Un Airbus A320 della compagnia Air Arabia ha sfiorato la catastrofe nei cieli di Catania nella notte del 20 settembre 2025, quando durante la fase di decollo da Fontanarossa l’aeromobile ha raggiunto una quota minima di soli 12 metri dalla superficie del mare, viaggiando a una velocità di oltre 500 chilometri orari in condizioni di estremo pericolo. L’evento, classificato come “inconveniente grave” dall’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), rappresenta uno dei casi più preoccupanti degli ultimi anni nel panorama dell’aviazione civile italiana e internazionale, ponendo l’accento sulla complessità dei fattori umani e strumentali che concorrono alla sicurezza aerea.
Il volo Air Arabia Maroc 991, classificato come “ferry flight” cioè un volo di trasferimento effettuato senza passeggeri a bordo, era diretto ad Amman in Giordania per operazioni di manutenzione programmate. Sull’aeromobile erano presenti soltanto due piloti – un comandante tunisino di 47 anni e un primo ufficiale – oltre a quattro membri dell’equipaggio di cabina, per un totale di sei persone a bordo. Il decollo è avvenuto alle 23:56 ora locale (21:57 UTC), in una notte caratterizzata da visibilità ridotta e assenza di validi riferimenti visivi esterni, circostanze che si riveleranno critiche nel determinare le dinamiche dell’accaduto.
In base alle informazioni contenute nella relazione preliminare resa pubblica dall’ANSV nel mese di ottobre, le prime ipotesi investigative indicano come causa principale dell’incidente il mancato inserimento nel computer di bordo dei parametri fondamentali per la fase di decollo. I piloti, in apparente violazione delle procedure di sicurezza standard, non avrebbero inserito le “velocità critiche” indispensabili per una salita sicura: la V1 (velocità di decisione), la VR (velocità di rotazione) e la V2 (velocità di sicurezza minima per mantenere la salita anche in caso di guasto motore). Questa omissione ha impedito l’attivazione dei sistemi automatici di guida del velivolo, determinando comportamenti anomali e imprevedibili dell’aeromobile durante le fasi critiche del volo.
Sostanzialmente, poco dopo il distacco da terra, l’A320 ha iniziato una pericolosa picchiata, accelerando fino a superare i 500 chilometri orari mentre nella cabina di pilotaggio si attivavano gli allarmi di avvertimento del sistema GPWS – Ground Proximity Warning System – con i messaggi “Sink Rate” e “Pull Up”, segnalazioni critiche che avvertono i piloti del rischio imminente di collisione con il terreno o l’acqua. L’altimetro di prossimità aveva registrato una quota minima di 41 piedi, equivalente a circa 12 metri e mezzo dalla superficie marina, un margine assolutamente insufficiente per garantire la sicurezza del velivolo.
Secondo le ricostruzioni pubblicate da diversi organi di stampa sulla base delle analisi preliminari, il comandante ha impartito una serie di comandi sul sidestick – la caratteristica barra laterale di controllo degli Airbus – che hanno indotto il velivolo a portare il muso verso il basso, causando una progressiva riduzione dell’assetto di volo. L’A320 ha successivamente accelerato fino a superare persino i limiti di velocità consentiti con la configurazione di flap allora impostata, aggravando ulteriormente la situazione critica. Solo a 49 metri dall’acqua i piloti sono riusciti a effettuare una manovra di emergenza, applicando la massima spinta disponibile e riportando lentamente l’aereo in assetto di salita, consentendo di evitare quella che sarebbe stata una tragedia immane.
L’indagine dell’ANSV ha iniziato a vagliare diverse ipotesi esplicative dell’incidente, tra le quali emerge in particolare il ruolo potenzialmente decisivo del “disorientamento spaziale”, una condizione fisiologica ben nota in ambito aeronautico che colpisce periodicamente i piloti durante particolari circostanze di volo. Questo fenomeno rappresenta una delle minacce più insidiose alla sicurezza aerea moderna, in quanto il sistema vestibolare umano – responsabile della percezione dell’equilibrio e dell’orientamento nello spazio – può essere facilmente ingannato quando mancano validi riferimenti visivi esterni.
Nella notte del 20 settembre, le condizioni ambientali erano particolarmente avverse dal punto di vista della percezione sensoriale del pilota: il buio totale della notte, l’assenza di una linea d’orizzonte chiaramente definita, la mancanza di punti di riferimento luminosi come la Luna o corpi celesti identificabili, e la presenza del mare sottostante – ambiente notoriamente confusivo in condizioni di scarsa illuminazione – hanno creato l’ambiente ideale per il manifestarsi di illusioni sensoriali. Secondo gli esperti di aviazione, la visione periferica del pilota, che rappresenta la stragrande maggioranza della superficie retinica, è caratterizzata da bassa acuità visiva e insensibilità al colore, rendendola particolarmente vulnerabile a inganni percettivi quando mancano chiari riferimenti di movimento e posizione.
