L’annuncio dell’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas riaccende le speculazioni sul possibile riconoscimento del Premio Nobel per la Pace a Donald Trump, con l’assegnazione prevista per venerdì 10 ottobre a Oslo. Il presidente americano, che ha mediato l’intesa attraverso il suo piano in venti punti per la risoluzione del conflitto di Gaza, si trova ora al centro di un dibattito internazionale che potrebbe vedere il suo nome accostato a quello di illustri predecessori come Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson, Jimmy Carter e Barack Obama.
La strategia diplomatica trumpiana ha trovato sostegno trasversale, con diverse personalità e governi che hanno formalmente avanzato la candidatura del presidente per l’ambito riconoscimento. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha consegnato personalmente a Trump una lettera di raccomandazione durante una visita alla Casa Bianca, mentre i governi di Pakistan, Cambogia, Armenia e Azerbaigian hanno sottomesso nomination ufficiali al Comitato Nobel norvegese, riconoscendo il ruolo del presidente americano nella risoluzione di conflitti regionali.
L’accordo raggiunto tra le parti prevede il rilascio graduale dei quarantotto ostaggi ancora detenuti a Gaza, venti dei quali risultano ancora in vita, in cambio della liberazione di circa duecentocinquanta palestinesi condannati all’ergastolo e di millesettecento detenuti gazawi arrestati dopo l’attacco del 7 ottobre 2023. Israele procederà al ritiro delle proprie forze militari verso linee concordate, mentre l’afflusso di aiuti umanitari nella Striscia dovrebbe raggiungere le quattrocento unità di trasporto giornaliere.
Il Forum delle Famiglie degli Ostaggi e dei Dispersi ha pubblicamente sollecitato il Comitato Nobel norvegese ad assegnare il premio a Trump, definendo il suo impegno "straordinario" per il ritorno dei prigionieri e la cessazione delle ostilità. L’organizzazione ha sottolineato come l’iniziativa presidenziale rappresenti "la prova definitiva del suo obiettivo di mediatore e pacificatore" in una regione devastata da due anni di conflitto che ha causato oltre sessantasettemila vittime.
La professoressa Anat Alon-Beck della Case Western Reserve University ha confermato di aver sottomesso la candidatura di Trump entro la scadenza del 31 gennaio 2025, motivando la decisione con la speranza di contribuire al ritorno degli ostaggi israeliani. Analogamente, la deputata repubblicana Claudia Tenney ha presentato una nomination formale già nel dicembre 2024, citando i risultati degli Accordi di Abramo siglati durante il primo mandato presidenziale.
Il calendario delle deliberazioni rappresenta tuttavia un elemento critico per le aspirazioni trumpiane. Il Comitato Nobel norvegese ha finalizzato la propria scelta già nella giornata di lunedì, precedendo l’annuncio dell’accordo israelo-palestinese, circostanza che potrebbe limitare l’impatto dell’ultima iniziativa diplomatica sulla decisione finale. Nina Graeger, direttrice del Peace Research Institute Oslo, ha osservato che quest’anno sono pervenute trecentotrentotto candidature tra individui e organizzazioni, mantenendo riservata la lista completa secondo le procedure statutarie.
Gli esperti rimangono divisi sulle effettive possibilità di successo della candidatura presidenziale. Graeger ha evidenziato come alcune iniziative dell’amministrazione Trump, incluso il ritiro da accordi multilaterali e l’intensificazione di guerre commerciali, contrastino con i principi di cooperazione internazionale sanciti dal testamento di Alfred Nobel. Le piattaforme di scommesse online attribuiscono al presidente americano una probabilità del 2,4 percento, in calo rispetto al 4,9 percento registrato nei giorni precedenti.
La questione temporale assume particolare rilevanza considerando che i riconoscimenti Nobel vengono tradizionalmente assegnati per risultati consolidati piuttosto che per promesse o accordi preliminari. L’intesa israelo-palestinese, pur rappresentando un significativo progresso diplomatico, costituisce solamente la prima fase di un processo più ampio che dovrà affrontare questioni complesse come il disarmo di Hamas e la governance post-conflitto di Gaza.
Trump ha pubblicamente espresso scetticismo sulle proprie possibilità di vittoria, dichiarando che il Comitato "troverà probabilmente una ragione per non assegnarmelo", nonostante rivendichi di aver risolto "sette conflitti" durante la propria presidenza. Il presidente ha inoltre definito una eventuale mancata assegnazione come "un grande insulto all’America", sottolineando l’importanza simbolica del riconoscimento per il prestigio internazionale degli Stati Uniti.
L’amministrazione Trump ha costituito un Consiglio per la Pace internazionale che supervisionerà la governance post-bellica di Gaza, presieduto dallo stesso presidente e comprendente altri leader globali tra cui l’ex primo ministro britannico Tony Blair. Questa struttura rappresenta un tentativo di istituzionalizzare gli sforzi di pacificazione oltre la risoluzione del conflitto immediato.
Il confronto con Barack Obama, insignito del Nobel nel 2009 dopo appena nove mesi di presidenza, alimenta le argomentazioni dei sostenitori trumpiani che evidenziano risultati diplomatici più concreti. Obama ricevette il riconoscimento per i suoi "sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli", decisione che successivamente ha suscitato dibattiti sulla tempistica dell’assegnazione.
La candidatura trumpiana si inserisce in un contesto geopolitico caratterizzato da un numero record di conflitti armati a livello globale, con il database dell’Università di Uppsala che registra il massimo storico di guerre coinvolgenti almeno uno Stato dal 1946. In questo scenario, gli sforzi di mediazione assumono particolare rilevanza per la comunità internazionale e potrebbero influenzare positivamente la valutazione del Comitato norvegese.
La decisione finale, attesa per venerdì mattina alle ore 11:00 di Oslo, chiuderà un capitolo significativo delle ambizioni trumpiane che hanno caratterizzato gran parte della sua agenda di politica estera. Indipendentemente dall’esito, l’accordo israelo-palestinese rappresenta indiscutibilmente il risultato diplomatico più rilevante del secondo mandato presidenziale, consolidando la posizione di Trump come figura centrale negli equilibri mediorientali contemporanei. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!