Nel 536 d.C. ebbe inizio un fenomeno climatico di proporzioni catastrofiche che avrebbe segnato la storia dell’umanità per i successivi due decenni. Una misteriosa nebbia avvolse l’Europa, il Medio Oriente e gran parte dell’Asia, riducendo drammaticamente la luminosità solare e trasformando quello che doveva essere un normale anno primaverile in un incubo di oscurità e freddo.
Le cronache dell’epoca descrivono con toni apocalittici questo evento straordinario. Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, che si trovava al seguito del generale Belisario durante le campagne militari, riportò che “il sole emise la sua luce senza luminosità, come la luna, durante tutto questo anno”. Anche lo statista romano Cassiodoro documentò dettagliatamente l’anomalia climatica nell’epistola 25 delle sue Variae, descrivendo un sole che “sembrava aver perso la capacità di splendere e aveva assunto un colore bluastro”, mentre i corpi umani non proiettavano ombra nemmeno a mezzogiorno.
Gli effetti di questa oscurità prolungata furono devastanti su scala globale. Le temperature estive scesero drasticamente, con cali compresi tra 1,5 e 2,5 gradi Celsius rispetto alla media, innescando quello che gli storici hanno definito il decennio più freddo degli ultimi 2.300 anni. I raccolti fallirono su vasta scala dall’Irlanda alla Cina, scatenando carestie che decimarono le popolazioni. In Cina si verificarono addirittura nevicate estive, mentre gli Annali irlandesi riportano “una mancanza di pane” che persistette dal 536 al 539 d.C.
Questo evento climatico apocalittico, che durò diciotto mesi, marcò l’inizio della cosiddetta Piccola Era Glaciale Tardoantica, un periodo di raffreddamento prolungato che si estese dal 536 al 660 d.C. circa. Le conseguenze non si limitarono agli aspetti climatici: la debolezza delle popolazioni causata dalla fame favorì la diffusione della peste di Giustiniano nel 541 d.C., una pandemia di peste bubbonica che uccise milioni di persone e contribuì al collasso economico dell’Impero romano d’Oriente.
Per secoli, la causa di questo fenomeno rimase avvolta nel mistero. Gli studiosi moderni avevano ipotizzato l’origine vulcanica dell’evento, basandosi su tracce di solfati rinvenute nelle carote di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide. Le prime teorie indicavano eruzioni vulcaniche terrestri di grande portata, con particolare attenzione a possibili eruzioni in Islanda, Alaska o Indonesia. Tuttavia, la quantità di materiale vulcanico depositato non appariva sufficiente a spiegare l’intensità e la durata dell’oscuramento solare.
La svolta nella comprensione di questo enigma storico è arrivata grazie al lavoro di due ricercatori dell’American Geophysical Union: Dallas Abbott del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University e il suo collega John Barron del Servizio Geologico degli Stati Uniti. La loro analisi innovativa di una carota di ghiaccio estratta in Groenlandia, classificata con l’acronimo GISP2, ha rivelato una scoperta sorprendente.
Esaminando la composizione chimica dell’acqua di fusione del ghiaccio corrispondente al periodo del 536 d.C., Abbott e Barron hanno identificato microfossili di organismi tipici delle acque tropicali calde che non erano mai stati trovati prima nelle carote di ghiaccio groenlandesi. “Abbiamo trovato microfossili di organismi che vivevano a basse latitudini e che non erano mai stati rinvenuti nelle carote di ghiaccio della Groenlandia, insieme a polveri provenienti da sedimenti marini profondi”, spiega Abbott.
Questa scoperta ha portato i ricercatori a formulare una nuova teoria rivoluzionaria: l’oscuramento del sole del 536 d.C. non sarebbe stato causato esclusivamente da eruzioni vulcaniche terrestri, ma da eruzioni vulcaniche sottomarine di eccezionale violenza verificatesi nelle vicinanze dell’equatore. Queste eruzioni avrebbero letteralmente vaporizzato enormi volumi di acqua marina, lanciando nell’atmosfera non solo ceneri vulcaniche, ma anche sedimenti marini e microrganismi tropicali.
