Il Parlamento greco ha approvato il 16 ottobre 2025 una delle riforme del lavoro più controverse degli ultimi anni in Europa, introducendo la possibilità per i lavoratori del settore privato di estendere la giornata lavorativa fino a 13 ore consecutive. La legge, fortemente voluta dal governo conservatore di Nea Dimokratia guidato dal premier Kyriakos Mitsotakis, ha ottenuto il via libera con 158 voti favorevoli su 300 seggi parlamentari, mentre 109 deputati si sono espressi contro la misura.
La votazione è giunta al termine di due giornate di dibattiti serrati in aula e di aspri scontri tra la maggioranza e le opposizioni, che hanno accusato il governo di voler smantellare in modo sistematico i diritti dei lavoratori conquistati nel corso di decenni di lotte sindacali. La nuova normativa rappresenta un ulteriore capitolo della politica di flessibilizzazione del mercato del lavoro perseguita da Mitsotakis fin dal suo insediamento nel 2019, dopo che la Grecia aveva attraversato un decennio di severissime misure di austerità imposte dalla Troika durante la crisi del debito sovrano tra il 2009 e il 2018.
La legge, firmata dalla ministra del Lavoro e della Sicurezza Sociale Niki Kerameus, stabilisce che i dipendenti del settore privato potranno lavorare fino a 13 ore al giorno per un massimo di 37 giorni all’anno, su base formalmente volontaria. L’orario ordinario rimane fissato a otto ore giornaliere, ma la nuova normativa consente di aggiungere fino a cinque ore di straordinario per lo stesso datore di lavoro. La prima ora supplementare sarà retribuita con una maggiorazione del 20 per cento, mentre le successive quattro ore riceveranno una maggiorazione del 40 per cento rispetto alla retribuzione ordinaria.
Secondo i calcoli effettuati dal ministero del Lavoro, lavorando cinque ore aggiuntive per 37 giorni all’anno, i dipendenti andrebbero a coprire sostanzialmente l’equivalente dei 24 giorni di ferie solitamente previsti, compensando così la perdita di produttività durante i periodi di riposo. La misura consentirebbe quindi alle aziende di far fronte a carenze di personale o picchi produttivi stagionali, particolarmente rilevanti in settori chiave dell’economia greca come il turismo, l’agricoltura e la ristorazione, che da soli rappresentano oltre il 15 per cento del prodotto interno lordo del Paese.
Il governo Mitsotakis ha difeso la riforma sostenendo che essa offre ai lavoratori la possibilità di incrementare i propri guadagni in un contesto in cui gli stipendi greci rimangono tra i più bassi dell’Unione Europea. La ministra Kerameus ha dichiarato in Parlamento che alcuni lavoratori richiedono esplicitamente la possibilità di lavorare più ore per aumentare le proprie entrate, sottolineando che chi non vorrà aderire agli straordinari sarà tutelato e protetto da eventuali ritorsioni da parte dei datori di lavoro. La titolare del dicastero ha inoltre precisato che molti dipendenti si spostano attualmente tra un primo e un secondo datore di lavoro nella stessa giornata senza guadagnare compensi aggiuntivi, situazione che la nuova legge intende regolarizzare portando alla luce parte del lavoro sommerso.
La riforma si inserisce in una più ampia strategia governativa volta a modernizzare le regole del mercato del lavoro greco e a contrastare gli effetti della crisi demografica che sta colpendo il Paese. Già nel luglio 2024 era stata introdotta la possibilità della settimana lavorativa di sei giorni per le aziende che operano con turni sulle 24 ore e sette giorni su sette, misura che secondo le previsioni dell’esecutivo avrebbe dovuto estendersi entro la fine dello stesso anno anche al settore turistico e della ristorazione. Fino a oggi, la normativa greca prevedeva già la possibilità di lavorare 13 ore al giorno, ma solo a condizione che il lavoratore avesse due o più datori di lavoro diversi.
Le opposizioni hanno tuttavia reagito con durezza alla nuova legge, definendola una mostruosità legislativa che riporta le condizioni di lavoro a un’epoca preindustriale. Sokratis Famellos, presidente di Syriza, il partito di sinistra radicale e alleanza progressista, ha denunciato che la Grecia è già un Paese di lavoratori poveri, che lavorano più della media europea ma sono pagati meno e non riescono ad arrivare a fine mese. I deputati di Syriza hanno scelto di non partecipare alla votazione finale, considerando il provvedimento una deregolamentazione del lavoro che minaccia diritti fondamentali conquistati attraverso dure lotte nel corso del Novecento, a partire dalla giornata lavorativa di otto ore.
Anche Nikos Androulakis, leader del Movimento Socialista Panellenico PASOK, ora principale partito di opposizione dopo aver superato Syriza nei sondaggi, ha espresso ferma contrarietà alla riforma, accusando Nea Dimokratia di smantellare sistematicamente i diritti dei lavoratori. Il partito socialista ha votato compattamente contro la legge, sostenendo che essa rappresenta un pericoloso precedente che potrebbe aprire la strada a misure simili in altri Paesi europei, in controtendenza rispetto ai numerosi esperimenti di riduzione dell’orario lavorativo in corso nel Nord Europa e nel Nord America.
I principali sindacati greci hanno organizzato due scioperi generali nel mese di ottobre per protestare contro la riforma, paralizzando il Paese il primo ottobre e poi nuovamente il 14 ottobre, alla vigilia della votazione parlamentare. La Confederazione generale dei lavoratori greci GSEE e la federazione dei dipendenti pubblici ADEDY hanno indetto manifestazioni in tutte le principali città, con decine di migliaia di persone scese in piazza ad Atene e Salonicco. Gli scioperi hanno bloccato trasporti pubblici, traghetti che collegano la terraferma alle isole dell’Egeo e dello Ionio, scuole, tribunali e ospedali.
