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Caso Gruppo “Mia moglie”, Bernardini de Pace: “Dovete denunciare e vi consolerete con tanti soldi”

L’avvocato Bernardini de Pace propone una class action per le vittime del gruppo Facebook ‘Mia moglie’, promettendo risarcimenti di 22.500 euro moltiplicati per visualizzazioni come deterrente contro la violenza digitale di genere.

Il caso del gruppo Facebook “Mia moglie”, chiuso dalla piattaforma dopo l’esplosione dello scandalo per aver ospitato per anni la condivisione di immagini intime di donne inconsapevoli da parte dei propri mariti e compagni, ha scatenato l’indignazione nazionale e spinto il celebre avvocato divorzista Annamaria Bernardini de Pace a lanciare un appello diretto e inequivocabile alle vittime: denunciare immediatamente per ottenere giustizia e significativi risarcimenti economici.

Il gruppo, attivo dal 2019 e cresciuto fino a raggiungere oltre 32mila iscritti, rappresentava uno spazio virtuale dove migliaia di uomini condividevano quotidianamente fotografie delle proprie partner ritratte in momenti intimi, durante attività domestiche, in costume al mare o in abbigliamento succinto, accompagnando tali immagini con commenti esplicitamente sessuali e degradanti. La maggior parte delle donne immortalate risultava completamente ignara di essere stata fotografata e, soprattutto, di essere esposta al giudizio pubblico di una comunità che le trattava come merce di scambio per stabilire rapporti gerarchici tra membri maschili.

Durante la sua partecipazione al programma Morning News su Canale 5, l’avvocato Bernardini de Pace non ha utilizzato mezzi termini per definire il fenomeno emerso: “È una cosa schifosissima, vergognosa. A me dà l’idea di tanti maschi, maschi si fa per dire, tossici, narcisi, in competizione tra loro, come sono in competizione per un attributo che dovrebbe forse essere l’unica cosa che dovrebbero tenere nascosta“. La legale ha immediatamente inquadrato giuridicamente le condotte perpetrate all’interno del gruppo, specificando che “salvo che il tutto costituisca più grave reato, chiunque dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona, è punito con la reclusione da uno a sei anni“.

La posizione dell’avvocato si è fatta ancora più netta nell’intervista rilasciata a Repubblica, dove ha delineato una strategia legale ambiziosa e determinata per tutte le donne coinvolte: “Io vorrei difendere tutte queste donne, anche se fossero 32mila come gli uomini che le hanno esposte. Purtroppo mi manca il tempo. Ma ci vorrebbe una class action con separazione e risarcimento del danno“. Bernardini de Pace ha equiparato la creazione e l’utilizzo di quel gruppo Facebook a un reato di violenza sessuale, sottolineando come “il reato, grave, è quello della diffusione senza il consenso di immagini o video. Il codice penale prevede la multa fino a 15mila euro e il carcere da uno a sette anni. Tutto aumenta se chi diffonde il materiale è il marito o compagno“.

La proposta economica avanzata dalla legale risulta particolarmente significativa dal punto di vista del risarcimento: Io chiederei per ognuna 22.500 euro moltiplicato per tutte le volte che quelle immagini sono state viste e per tutti gli uomini che le hanno viste. Questo calcolo, che tiene conto della diffusione virale delle immagini e del numero di visualizzazioni, potrebbe tradursi in somme considerevoli per ciascuna vittima, rappresentando un deterrente economico significativo per comportamenti analoghi e una forma di giustizia riparatrice concreta.

L’esperienza professionale dell’avvocato nel campo del diritto di famiglia le ha fornito numerosi esempi di come la violenza digitale si manifesti nelle relazioni coniugali. Ha raccontato il caso di un cliente che “aveva accusato la moglie di tradimento depositando in udienza una serie di foto di lei a letto con uomini sempre diversi”, spiegando come la sua assistita, vittima di violenza e sopraffazione, fosse stata costretta dal marito non solo ad avere rapporti con altri uomini, ma anche “a farsi fotografare con loro perché era anche un guardone”. Questi episodi dimostrano come la violenza sessuale possa assumere forme subdole e tecnologicamente mediate, utilizzando la documentazione fotografica come strumento di controllo e umiliazione.

