Libertà di Stampa, i giornalisti Italiani sono i più schierati a sinistra di tutta Europa: la classifica

L’Italia scivola al 49° posto nella classifica di Reporter Senza Frontiere mentre studi confermano che i giornalisti italiani sono i più schierati a sinistra d’Europa.

L’Italia scivola al 49° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere (RSF), perdendo tre posizioni rispetto allo scorso anno e registrando il risultato peggiore in Europa Occidentale. Un dato che colpisce soprattutto se messo in relazione con un’altra statistica: secondo autorevoli studi internazionali, i giornalisti italiani sono i più orientati a sinistra di tutto il continente europeo. Un paradosso che solleva interrogativi sull’oggettività dei parametri utilizzati per misurare la libertà d’informazione e sulla reale condizione del pluralismo nel nostro Paese, dove la professione giornalistica appare dominata da una visione politica prevalentemente progressista nonostante l’elettorato mostri orientamenti completamente diversi.

Il declassamento dell’Italia, reso noto alla vigilia della Giornata mondiale della libertà di stampa che si celebra oggi, 3 maggio 2025, viene giustificato da RSF con motivazioni che meritano un’analisi approfondita. L’organizzazione francese sostiene che nel nostro Paese l’informazione sia minacciata principalmente dalle organizzazioni mafiose, soprattutto nel Sud Italia, e da gruppi estremisti violenti. Un quadro certamente preoccupante, ma che non giustifica pienamente la discesa di tre posizioni in un solo anno, soprattutto considerando che il fenomeno mafioso rappresenta una costante storica della società italiana, non certo un’emergenza insorta negli ultimi dodici mesi.

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Particolarmente discutibile appare il giudizio politicamente orientato espresso da Reporter Senza Frontiere sulla cosiddetta “legge bavaglio”, descritta come un tentativo del governo di “ostacolare la libera informazione in materia giudiziaria”. La normativa, che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare fino all’udienza preliminare, viene dipinta come una misura liberticide quando, in realtà, rappresenta una doverosa tutela della presunzione di innocenza, principio cardine di ogni democrazia avanzata. Risulta quanto meno singolare che una maggiore protezione dei diritti degli indagati venga interpretata come una limitazione della libertà di stampa, quasi che il diritto di cronaca prevalesse su quello alla dignità personale.

Altrettanto criticabile è l’allarme lanciato da RSF sulla possibile acquisizione dell’agenzia AGI da parte del gruppo editoriale del deputato Antonio Angelucci, definita come un “serio rischio di conflitto d’interessi”. Una preoccupazione che non sembra estendersi con eguale intensità ai casi di concentrazione editoriale politicamente allineata in senso progressista, a riprova di un approccio ideologicamente orientato nella valutazione della libertà di stampa.

In questo contesto, assume particolare rilevanza il dato emerso dal rapporto Worlds of Journalism Study della Columbia University, che colloca i giornalisti italiani all’estrema sinistra dello spettro politico europeo. Secondo questa ricerca, basata su sondaggi condotti su oltre 27.500 giornalisti in 67 paesi, l’Italia rappresenta un unicum nel panorama continentale: “In media la posizione dei giornalisti è collocata saldamente nello spazio ideologico del centrosinistra, in paesi come Spagna, Svezia e specialmente l’Italia i giornalisti sono ancora più spostati a sinistra”. Lo studio ha elaborato una scala da 0 a 10, dove la stampa italiana si trova nella zona di estrema sinistra, evidenziata con un colore rosso scuro, mentre nazioni come Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Gran Bretagna presentano una stampa più moderata o conservatrice.

Questa marcata omogeneità ideologica della categoria giornalistica italiana solleva questioni fondamentali sul reale pluralismo dell’informazione nel nostro Paese. Come può esistere una genuina libertà di stampa quando la stragrande maggioranza dei professionisti dell’informazione condivide lo stesso orientamento politico? L’informazione realmente libera presuppone una pluralità di voci e prospettive, che difficilmente può realizzarsi in un ambiente culturalmente monolitico. L’anomalia italiana consiste precisamente in questo: un corpo giornalistico politicamente schierato a sinistra che opera in un Paese il cui elettorato esprime ormai da tempo preferenze opposte, creando una frattura tra media e opinione pubblica che mina la fiducia nel sistema dell’informazione.

Il professor Luigi Curini, ordinario di Scienza Politica all’Università degli Studi di Milano, ha analizzato la correlazione tra la partigianeria politica della stampa e la scarsa fiducia dei cittadini verso i giornalisti, evidenziando come i due fenomeni siano strettamente collegati. Nel caso italiano, questa dinamica appare particolarmente evidente: un elettorato tendenzialmente moderato-conservatore si trova di fronte a un sistema mediatico dominato da professionisti di orientamento progressista, creando inevitabilmente una percezione di distorsione nell’informazione.

La classificazione dell’Italia al 49° posto nella graduatoria mondiale sulla libertà di stampa, pertanto, sembra risentire di criteri di valutazione ideologicamente orientati più che di un’analisi oggettiva del panorama informativo nazionale. Se davvero l’Italia fosse un paese in cui la libertà di stampa è severamente limitata, come si spiegherebbe il predominio di giornalisti politicamente schierati in opposizione al governo in carica? La realtà è che il declassamento dell’Italia appare più come una sanzione per scelte politiche sgradite all’establishment progressista internazionale che come una valutazione imparziale delle condizioni di lavoro dei giornalisti.

Significativo, a questo proposito, è il fatto che anche gli Stati Uniti siano stati declassati nella classifica RSF, passando dal 55° al 57° posto, in un movimento che viene descritto come “il primo significativo e prolungato declino della libertà di stampa nella storia moderna” e attribuito al “ritorno di Donald Trump alla presidenza”. Un giudizio palesemente politico che getta ulteriori ombre sull’obiettività dell’intero sistema di valutazione.

La vera sfida per l’informazione italiana non consiste tanto nell’opporsi a presunte limitazioni della libertà di stampa, quanto nel garantire un autentico pluralismo culturale all’interno della professione giornalistica. Un sistema mediatico realmente libero dovrebbe riflettere l’intera gamma delle sensibilità politiche presenti nella società, non cristallizzarsi in posizioni ideologiche omogenee e distanti dal sentire comune della maggioranza dei cittadini. Solo attraverso un genuino pluralismo sarà possibile colmare il divario di fiducia tra opinione pubblica e sistema dell’informazione, ripristinando quella credibilità che costituisce il vero fondamento della libertà di stampa.