomeno della reticenza delle case discografiche nei confronti del coming out degli artisti affonda le radici in una mentalità imprenditoriale che privilegia la sicurezza commerciale rispetto alla libertà espressiva dei propri tesserati. Come evidenziato dai ricercatori che si occupano di industria musicale, le etichette discografiche italiane hanno storicamente mostrato una particolare cautela verso tutto ciò che potesse essere percepito come “rischioso” dal punto di vista del marketing, includendo in questa categoria anche la dichiarazione pubblica dell’omosessualità da parte degli artisti.

La testimonianza del giornalista Anthony Festa, che ha raccolto le dichiarazioni di Carta, conferma questa tendenza attraverso un episodio personale: quando un noto artista italiano aveva dichiarato di potersi innamorare di qualsiasi persona indipendentemente dal genere, il suo ufficio stampa contattò immediatamente il giornalista chiedendo di modificare il titolo dell’articolo e di eliminare ogni riferimento a un possibile “coming out”, dimostrando come questa dinamica di controllo sia tuttora attiva e pervasiva.

Il caso di Marco Carta si inserisce in un contesto più ampio di difficoltà strutturali che caratterizzano il rapporto tra comunità LGBTQ+ e industria musicale italiana. A differenza di quanto accade in altri paesi, dove artisti come Frank Ocean, Lil Nas X o Sam Smith hanno potuto fare coming out senza compromettere le proprie carriere, l’Italia mantiene ancora oggi una cultura aziendale particolarmente conservatrice in questo ambito. La scarsità di cantanti italiani apertamente omosessuali nel mainstream musicale non è casuale, ma rappresenta il risultato di precise politiche aziendali.

L’esperienza di Tiziano Ferro, che ha fatto coming out pubblicamente nel 2010 attraverso Vanity Fair, rappresenta un precedente significativo ma anche isolato nel panorama musicale italiano. Ferro, al culmine della sua carriera con album che avevano raggiunto risultati commerciali straordinari, aveva costruito una posizione di forza tale da poter affrontare questa dichiarazione senza compromettere definitivamente la sua carriera. Tuttavia, anche nel suo caso, il coming out avvenne dopo anni di speculazioni e pressioni mediatiche, suggerendo come anche per artisti di primo piano la questione rimanga delicata.

Le dinamiche denunciate da Carta riflettono inoltre un problema più generale di gestione del potere all’interno dell’industria musicale italiana. Il cantante ha infatti rivelato come molte decisioni cruciali per la sua carriera fossero prese dai discografici senza consultarlo, creando situazioni paradossali in cui l’artista veniva escluso dalle scelte che riguardavano direttamente il suo percorso professionale. Questa modalità operativa, che trasforma i cantanti in semplici esecutori di decisioni altrui, rappresenta una forma di controllo che va ben oltre la questione specifica del coming out.

Il panorama musicale internazionale ha mostrato negli ultimi anni una crescente apertura verso la diversità e l’inclusione, con artisti LGBTQ+ che non solo hanno fatto coming out senza danneggiare le proprie carriere, ma hanno spesso trovato in questa autenticità un elemento di forza commerciale. Il successo di Lil Nas X, che ha fatto coming out durante il picco del successo di “Old Town Road”, o di Sam Smith, che ha costruito gran parte della propria identità artistica sulla propria esperienza queer, dimostrano come il pubblico contemporaneo sia pronto ad accogliere narrazioni più diverse e inclusive.

La resistenza dell’industria musicale italiana a questo cambiamento appare quindi sempre più anacronistica e controproducente. Le case discografiche che continuano a esercitare pressioni sui propri artisti per nascondere la loro sessualità non solo perpetuano dinamiche discriminatorie, ma rischiano anche di perdere opportunità commerciali significative. Il pubblico giovane, in particolare, mostra una crescente sensibilità verso temi di inclusione e autenticità, rendendo potenzialmente premianti strategie più aperte e progressive.

Le parole di Marco Carta assumono particolare rilevanza anche alla luce della sua esperienza complessiva nell’industria musicale. Dopo aver vinto Amici nel 2008 e Sanremo nel 2009, il cantante ha dovuto affrontare pregiudizi significativi legati alla sua provenienza televisiva, con colleghi che “quasi non lo guardavano perché era una vergogna provenire da un talent”. Questa doppia discriminazione – per la provenienza televisiva e per l’orientamento sessuale – ha caratterizzato gran parte della sua carriera, costringendolo a combattere su più fronti per affermare la propria legittimità artistica.

Il coming out ufficiale di Marco Carta è avvenuto solo nel 2018, durante la trasmissione “Domenica Live” condotta da Barbara D’Urso, ben nove anni dopo l’episodio che aveva scatenato la reazione dei suoi discografici. In quell’occasione, l’artista aveva dichiarato: “Sono gay e ho un compagno, e sono felice. Voglio liberare la mia anima, il mio corpo, ma anche la mia musica”. Il lungo intervallo tra la prima apertura del 2009 e la dichiarazione definitiva del 2018 testimonia la complessità del percorso che molti artisti sono costretti ad affrontare in un contesto industriale poco favorevole.

La questione sollevata da Marco Carta evidenzia la necessità di un cambiamento strutturale nell’approccio delle case discografiche italiane verso i propri artisti LGBTQ+. Questo cambiamento non dovrebbe essere motivato solo da considerazioni etiche, ma anche da valutazioni strategiche: in un mercato musicale sempre più globalizzato e competitivo, l’autenticità e l’inclusività rappresentano asset commerciali di crescente importanza. Le etichette che continueranno a perpetuare logiche discriminatorie rischiano di trovarsi sempre più marginalizzate rispetto a competitors più progressivi e aperti al cambiamento.

Le rivelazioni di Marco Carta rappresentano quindi un momento di riflessione importante per l’intera industria musicale italiana, chiamata a confrontarsi con le proprie responsabilità nella perpetuazione di dinamiche discriminatorie e nell’ostacolo posto alla piena espressione artistica e personale dei propri tesserati. La strada verso un’industria musicale più inclusiva e rispettosa della diversità appare ancora lunga, ma testimonianze coraggiose come quella del cantante sardo rappresentano passi significativi verso un necessario cambiamento culturale del settore.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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