C’è stato un tempo in cui accendere la televisione significava entrare in un mondo vivo, brillante, popolare nel senso più alto del termine. Un mondo che parlava a tutti, senza mai rinunciare alla creatività, alla sorpresa, all’identità. Era la Mediaset di Silvio Berlusconi, l’erede di quella Fininvest che negli anni ’80 e ’90 aveva rivoluzionato il piccolo schermo italiano. Oggi, quella televisione non c’è più. E sebbene gli asset del gruppo siano intatti, lo spirito che lo animava si è perso. La responsabilità? In larga parte, ricade sulle spalle di Pier Silvio Berlusconi.
I numeri, a volte, raccontano più di mille parole. La straordinaria accoglienza riservata dal pubblico al ritorno de La Ruota della Fortuna — 3.643.000 spettatori (21,9% di share) lunedì 14 luglio, fino al picco di 3.839.000 (25,4%) giovedì 17 — è la dimostrazione lampante che il pubblico ha ancora fame di una televisione generalista ben fatta, pensata per divertire, coinvolgere, fidelizzare. In altre parole, il pubblico c’è, ma bisogna saperlo conquistare. E oggi Mediaset non lo fa più.
L’era Pier Silvio è stata, finora, quella dell’appiattimento. I canali Mediaset sono diventati una rotazione indistinta di repliche sfiancate, talk show fotocopia prodotti nello stesso studio, serie turche importate a basso costo, e reality show logori, incapaci di rinnovarsi, spesso mal confezionati e sempre meno rilevanti. Il tutto dentro una logica aziendalista fredda, guidata più dalla tutela dei margini di profitto che dalla visione editoriale.
La scomparsa del Cavaliere ha lasciato un vuoto non solo umano e politico, ma soprattutto culturale nel modo di fare televisione. Silvio Berlusconi aveva una visione, e questa visione era profondamente italiana, popolare, radicata nel gusto collettivo. Capiva prima degli altri dove stava andando il pubblico e lo raggiungeva, lo anticipava, talvolta lo formava. Aveva il coraggio di osare, di lanciare format nuovi, di inventare linguaggi. E dietro di lui, una squadra di autori, registi, scenografi, creativi che sentivano di far parte di un’avventura.
Pier Silvio ha invece scelto la via opposta: quella del taglio, della razionalizzazione, del prodotto a basso costo, della standardizzazione. Ha sacrificato la parte autoriale e artistica dell’azienda, azzerando intere filiere produttive in nome dell’efficienza. Ha abbandonato l’idea di lanciare volti nuovi o format originali. E ha finito per inseguire modelli esteri senza capirne la grammatica, trapiantandoli in una programmazione senza anima.
Il risultato? Una rete che, salvo rare eccezioni, non fa più tendenza. Non crea fenomeni, non lancia più linguaggi, non detta più l’agenda popolare. Gli ascolti calano, la fidelizzazione si sgretola, e il pubblico, stanco, si rifugia altrove: nelle piattaforme streaming, nel web, o nei ricordi di una televisione che sapeva essere evento.
Il ritorno in palinsesto de La Ruota della Fortuna non è solo un’operazione nostalgia riuscita. È un messaggio fortissimo da parte del pubblico: “Dateci di nuovo una televisione che sa intrattenere con leggerezza e intelligenza”. È la dimostrazione che quando Mediaset torna a fare Mediaset, quella vera, dell’epoca di Corrado, Mike, Vianello gli italiani rispondono con entusiasmo.
Pier Silvio Berlusconi ha spesso parlato della necessità di una “televisione pulita”. Ma la televisione pulita non può essere sinonimo di televisione spenta. Il rischio, anzi, è quello di una sterilità editoriale che non sa più né coinvolgere né emozionare. E una tv che non emoziona è una tv che muore.
La sfida, ora, è capire se il gruppo saprà davvero tornare a parlare con il suo pubblico, non solo a lui. Ma per farlo servirà più coraggio, più investimento nella creatività e, soprattutto, la capacità di tornare a pensare la televisione non solo come un business, ma come un pezzo essenziale della cultura popolare italiana. Quella che Silvio Berlusconi, con tutti i suoi eccessi, aveva saputo reinventare come nessun altro. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!