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Alessia Pifferi, la nuova perizia: “Era capace di intendere e di volere quando lasciò morire la figlia”

La perizia psichiatrica disposta dal tribunale di Milano esclude patologie mentali tali da compromettere la capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi, rafforzando l’accusa di omicidio volontario per l’abbandono di sua figlia Diana.
Credit © Rai

Il recente esito della perizia psichiatrica disposta dal tribunale di Milano ha segnato una svolta definitiva nel processo a carico di Alessia Pifferi, la donna accusata di aver abbandonato la figlia di sei anni, Diana, in casa per oltre cinquanta ore lasciandola morire di stenti durante la sua vacanza a seconda casa a Bellagio. Il documento, sul quale hanno lavorato due esperti nominati dal giudice, esclude la presenza di patologie psichiatriche rilevanti o di disturbi della personalità tali da compromettere la capacità di intendere e di volere della donna. Secondo la relazione clinica, Pifferi, al momento dei fatti, possedeva piena lucidità e consapevolezza delle proprie azioni, contraddicendo così la linea difensiva impegnata fin dall’inizio nel sostenere una ridotta capacità di intendere dovuta a un presunto disturbo emotivo cronico.

La perizia, frutto di un approfondito iter valutativo che ha incluso colloqui clinici, analisi delle cartelle mediche pregresse e incontri ripetuti con la consulenza tecnica, sottolinea come l’imputata abbia mostrato atteggiamenti coerenti e razionali nell’organizzazione della propria vita quotidiana e nella gestione dei rapporti interpersonali. Emergono dettagli significativi riguardo alle ore precedenti alla tragedia, in cui Pifferi pianificò con cura la partenza lasciando incarichi domestici apparentemente certi a familiari e amici, senza però informare nessuno delle reali condizioni della figlia rimasta sola in casa

La capacità di intendere e di volere, cardine per la configurazione del delitto di omicidio volontario pluriaggravato, è stata dunque confermata: la donna aveva compiuta facoltà di comprendere il significato e le conseguenze delle proprie azioni, nonché di scegliere tra più comportamenti alternativi. Ne consegue che, secondo la perizia, l’evento letale non è riconducibile a un episodio di lucidità offuscata o a un’improvvisa dissociazione mentale, bensì a una scelta deliberata di lasciare la bambina senza assistenza per un arco di tempo incompatibile con la sopravvivenza.

L’avvocato difensore di Pifferi ha annunciato la volontà di richiedere una nuova consulenza, rigettando le conclusioni della relazione e sostenendo che i test psico-diagnostici non abbiano tenuto adeguatamente conto dello stato di forte stress post-traumatico vissuto dalla donna a seguito di precedenti eventi familiari. Tuttavia, gli esperti incaricati dal tribunale hanno risposto che l’analisi dei fattori di stress e delle condizioni emotive è stata svolta con rigore, applicando protocolli riconosciuti a livello scientifico per la valutazione del rischio suicidario e omicida. Nessun segnale di psicopatologia grave è emerso in grado di tollerare una deroga alla responsabilità penale.

Il pubblico ministero ha commentato che la perizia chiude definitivamente ogni margine di dubbio sulla pericolosità morale della Pifferi, rafforzando il quadro probatorio già emerso dalle intercettazioni telefoniche, dalle testimonianze dei vicini e dalla ricostruzione dei fatti operata dalla polizia giudiziaria. Secondo l’accusa, la pianificazione dell’abbandono appare tanto più grave in considerazione del vincolo di cura verso una minore, aggravato dall’età particolarmente fragile di Diana.

La Corte d’Assise, chiamata ora a pronunciarsi in sede di giudizio abbreviato, dovrà valutare se comminare alla donna la pena massima prevista per il reato di omicidio aggravato, pena che può arrivare fino all’ergastolo. La decisione sulla richiesta di rito alternativo, da parte della difesa, appare cruciale: in caso di accoglimento, si procederà senza dibattimento, valutando esclusivamente le prove raccolte finora, mentre in caso contrario si aprirà il dibattimento con ulteriori acquisizioni e testimonianze.

Intanto, la vicenda di Diana ha suscitato un’eco profonda nell’opinione pubblica e negli ambienti istituzionali, rilanciata da iniziative legislative volte a inasprire le sanzioni nei confronti di chi abbandona minori in stato di abbandono o pericolo. Sulla scia di questo caso, alcuni parlamentari hanno presentato proposte di legge che prevedono l’obbligo di segnalazione da parte di medici, insegnanti e assistenti sociali in caso di sospetti di negligenza grave, nonché l’inasprimento delle misure cautelari per gli imputati in tale contesto.

L’appuntamento decisivo è fissato per le prossime settimane, quando il tribunale si riunirà per esaminare la consulenza e le conclusioni delle parti, tracciando la linea per la fase finale del processo. La conferma della capacità di intendere e di volere rappresenta una pietra miliare: stabilisce che la scelta apparentemente inspiegabile di allontanarsi dalla figlia non può essere ascritta a un disturbo mentale invalidante, ma va considerata alla stregua di un atto volontario e consapevole, con tutte le implicazioni penali e morali che ne derivano.

Il destino giudiziario di Alessia Pifferi appare ora segnato, ma la sua vicenda continua a sollevare interrogativi profondi sul ruolo delle istituzioni di tutela dei minori e sull’efficacia degli strumenti di prevenzione nei confronti di situazioni di grave rischio. La ricostruzione definitiva dei fatti, affidata alle corti, dovrà fare chiarezza non solo sulle responsabilità individuali, ma anche sui meccanismi di risposta sociale e giudiziaria in casi di abbandono estremo.

Lo scenario emerso dalla perizia conferma la gravità della scelta compiuta, sancendo l’imprescindibile confine tra chi agisce in preda a una crisi psicotica e chi, pur in presenza di difficoltà personali, conserva la propria capacità decisionale e ne risponde di fronte alla legge.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!