In queste condizioni di volo strumentale forzato, il sistema vestibolare può fornire al cervello informazioni errate circa l’assetto effettivo del velivolo, la sua quota e la sua orientazione. L’illusione somatogravica, una delle forme più comuni di disorientamento spaziale, può indurre il pilota a percepire false sensazioni di accelerazione o decelerazione, portandolo a comportamenti correttivi che in realtà aggravano la situazione. Questo fenomeno risulta particolarmente pericoloso quando il pilota non è pienamente conscio di trovarsi in condizioni di disorientamento spaziale e continua a fidare delle proprie sensazioni vestibolarl anzichè degli strumenti di bordo.
I due piloti della compagnia Air Arabia, secondo quanto riferito da esperti di aviazione intervistati dai media, non si resero conto immediatamente che il velivolo stava precipitando verso il mare. Questa mancanza di consapevolezza della situazione critica – definita in ambito tecnico “loss of situational awareness” – rappresenta il culminare di una concatenazione di fattori avversi: l’omissione procedurale iniziale, le condizioni meteo e di illuminazione sfavorevoli, l’assenza di riferimenti visivi, e presumibilmente il manifestarsi del disorientamento spaziale. Solo gli allarmi automatici del sistema GPWS hanno reso consapevoli i piloti del pericolo imminente, fornendo loro le informazioni necessarie per intraprendere la manovra di emergenza risolutiva.
L’importanza del Ground Proximity Warning System emerge chiaramente da questo episodio come elemento cruciale di sicurezza passiva. Questo sistema elettronico sofisticato, introdotto negli anni Settanta nelle cabine dei vettori commerciali, utilizza un radioaltimetro per misurare continuamente la distanza dell’aereo dal terreno sottostante, confrontando questo dato con la posizione satellitare del velivolo e un database della morfologia del territorio. Quando il computer di bordo rileva una situazione di pericolo potenziale di collisione con il terreno – uno scenario denominato CFIT (Controlled Flight Into Terrain) – emette avvisi vocali e visivi che sollecitano l’intervento immediato del pilota. Nel caso dell’incidente di Catania, gli avvisi “Pull Up” e “Sink Rate” hanno fornito al comandante le informazioni tattiche necessarie per comprendere che l’assetto del velivolo era pericolosamente compromesso.
L’indagine dell’ANSV prosegue attualmente con l’analisi della scatola nera e dei registratori di bordo dell’aeromobile. Tuttavia, una limitazione significativa è rappresentata dal fatto che le registrazioni audio tra i piloti in cabina siano state sovrascritte durante il proseguimento del volo verso Amman, circostanza che riduce le evidenze disponibili per gli investigatori. I dati flight data recorder, tuttavia, forniranno informazioni dettagliate circa l’assetto del velivolo, le velocità, le quote, gli input dei comandi e l’attivazione dei sistemi di sicurezza durante i momenti critici dell’evento.
L’ANSV prevede di pubblicare una relazione investigativa completa nei prossimi mesi, relazione che analizzerà sistematicamente tutte le possibili contribuenti all’evento, dalle responsabilità procedurali della compagnia aerea alle condizioni fisiologiche del pilota, dalle carenze addestramentiali ai fattori ambientali e meteorologici. Questo incidente rappresenta un promemoria critico circa la necessità di mantenere elevatissimi standard di addestramento, compliance procedurale e vigilanza anche durante i voli di trasferimento senza passeggeri, situazione in cui talvolta le procedure possono essere erroneamente percepite come meno critiche di un volo commerciale regolare.
I comandanti esperti consultati dalle redazioni giornalistiche si sono dichiarati perplessi riguardo al verificarsi di un’omissione procedurale così elementare come il mancato inserimento delle velocità critiche V1, VR e V2 nel Flight Management System: si tratta di un passaggio controllato da specifiche checklist pre-partenza, parte della routine più consolidata e rigorosa della pratica aeronautica mondiale. La combinazione di questa omissione iniziale con il disorientamento spaziale determinato dalle condizioni di buio e assenza di riferimenti esterni crea uno scenario in cui gli elementi umani e sistemici si sono tragicamente allineati nell’arco di pochi secondi.
Questa vicenda sottolinea l’importanza fondamentale della ridondanza sistemica in aviazione, vale a dire l’implementazione di molteplici livelli di protezione e controllo che possono compensare singoli errori umani. Il GPWS, i sistemi di telemetria, i procedimenti standardizzati, l’addestramento continuo dei piloti e la supervisione da parte dei controllori del traffico aereo rappresentano strati di protezione che, complessivamente, mantengono la sicurezza aerea a livelli estremamente elevati. Nel caso di Catania, è stata appunto la confluenza di questi diversi fattori di sicurezza – e in particolare l’intervento tempestivo del GPWS – a impedire che un quasi-incidente divenisse un disastro. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