I sindacati hanno denunciato che la riforma legalizza quella che hanno definito schiavitù retribuita, mettendo a repentaglio la salute fisica e mentale dei dipendenti e distruggendo qualsiasi equilibrio tra vita personale e professionale. Secondo le organizzazioni dei lavoratori, la natura formalmente volontaria dell’estensione oraria è puramente illusoria, dato lo squilibrio di potere esistente tra datori di lavoro e dipendenti in un contesto economico in cui molti lavoratori non possono permettersi di rifiutare opportunità di guadagno aggiuntivo. Il sindacato di ispirazione comunista PAME ha definito la legge un tentativo di abolire sostanzialmente la conquista delle otto ore lavorative, uno dei pilastri del movimento operaio del Novecento.
Il contesto economico e sociale greco rende particolarmente delicata questa riforma. Secondo i dati Eurostat riferiti al 2023, i lavoratori greci sfiorano già le 40 ore settimanali, con una media di 39,8 ore, a fronte di una media europea di 36,1 ore. La Grecia risulta essere il Paese dell’Unione Europea con la settimana lavorativa più lunga, con il 12,4 per cento degli occupati che lavora almeno 49 ore a settimana, quasi il doppio rispetto alla media comunitaria del 6,6 per cento. Nonostante questo maggiore impegno orario, la produttività per ora lavorata rimane significativamente inferiore rispetto alla media dei Paesi OCSE.
Sul fronte retributivo, la situazione greca presenta criticità evidenti. La retribuzione media mensile lorda in Grecia si attesta a circa 1.710 euro, tra le più basse dell’Unione Europea, mentre il salario minimo è stato recentemente portato a 1.027 euro nel quarto trimestre del 2025, dopo un incremento rispetto agli 880 euro precedenti. Tuttavia, questo aumento è considerato insufficiente da molti osservatori per far fronte all’incremento del costo della vita, con l’inflazione che nel 2024 si è attestata al 2,4 per cento su base annua. Il potere di acquisto dei lavoratori greci misurato in standard di potere d’acquisto è il più basso tra tutti i membri dell’Unione Europea, attestandosi a 20.525 unità contro una media comunitaria significativamente superiore.
La crisi economica che ha colpito la Grecia tra il 2009 e il 2018 ha lasciato cicatrici profonde nel tessuto sociale ed economico del Paese. Il prodotto interno lordo greco è diminuito di quasi il 25 per cento durante quel periodo, mentre il debito pubblico è passato dal 103,1 per cento del PIL nel 2007 al 181,2 per cento nel 2018, con proiezioni del Fondo Monetario Internazionale che stimano il raggiungimento del 293,6 per cento entro il 2060. Le misure di austerità imposte dalla Troika, composta da Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, hanno comportato tagli alla spesa pubblica del 32,4 per cento, accompagnati da riforme strutturali che hanno indebolito il diritto del lavoro, sospeso i diritti di contrattazione collettiva e abbassato il salario minimo. Anche i pensionati hanno visto le loro prestazioni ridotte dal 14 al 40 per cento, mentre il numero di senzatetto è aumentato del 20-25 per cento.
In questo quadro, il governo Mitsotakis ha lanciato dal 2019 un’ampia ondata di privatizzazioni che ha interessato infrastrutture turistiche, terreni costieri, quote statali di società di gas ed elettricità e l’aeroporto di Atene. Parallelamente, l’esecutivo ha approvato riforme fiscali volte ad attrarre investimenti attraverso aliquote ridotte, con clausole di protezione per i beneficiari contro eventuali cambiamenti di politica da parte di governi futuri. Nonostante alcuni segnali di ripresa economica, con una crescita del 2,3 per cento nel 2024 e il miglioramento del rating sul debito pubblico che ha riportato la Grecia a investment grade, il tasso di disoccupazione rimane elevato, attestandosi all’8,1 per cento ad agosto 2025, pur rappresentando il livello più basso degli ultimi 17 anni.
La riforma della giornata lavorativa di 13 ore pone interrogativi sul futuro del mercato del lavoro europeo e sulla capacità della Grecia di attrarre giovani talenti che negli anni della crisi hanno lasciato il Paese in cerca di migliori opportunità all’estero. Mentre diversi Stati membri dell’Unione Europea stanno sperimentando la settimana corta di quattro giorni e politiche di conciliazione vita-lavoro sempre più avanzate, la scelta greca di andare nella direzione opposta appare in controtendenza rispetto alle tendenze prevalenti nel continente. Gli osservatori internazionali si interrogano su come questa misura possa rendere il Paese attrattivo per i giovani greci che lavorano all’estero, se le condizioni di lavoro peggiorano rispetto a quelle disponibili in altri Paesi dell’Unione.
Il dibattito sulla riforma greca riporta al centro dell’attenzione europea la questione del rapporto tra flessibilità del mercato del lavoro, tutela dei diritti dei lavoratori e sostenibilità sociale delle politiche economiche. Mentre il governo Mitsotakis sostiene che la nuova legge rappresenta un passo necessario per modernizzare il Paese e affrontare le sfide della crisi demografica e della carenza di manodopera qualificata, i critici avvertono che essa rischia di trasformare la Grecia in un laboratorio di sperimentazioni antisociali, dopo essere già stata la cavia delle peggiori politiche di austerità durante la crisi del debito sovrano. La questione resta aperta su quale modello di sviluppo economico e sociale l’Europa intenda perseguire nei prossimi anni, in un contesto di crescenti disuguaglianze e sfide demografiche che interessano l’intero continente. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