La battaglia legale proposta da Bernardini de Pace si inserisce nel quadro normativo del Codice Rosso, entrato in vigore nel 2019, che ha introdotto l’articolo 612-ter del codice penale sulla “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, comunemente definito revenge porn. Questa normativa prevede la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5mila a 15mila euro per chiunque diffonda materiale intimo senza consenso, con aggravanti specifiche quando il responsabile sia il coniuge o il partner della vittima.

Il fenomeno del gruppo “Mia moglie” non rappresenta un caso isolato nel panorama della violenza digitale di genere. L’avvocato ha sottolineato come esistano decine di gruppi analoghi, spesso ospitati su piattaforme diverse come Telegram, dove la moderazione risulta ancora più difficile e l’anonimato garantisce maggiore impunità agli autori di tali condotte. La chiusura del gruppo Facebook, avvenuta solo dopo una massiccia campagna di segnalazioni coordinate dall’associazione “No Justice No Peace” e dalla scrittrice Carolina Capria, ha rappresentato una vittoria simbolica ma non ha risolto il problema alla radice.

La strategia legale proposta dall’avvocato Bernardini de Pace va oltre il semplice risarcimento economico e mira a creare un precedente giurisprudenziale significativo. “Per fermare gli uomini bisogna denunciare sempre”, ha dichiarato con fermezza, spiegando che “le donne ancora si vergognano. Si sentono dire che devono trovare il coraggio. No, io dico alle donne che devono denunciare perché farlo è un dovere e si fa anche se si ha paura. Altrimenti gli uomini diventano sempre più tranquilli nel commettere reati contro le donne”.

La vicenda ha coinvolto anche Meta, la società proprietaria di Facebook, che ha rimosso il gruppo dichiarando di non consentire “contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme”. Tuttavia, la tempestività dell’intervento è stata messa in discussione, considerando che il gruppo operava indisturbato dal 2019 e aveva raggiunto dimensioni considerevoli prima di essere scoperto e segnalato dalla società civile.

L’approccio di Bernardini de Pace al caso riflette la sua filosofia professionale consolidata in oltre quarant’anni di carriera nel diritto di famiglia. La legale, nota per aver assistito numerose celebrità nei loro divorzi e per la sua presenza televisiva nel programma “Forum”, ha sempre sostenuto un approccio diretto e senza compromessi nella tutela dei diritti delle donne, particolarmente in situazioni di violenza domestica e di genere.

Il caso del gruppo “Mia moglie” ha evidenziato le lacune esistenti nella moderazione dei contenuti sulle piattaforme social e la necessità di meccanismi più efficaci per prevenire e contrastare fenomeni di violenza digitale di genere. La proposta di class action avanzata dall’avvocato rappresenta un tentativo di utilizzare il sistema giuridico come strumento di cambiamento sociale, trasformando il danno subito dalle vittime in un’opportunità per stabilire precedenti legali che possano scoraggiare comportamenti simili in futuro.

La battaglia legale annunciata da Bernardini de Pace si inserisce in un contesto più ampio di sensibilizzazione sulla violenza di genere digitale, fenomeno che secondo le statistiche più recenti colpisce prevalentemente le donne e i minori, causando danni psicologici spesso devastanti. Gli studi specialistici hanno documentato come le vittime di revenge porn sviluppino frequentemente disturbi da stress post-traumatico, depressione, ansia sociale e, nei casi più gravi, tendenze suicide.

La chiusura del gruppo “Mia moglie” e le conseguenti azioni legali preannunciate rappresentano un momento di svolta nella lotta contro la violenza digitale di genere in Italia. L’approccio proposto dall’avvocato Bernardini de Pace, che combina la tutela individuale delle vittime con una strategia collettiva di cambiamento normativo e sociale, potrebbe costituire un modello replicabile per affrontare fenomeni analoghi e garantire maggiore protezione alle donne nell’ambiente digitale.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!