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Taiwan, la Cina accelera i preparativi per l’invasione: cresce la tensione

Il presidente di Taiwan William Lai annuncia un maxi-piano di rafforzamento della difesa e mette in guardia sulla concreta possibilità di una azione militare cinese.

Nello scenario geopolitico dell’Asia orientale si registra in queste ore un nuovo e preoccupante innalzamento del livello di allerta nello Stretto di Taiwan, in seguito alle dichiarazioni del presidente taiwanese William Lai, che ha pubblicamente denunciato un’accelerazione nei preparativi militari della Cina con l’obiettivo dichiarato di assumere il controllo dell’isola tramite la forza. Nel corso di una conferenza stampa tenuta nella capitale, Lai ha illustrato la portata della minaccia proveniente da Pechino, individuando nel 2027 una data simbolica e strategica per un’eventuale azione militare: proprio quell’anno, infatti, coincide con il centenario della fondazione dell’Esercito Popolare di Liberazione, le forze armate della Repubblica Popolare Cinese.

Il capo di stato di Taipei ha ribadito la determinazione delle autorità dell’isola a “raggiungere un elevato livello di prontezza” nel più breve tempo possibile, definendo i prossimi due anni “decisivi” nella ridefinizione dell’architettura difensiva nazionale. Parallelamente, il governo taiwanese ha annunciato uno storico incremento degli investimenti nel settore della difesa, varando un extra budget di 40 miliardi di dollari che sarà destinato sia al rafforzamento dell’arsenale locale sia all’acquisizione di nuove forniture militari statunitensi, dai sistemi missilistici ai droni di ultima generazione, fino ad arrivare a innovazioni legate all’intelligenza artificiale e alla sicurezza informatica. Il ministro della Difesa Wellington Koo ha precisato che il plafond stanziato servirà in parte alla realizzazione della cosiddetta “Taiwan Dome”, una struttura avanzata di difesa aerea e antimissilistica potenziata dai contributi tecnologici e strategici forniti dagli Stati Uniti.

L’imperativo di contrastare ogni tentativo di “repressione” è stato più volte sottolineato nelle scorse settimane dalla stessa amministrazione Lai che, oltre alle misure di deterrenza militare, ha pianificato 17 strategie volte a rafforzare la resilienza nazionale contro lo spettro delle moderne minacce ibride: dalla cyberwarfare alle campagne di disinformazione orchestrate da Pechino, fino agli sforzi di infiltrazione politica finalizzati a minare l’identità democratica dell’isola. L’intensificarsi delle esercitazioni congiunte tra le forze armate di Taipei e i principali alleati nella regione evidenzia la crescente consapevolezza del rischio di una guerra ibrida e multidimensionale, in grado di colpire simultaneamente il versante militare, politico ed economico della società taiwanese.

La reazione cinese alle mosse taiwanesi non si è fatta attendere: Pechino ha rafforzato la retorica intransigente riaffermando che la “riunificazione” di Taiwan rappresenta una priorità non negoziabile nell’agenda nazionale, e attribuendo qualsiasi impulso alla preparazione militare dell’isola a operazioni “secessioniste” fomentate da forze esterne. Nel contesto di una pressione militare costante, con il moltiplicarsi di intrusioni aeree e navali nelle cosiddette “zone grigie” marittime, la Cina ha inoltre ribadito la propria intenzione di neutralizzare ogni forma di interferenza da parte di attori internazionali, con particolare riferimento agli Stati Uniti e al Giappone.

Proprio Tokyo si è recentemente inserita nel vortice delle tensioni, in seguito alle dichiarazioni della premier giapponese Sanae Takaichi, la quale non ha escluso il ricorso a un intervento armato a difesa di Taiwan nel caso di aggressione da parte della Repubblica Popolare. La dura reazione di Pechino si è tradotta in una serie di minacce e avvertimenti indirizzati alle autorità nipponiche, nonché nel rafforzamento delle pattuglie della Guardia Costiera cinese nei pressi delle isole contese Senkaku/Diaoyu. Tale scenario pone il baricentro delle crisi nell’Asia-Pacifico, dove l’intersezione di interessi strategici tra Washington, Tokyo e Pechino può trasformare una crisi regionale in un nodo cruciale per la sicurezza globale.

Secondo vari osservatori ed esperti militari, il 2027 segna una finestra temporale particolarmente delicata, non solo per il suo valore simbolico rispetto alla storia delle forze armate cinesi, ma anche perché rappresenterebbe un’opportunità per la leadership di Xi Jinping di consolidare la coesione nazionale su una piattaforma di “successo” geopolitico. Tuttavia, numerose fonti sottolineano che sia lo Stato Maggiore cinese sia quello taiwanese interpretano l’orizzonte temporale come elastico e condizionato dall’andamento delle variabili globali, inclusa la capacità di deterrenza statunitense e la solidità dell’appoggio internazionale all’isola.

La posta in gioco per Taipei è altissima: si tratta di difendere non solo la sovranità territoriale e l’ordine democratico, ma anche di preservare la credibilità di un modello di società aperta in un contesto regionale caratterizzato da profonde tensioni identitarie. Emblematica, in questo senso, la frase con cui il presidente Lai ha chiuso il suo intervento: “La resa di fronte all’aggressione non porterebbe la pace, ma la guerra. Lo scenario più minaccioso resta infatti la capitolazione dello Stato, non l’attacco militare in sé”. Evidente, dunque, il tentativo di costruire una narrazione resiliente, volta a rafforzare la coesione interna e a lanciare un messaggio tanto all’opinione pubblica quanto ai partner internazionali: Taiwan non cederà né alla pressione militare diretta, né alle più subdole forme di erosione della propria indipendenza politica e culturale.

Lo scontro in atto coinvolge ormai una pluralità di fattori, dalla corsa agli armamenti e alla tecnologia militare, allo scontro diplomatico tra le cancellerie, fino all’incalzare di una guerra dell’informazione che travalica i confini dello Stretto di Taiwan. Nel medio periodo, il successo della strategia di deterrenza e l’equilibrio dei rapporti di forza dipenderanno dalla capacità di ciascun attore di adattarsi a uno scenario in evoluzione rapida, in cui errori di calcolo o escalation improvvise potrebbero produrre conseguenze di portata globale. In questo quadro, la vigilanza della comunità internazionale e il sostegno a soluzioni pacifiche restano strumenti essenziali per contenere il rischio di un conflitto che nessuna delle parti, almeno a parole, dichiara di volere agli inizi del XXI secolo. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!