Il meccanismo proposto dai due scienziati è tanto elegante quanto devastante: le eruzioni sottomarine, anziché emettere principalmente anidride solforosa come le eruzioni terrestri, avrebbero creato colossali colonne di vapore acqueo cariche di sedimenti calcarei e creature marine microscopiche. Questo materiale, sostenuto dalla violenza delle eruzioni, sarebbe rimasto sospeso nell’atmosfera per circa due decenni, creando una cortina semi-permanente che filtrava e rifletteva la radiazione solare.
L’ipotesi delle eruzioni sottomarine spiega diverse anomalie che le teorie precedenti non riuscivano a chiarire. In primo luogo, giustifica la presenza di fossili tropicali nel ghiaccio groenlandese, materiale che non avrebbe mai potuto raggiungere quelle latitudini attraverso normali processi atmosferici. In secondo luogo, chiarisce perché la quantità di solfati vulcanici depositata fosse relativamente modesta rispetto all’intensità dell’oscuramento: il materiale responsabile del fenomeno non era costituito principalmente da aerosol solforosi, ma da particelle di sedimenti marini e organismi microscopici.
La ricerca di Abbott e Barron rappresenta un esempio paradigmatico di come l’analisi paleoclimatica possa illuminare eventi storici di portata epocale. Le carote di ghiaccio della Groenlandia, veri e propri archivi naturali dell’atmosfera terrestre, conservano tracce chimiche e biologiche che permettono di ricostruire con precisione millimetrica eventi verificatisi oltre millecinquecento anni fa. Ogni strato di ghiaccio racchiude informazioni sui venti, sulle eruzioni vulcaniche, sulle concentrazioni di gas atmosferici e, come dimostrato in questo caso, persino sui microrganismi trasportati dalle correnti atmosferiche globali.
L’importanza di questa scoperta va oltre la semplice curiosità storica. Il periodo di oscurità del 536 d.C. coincise con trasformazioni sociali, politiche e demografiche di portata epocale: la diffusione dei popoli slavi in Europa, il collasso dell’Impero sasanide, le grandi migrazioni dalle steppe asiatiche e dalla penisola arabica, oltre ai profondi cambiamenti politici in Cina. Lo storico medievale Michael McCormick dell’Università di Harvard ha definito il 536 d.C. “l’inizio di uno dei peggiori periodi per essere vivi, se non l’anno peggiore” della storia umana.
La metodologia utilizzata da Abbott e Barron apre nuove prospettive per la ricerca paleoclimatica. L’analisi ad alta risoluzione dei microfossili nelle carote di ghiaccio potrebbe rivelare dettagli inediti su altri eventi climatici estremi del passato, contribuendo a una migliore comprensione dei meccanismi che governano le interazioni tra vulcanismo, oceani e atmosfera. Questa conoscenza risulta particolarmente preziosa nell’attuale contesto di cambiamenti climatici, poiché aiuta a comprendere come eventi naturali estremi possano influenzare i sistemi climatici globali.
Il lavoro dei due ricercatori dimostra inoltre l’importanza della collaborazione interdisciplinare nella scienza moderna. L’integrazione di competenze in paleoclimatologia, geologia marina, microbiologia e storia ha permesso di risolvere un enigma che aveva sfidato generazioni di studiosi. La scoperta sottolinea come eventi apparentemente localizzati, come eruzioni vulcaniche sottomarine in aree tropicali, possano avere conseguenze globali attraverso complessi meccanismi di teleconnessione atmosferica.
L’evento del 536 d.C. rappresenta un monito sulla fragilità degli equilibri climatici terrestri e sulla vulnerabilità delle civiltà umane di fronte a perturbazioni ambientali di grande scala. La capacità di decifrare questi eventi del passato attraverso l’analisi scientifica dei ghiacci polari offre strumenti preziosi per anticipare e prepararsi a possibili eventi simili nel futuro, confermando il ruolo cruciale della ricerca paleoclimatica nella comprensione del sistema Terra e delle sue dinamiche complesse.